Italy in Luce, con la meglio gioventù

'9x10 Novanta' è il film a episodi di 10 giovani registi che, per i 90 anni dell'Istituto Luce, si sono cimentati con il materiale dell’Archivio, su tema suggerito agli autori o da loro proposto


VENEZIA. “Spesso s’identifica l’Archivio Luce con il ventennio fascista, così ho scelto proprio il balcone di piazza Venezia, da cui Mussolini annunciò l’entrata in guerra, e l’ho raccontato senza mai mostrarlo con altre immagini dell’Archivio Luce che richiamano l’angoscia, l’inquietudine e l’estraneità delle persone per quella ‘terribile ora delle decisioni irrevocabili’ che Italo Calvino ci restituisce nel suo racconto autobiografico”.
Così Roland Sejko, uno dei registi di 9×10 Novanta (evento speciale della Mostra in collaborazione con le Giornate degli autori), sintetizza il senso generale del film ‘collettivo’, o meglio a episodi, firmato dalla ‘meglio gioventù’ del nostro cinema che si è cimentata con l’immenso patrimonio di immagini dell’Istituto Luce nell’anno del suo novantesimo compleanno.

Il film, nato da un’idea di Marlon Pellegrini, si compone di nove episodi di dieci minuti l’uno, avendo come materiale visivo comune le immagini dell’Archivio, su tema suggerito agli autori o da loro scelto. Ne è nato film dove s’incrociano narrazioni diverse: il primo giorno del conflitto mondiale appunto (L’entrata in guerra di Roland Sejko); la canzone e la memoria di un paese (Una canzone di Alice Rohrwacher); la società contadina scomparsa (L’Italia umile di Pietro Marcello e Sara Fgaier); la Grande Guerra (Confini di Alina Marazzi); la solidarietà collettiva e la voglia di ricominciare dopo inondazioni e terremoti (Girotondo di Costanza Quatriglio); l’istituzione del matrimonio nella società italiana (Progetto Panico di Paola Randi); un paese di Madonne e santi (Miracolo italiano di Giovanni Piperno); il sogno di un bambino di andare sulla Luna (Tubiolo e la luna di Marco Bonfanti); il diario di una donna cattolica dal 1934 al 1943 (Il mio dovere di sposa di Claudio Giovannesi).

Tutti i registi s’immergono nel passato di un paese a partire dallo loro sensibilità e stile, e convergono inconsapevolmente, senza averlo mai deciso insieme, verso un unico proposito finale: comprendere meglio il presente per intervenire sul futuro. E le immagini di un tempo, attraverso il loro sguardo, perdono spesso il significato originale e ne riacquistano un altro. E perché ciò avvenga ricorrono, in alcuni episodi, alle parole di scrittori come Italo Calvino, Renato Serra, Carlo Levi e Franca Romano.
E per chi non aveva mai lavorato con il ricco patrimonio visivo del Luce, con l’aiuto di valide e preziose risorse interne (Maura Cosenza, Nathalie Giacobino, Giovannella Rendi, Angelo Musciagna e Patrizia Penzo, per citarne alcuni), è la scoperta di una fonte inesauribile di conoscenza e memoria.

“Quello del Luce è un patrimonio che ci fa riflettere sui cambiamenti vissuti dagli italiani e i disastri avvenuti. Erano un popolo mite, che non meritava la miseria e la guerra. Ma c’è anche la scoperta di bravissimi operatori, ormai scomparsi, che avevano come riferimento la pittura”, dice Pietro Marcello.
Per Paola Randi si è trattato di  un rapporto folgorante e sorprendente: “Ero partita con l’idea degli stereotipi culturali sul femminile e l’Archivio invece con il materiale sull’istituzione del matrimonio mi ha portato in tutt’altra direzione”. Piperno si è sentito come il guidatore che, ricevendo indicazioni stradali sbagliate, scopre per caso luoghi inattesi, “non avendo l’obbligo di essere didascalico, ho potuto perdermi nell’Archivio trovando delle perle”.

Per la prima volta Giovannesi ha lavorato con i materiali di un archivio, “ho cercato i volti, i corpi delle donne che vivevano durante il fascismo per rendere emotivamente le pagine del diario di una mia prozia”. Bonfanti si è buttato con ingenuità “in questo archivio misterioso e affascinante per realizzare un film di finzione in tre atti, in particolare una fiaba”.
“Il mio è stato un viaggio sentimentale in totale libertà attraverso la narrazione pura degli eventi – spiega Costanza Quatriglio – scoprendo talvolta lo sguardo empatico degli operatori del tempo”. Alina Marazzi ha accostato i filmati della Grande Guerra ai versi della poetessa Mariangela Gualtieri “che accompagna le gesta epiche di soldati al seguito di un’impresa folle come quella di costruire un confine sulla cima innevata di un monte: l’impresa dell’umano e la distruzione che ne consegue ci appare drammaticamente futile”.
Infine sull’entrata in guerra l’allora Istituto Nazionale Luce aveva dedicato il retorico e propagandistico documentario 10 giugno 1940, ricorda Sejko, mostrando la piazza plaudente  e “la mia scelta delle immagini per descrivere l’atmosfera di quei giorni è partita da un racconto visivo dove il protagonista è l’incombenza degli eventi storici e terribili come la guerra sui destini personali”.

03 Settembre 2014

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