Ivano De Matteo: “Ecco le nostre famiglie esplosive”

Il regista de Gli equilibristi ha portato a Venezia, alle Giornate degli Autori, I nostri ragazzi, tratto dal romanzo La cena di Herman Koch


VENEZIA – Nel traffico romano, due nervosi automobilisti innescano una lite. Uno di loro, col figlio piccolo seduto accanto, si lascia travolgere dalla rabbia e scende dalla macchina minaccioso. Nei pochi successivi, concitati secondi, parte uno sparo e l’aggressore rimane a terra in una pozza di sangue.
È una pennellata di quotidiana ferocia urbana l’incipit di I nostri ragazzi, il nuovo film di Ivano De Matteo selezionato dalle Giornate degli Autori, con cui il regista de Gli equilibristi voleva immergere lo spettatore in uno scenario di routine da travolgere con la tragedia imprevista.

Liberamente tratto dal romanzo La cena di Herman Koch, I nostri ragazzi è interpretato da Alessandro Gassman, Giovanna Mezzogiorno, Barbora Bobulova, Luigi Lo Cascio e dai giovani Rosabell Laurenti Sellers e Jacopo Olmo Antinori. Attori calati nei panni di due famiglie legate dal sangue (Gassman, l’avvocato Massimo, è fratello di Lo Cascio, il medico Paolo) e divise dallo sguardo nei confronti della vita, che si confrontano mensilmente attorno al tavolo di un ristorante di lusso finché, all’improvviso, non devono fare i conti con un dramma provocato dai rispettivi figli. Prodotto da Rodeo Drive con Rai Cinema, I nostri ragazzi sarà nelle sale il 5 settembre con 01 Distribution.

Come si è avvicinato a questo romanzo, che è già stato oggetto dell’adattamento dell’olandese Menno Meyjes e presto lo sarà da parte di Cate Blanchett?
Ho saputo solo dopo, quando avevo già finito di girare, che c’era stato un film olandese tratto dallo stesso romanzo, e poi che Cate Blanchett ne aveva acquisito i diritti. Avevo semplicemente letto La cena e mi aveva colpito molto perché coglieva un tema che mi interessava. Dopodiché quando faccio un film lo relaziono sempre alle mia paure e alle mie domande. In semplicità, tanto che in questo caso sono partito dalla domanda: ‘Cosa faresti se accadesse a te?’. Una domanda che mi tocca perché ho un figlio di 13 anni.

Cosa è cambiato dalla pagina allo schermo?
Naturalmente ho dovuto italianizzare la storia, ma ho anche apportato molti cambiamenti nella trama e nei personaggi. I due protagonisti maschili hanno cambiato mestiere: da politico a penalista uno, da insegnante a pediatra l’altro. Poi ho eliminato la malattia del personaggio di Lo Cascio – che trasmettendosi ereditariamente al figlio gli avrebbe fornito una giustificazione – tolto il figlio adottivo dell’altra coppia e aggiunto la scena iniziale con la rissa in macchina: un episodio che mi è realmente accaduto, anche se per fortuna non finì così male.

Quest’anno anche Virzì ha raccontato la borghesia italiana e lo sbandamento dei figli in Il capitale umano. È un caso che si rifletta molto su questi temi?
Credo che La bella gente fosse una critica della borghesia più di I nostri ragazzi. Si potrebbero scambiare questi professionisti benestanti dei Parioli con dei cliché, ma io incontro quotidianamente persone così, che manifestano quel tipo di mentalità, e mi è piaciuto molto procedere al ribaltamento dei ruoli nel corso della storia.

Il modo in cui rappresenta i due ragazzi del film non sembra darci molte speranze sul futuro…
Sì, perché questo è anche un film sull’incomunicabilità tra genitori e figli. Gia solo se si parlassero di più tra loro il mondo sarebbe migliore. Nel rappresentarli ho voluto mostrare in qualche modo la virtualizzazione del male, il fatto che questi adolescenti sono anestetizzati.

Si può dire che il tratto di continuità dei suoi film sia l’attenzione verso la famiglia?

Assolutamente sì, e questo dipende dal fatto che ho una famiglia numerosissima, composta da oltre 30 cugini, in cui serpeggiano mille contraddizioni e ci sono delle correnti interne come nei partiti. Ho ben presente quindi cosa significhi voler mantenere la compattezza in situazioni in cui l’amore si mescola con l’odio e la conflittualità.

Allo stesso tempo c’è anche una rottura rispetto a Gli equilibristi.

Sì, in quel caso ero entrato nell’anima dei personaggi e infatti il pubblico aveva empatizzato molto. Con I nostri ragazzi invece ho mantenuto la freddezza del libro, che non scava nei personaggi e non compie analisi psicologiche approfondite, anzi mostra delle maschere molto esteriori. Questo film è una fotografia glaciale di ciò che succede quando si viene improvvisamente colpiti da una doccia fredda.

È già pronto per passare a una nuova storia?

Ho in mente una sceneggiatura originale da girare in Francia, su una madre e un figlio che fuggono dall’Italia per ricominciare. Sarà un film di sentimenti.

03 Settembre 2014

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