La gioia dell’incontro, detta anche Gianni Minà.
In tutte le interviste del piccolo grande giornalista che ci ha lasciato ieri a 84 anni, i suoi occhi tradiscono una luce e un divertimento senza pari nel fare il suo mestiere. E di quel mestiere, la gioia in assoluto più grande: la possibilità di incontrare le persone e di farle incontrare.
Tra le centinaia di reportage e servizi realizzati per la Rai e non solo, che non entrerebbero nemmeno in un docufilm di due ore, ci limitiamo qui a ricordare ‘solo’ alcuni dei suoi incontri con i grandi del cinema. Lo spazio, spesso e volentieri, è quello di Blitz, il programma che grazie a Minà rappresenta su Rai2 il ‘rivale’ di Domenica in, all’inizio degli anni ’80.
“Fidel Castro, Little Tony, Toquinho… Troisi! Ecco come mi ha trovato!”: la prima scena memorabile è anche quella che meglio dipinge la sua figura, o meglio quella della sua mitica agenda, che è poi il tesoro nascosto di ogni reporter. È un geniale Massimo Troisi, invitato ‘a sorpresa’ in studio con Pino Daniele per il compleanno dell’amico cantautore, a prendere in giro Minà e nello stesso tempo a incensarlo, con l’incredibile infilata di grandi nomi dello sport, dello spettacolo e della politica mondiale che quelle pagine racchiudono. “Cosa invidio a Gianni Minà? La sua agendina” – dice ridendo il grande attore napoletano, tra le risate del pubblico.
Poi c’è il bellissimo omaggio a Monica Vitti, che Minà organizza invitando con lei un gruppo di amici speciali: tra loro Gigi Proietti e Paolo Conte, che per lei ha composto il brano Avanti bionda “pensando alla più bella bionda d’Italia”, come le confessa vis-à-vis, a favore di telecamera. E a quel punto anche la Vitti la canta, emozionata, con Conte che l’accompagna al pianoforte. Minà è incantato a guardarli, soddisfatto: quella che emana da lui è un’empatia contagiosa.
“Chi ha avuto la fortuna di recitare con voi si porta dietro un bagaglio indimenticabile” dice Minà a Eduardo De Filippo e Lina Sastri, ospiti di un’altra puntata storica del programma Rai. “Certe possibilità nascono con le persone” – replica il grande Eduardo – “Voi vedete la Sastri che è brava, ma lei non lo sapeva. Io gliel’ho fatto sapere, questo è tutto”.
“Benigniiii!!!!!” Urla Carmelo Bene con occhi diabolici, rivolto a Roberto Benigni, anche lui in studio in un’altra occasione. Il futuro premio Oscar, intimidito, prende le sue prime lezioni di letture dantesche dal poeta vate. Quella sarà in assoluto la prima delle innumerevoli volte che Benigni declamerà la Divina Commedia in tv. Ma quello fu soprattutto un duetto incredibile, voluto da un’idea altrettanto incredibile che solo Minà poteva avere.
Usciamo dal piccolo schermo per un’occasione unica: ci rechiamo nel Teatro 4 di Cinecittà, Gianni Minà è sul set di C’era una volta in America (Sergio Leone 1984, ndr), in diretta per la Rai. Con lui, come sempre, i più grandi. Il giornalista parla sottovoce, emozionatissimo, nel microfono: “È un film che viene presentato nel più assoluto mistero, non è stata fatta pubblicità, niente foto, nessuna troupe televisiva è entrata durante la lavorazione, durata otto mesi”. Si chiude la scena, Minà può entrare in campo e alzare la voce. “È un grande onore e una grande felicità, io chiamo Sergio Leone e Bob De Niro”, e gli mette subito il braccio sulla spalla, come a un amico fraterno. “Bob, tu cedi una parte della tua vita, una parte della tua felicità, per fare l’attore in questo modo?”. “Dipende, qualche volta, se parli della felicità come l’impegnarsi nel fare qualcosa e trovarcisi bene e perdere magari qualcos’altro… non si può fare tutto nello stesso tempo” – risponde De Niro. “Quando hai conosciuto Sergio Leone? Lo hai visto come un maestro del cinema, o come un italiano che veniva a saccheggiarvi qualcosa che era vostro?” E qui interviene Leone “Ci siamo conosciuti otto-nove anni fa, quando gli ho proposto di fare questo film”. “Otto anni per realizzare un sogno” – incalza Minà – “Sì, un sogno che rischiava di diventare un incubo, pensavo di non riuscire più a realizzarlo. Quando ho pensato di farlo ho pensato a Bob, ma era impegnato in un altro progetto, poi per fortuna si è liberato e dopo ore e ore per spiegargli la storia ha accettato”. L’intervista sul set col grande regista – poi riproposta su Rai Storia – continua per oltre mezz’ora a tutto campo, per arrivare a parlare dei tempi di Giù la testa e della sua trilogia, della collaborazione con Ennio Morricone, e chi più ne ha più ne metta.
E poi c’è la magica sera d’estate, in un ristorante a Trastevere. È la vigilia dei mondiali del 1982, Robert De Niro, dicevamo, è a Roma per girare il capolavoro di Sergio Leone. Chiama al telefono l’amico Gianni: “Che fai stasera?” “Esco con Muhammad Alì”, risponde Minà. “Alì? Allora vengo anch’io!”, dice De Niro. Poco dopo squilla di nuovo. “Ma come? Io devo parlare con Bob di lavoro e lui mi dice che viene a cena con te e Alì. E a me nun me ce porti?” Stavolta era Sergio Leone. Ma non finisce qui. Il telefono di Minà suona ancora. “Gianni, tu dirai che io sono un hijo de puta se ti chiamo solo oggi, ma è la mia ultima sera qui a Roma e dovevo vedermi con De Niro e Leone, ma sembra siano occupati con Muhammad Alì. Sai per caso chi lo accompagna?”. Dall’altra parte c’era Gabriel García Márquez. Minà risponde: “Sì Gabo, Alì è con me”.
L’improbabile quintetto di quell’improbabile serata romana è immortalato in una fotografia. “Quella foto (qui sotto) giustifica il mio lavoro di giornalista, è la summa di quello che è stato il mio modo di essere, del piacere che dà l’amicizia” – scriverà poi Gianni Minà sul suo profilo instagram.
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