Jerry Lee Lewis secondo Ethan Coen

Il doc "Jerry Lee Lewis: Trouble In Mind" in Special Screenings: il racconto - precipuamente con materiale d'archivio - sul musicista statunitense, 87enne, talento “killer” - anche suo soprannome


CANNES – “From Louisiana Jerry Lee Lewis!” annuncia la voce entusiasta di un conduttore tv sulle sequenze di repertorio di un programma statunitense degli Anni ’60. 

Così Ethan Coen sceglie di aprire il documentario Jerry Lee Lewis: Trouble In Mind, nella sezione Special Screenings: un annuncio tonante, di quelli che si riservano alle grande personalità, e certamente grande artisticamente è il protagonista, nato a Ferriday 87 anni fa. Soprannominato The Killer per il suo anticonformismo sulla scena, Jerry Lee Lewis, nelle numerosissime sequenze d’archivio che architettano il film, non fa che confermare questa sua naturale chimica con la musica, non solo talento vocale e d’esecuzione, ma un suggestivo e febbrile rapporto fisico con il pianoforte: il primo – ricorda – gli fu regalato dalla mamma e dal papà a 8 anni e da lì la sua esistenza è stata tutt’uno con lo strumento. Impressionano ed esaltano le mani che spingono, vivrano, corrono, volano sulla tastiera, verso cui – a più riprese – si relaziona anche con i piedi, i gomiti, talvolta il sedere, sedendocisi sopra. Nessuna irriverenza, un rispetto adorante per il suo strumento, ma altrettanto un’attrazione “carnale”. Questo è quello che passa dal montaggio di tutte le immagini che raccontano Lewis sulla scena: la maestria di Coen vive nell’aver saputo “cucire” la carrellata visiva – di sequenze distanti nel tempo e nella cromia, infatti s’alternano bianco&nero e colore – con un incalzare e un’armonia di continuità tali che rendono il racconto assolutamente contemporaneo, senza quasi che ci si accorga come le immagini, la grana, l’atmosfera, siano connesse a tempi del passato. E questo effetto, certamente, è coadiuvato anche dall’energia che Lewis espira da qualsiasi esibizione o intervista Coen abbia scelto di mettere in scena. 

C’è poi un’altra vita del cantautore e pianista statunitense, quella privata, fatta di sette matrimoni e sei figli, alcuni lutti particolarmente vessanti, e un annodarsi dell’esistenza personale con il racconto pubblico, in particolare dal ’58, quando, durante un tour in Inghilterra, s’è palesato il suo terzo matrimonio con la cugina di secondo grado Myra Gale Brown (figlia di suo cugino), durato 13 anni; come 13 era l’età anagrafica della moglie, questione che venne assorbita come “mostruosa” e che, naturalmente, ebbe un effetto domino disastroso sulla carriera. Come si sa, e non si dimentica nel documentario, la sua fama passò in un lampo da “10mila dollari di guadagno a ogni concerto, ai 100 per una notte” in birrerie o locali tutt’altro che palchi della ribalta. 

Ethan Coen – “il regista a due teste” insieme al fratello Joel con cui usualmente scrive/dirige – qui “balla da solo” e sceglie di raccontare il mito vivente di Jerry Lee Lewis senza omettere il profilo personale – come per esempio anche l’episodio del ricovero dell’81, che mise a rischio la sua vita, causa complicazioni dovute a un’ulcera – ma dedicando la più ampia percentuale della narrazione al Lewis musicale, apprezzabile scelta di pesi differenti, perché così non censura un tassello fondamentale nella composizione dell’uomo ma mantiene il fuoco vivo sul fronte artistico, che è quello che al pubblico dovrebbe sempre e in primis interessare di più di un artista. 

Coen, un po’ per biografia, un po’ per metacinema, non manca di ricordare High School Confidential – film del ’58, omonimo del brano musicale: sul grande schermo scorrono le scene in cui lo stesso cantautore è anche protagonista con un piccolo ruolo. 

Non solo Great Balls of Fire – canzone universalmente riconosciuta e riconoscibile – “fa da colonna sonora” e racconto biografico al doc, ma certamente è l’impronta sonora che forse più di tutte resta attaccata allo spettatore e il cui suono fa identificare la figura musicale che Ethan Coen ha scelto di raccontare: il singolo, tra l’altro, raggiunse la seconda posizione della Billboard Hot 100, la terza della classifica R&B, così come la prima in quella Country, oltre ad affrancarsi sulla vetta nella classifica dei singoli più venduti nel Regno Unito, fino a essere stata inserita nella lista delle 500 migliori canzoni secondo “Rolling Stone”, la rivista. 

23 Maggio 2022

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