In the Mood for Food, ‘Il Gusto delle Cose’ tra cinema e cibo

La nostra nuova rubrica dedicata al rapporto tra cinema e cibo inizia con il film di Trần Anh Hùng, un’opera raffinata, che celebra il cibo non solo come nutrimento, ma come arte, dedizione, amore


Si potrebbe dire, parafrasando Fellini, che il cinema è come la cucina: non conta solo la qualità degli ingredienti, ma il modo in cui li si mescola per creare la magia. La verità è che non esiste praticamente opera filmica in cui alcuni dei personaggi sullo schermo, prima o poi, non si ritrovino seduti intorno a una tavola per dedicarsi al momento del cibo.

Che sia un desco sontuosamente imbandito o un bancone di un diner illuminato al neon, che siano tazze di caffè condivise all’alba o un pasto frugale consumato in silenzio, il cibo è un elemento ricorrente, mai casuale. Perché mangiare, nel cinema come nella vita, non è mai solo un atto fisiologico, ma un rito, un codice, una narrazione parallela che accompagna le storie, definisce i rapporti e svela i caratteri.

La colazione, il pranzo, la cena sono momenti delle confessioni e delle riconciliazioni, delle tensioni che ribollono come un sugo lasciato troppo sul fuoco, delle promesse scambiate tra un boccone e l’altro, delle informazioni rilasciate con impietosa abbondanza o con chirurgica precisione.

Sequenze emblematiche e (Pi)atti rivelatori

Chi fa cinema lo sa bene e utilizza questi scenari trasformando i pasti in sequenze emblematiche, in atti rivelatori. Pensiamo alla ritualità mafiosa ne Il padrino (1972), dove la condivisione del cibo cela minacce e gerarchie di potere. Oppure ai pranzi borghesi di Visconti, che nel tripudio di cristalli e posate d’argento raccontano mondi sul punto di sgretolarsi.

Eppure, il cibo nel cinema è anche un atto di resistenza, un gesto di libertà, un dono. In Il pranzo di Babette (1987), cucinare è un atto d’amore che scioglie i cuori più rigidi. In Chocolat (2000), il cioccolato diventa strumento di seduzione e ribellione. In Tampopo (1985), la ricerca della zuppa perfetta si trasforma in una riflessione filosofica sulla vita stessa.

Mangiare è un’azione intima e universale al tempo stesso, e il cinema sfrutta questa ambivalenza per costruire scene di potente impatto emotivo. Un pasto può essere un ultimo addio, come la cena silenziosa tra padre e figlia in Mangiare bere uomo donna (1994). Può essere un gesto di speranza, come il brodo caldo servito in La vita è bella (1997). Può essere il rifugio di un’anima smarrita, come i pancake notturni di Lost in Translation (2003).

In the Mood for Food – Cinema & Cibo

Ma cibo e cinema non si somigliano solo nella narrazione: condividono una natura rituale, quasi sacra. Guardare un film è un atto collettivo, così come lo è sedersi a tavola. Entrambi sono momenti di sospensione dalla quotidianità, esperienze sensoriali che si intrecciano con il ricordo e la nostalgia. Forse è per questo che le scene di cibo al cinema ci restano impresse: un piatto ben filmato può farci desiderare un sapore mai provato, esattamente come un film ben raccontato può farci sentire un’emozione mai vissuta. Perché in fondo, cinema e cucina parlano la stessa lingua: quella del desiderio.

Da oggi e per le prossime settimane partiremo per un viaggio che ci condurrà di “tavola in tavola” per raccontare quelle storie da schermo che hanno segnato la storia di questo connubio cine-culinario, di un matrimonio senza divorzio all’orizzonte in nome del gusto e dal sapore sempre diverso.

Il gusto delle cose

Se esiste un film recente capace di raccontare con intensità il legame tra cinema e cucina, questo è Il gusto delle cose (La Passion de Dodin Bouffant, 2023) di Trần Anh Hùng. Un’opera raffinata, che celebra il cibo non solo come nutrimento, ma come arte, dedizione, amore.

Dodin Bouffant (Benoît Magimel) è un famoso buongustaio francese della fine del XIX secolo che ha avuto come cuoca per più di vent’anni la modesta ma talentuosa Eugenie (Juliette Binoche), una donna con la quale dopo anni di intimità ha sviluppato un legame affettuoso che ha visto i suoi frutti soprattutto in cucina, dove ogni ingrediente si trasforma in una prelibatezza attraverso mani sapienti, pazienza diligente e rigorosa lavorazione artigianale.

La macchina da presa di Anh Hung è sempre circolare e armoniosa, mai invadente. celebra l’intimità e la cura affinché ogni elemento mantenga la propria identità. Ad esempio, nella prima sequenza all’interno della cucina della residenza di Dodin, viene mantenuta una distanza che qualsiasi osservatore rispettoso dei mestieri altrui terrebbe: una distanza necessaria per generare stupore.

Tutti gli elementi, come gli ingredienti di una ricetta, assumono un ruolo fondamentale che non risponde ad alcuna gerarchia. Il suono delle posate che colpiscono pentole e piatti o del cibo che viene separato, tagliato, aperto o sbriciolato è vitale quanto l’immagine del vapore, il colore del cibo e la meravigliosa metamorfosi che attraversano.

Il rapporto tra Dodin e Eugenie è la chiave della bellezza del film e del suo romanticismo, che consente al cibo di uscire dallo schermo e diventare un simbolo necessario per il vero amore e l’ispirazione. E poi quando hai due interpreti come l’intenso Magimel e la divina Binoche il piatto non può che essere delizioso.

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01 Febbraio 2025

In the Mood for Food

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