Juliette Binoche: “Il cibo italiano? E’ materno”

Amore e cucina sono gli ingredienti di Pot au feu, il film di Tran Anh Hung di cui è protagonista la splendida attrice francese


Amore e cucina sono gli ingredienti di Pot au feu, il film di Tran Anh Hung presentato alla Festa del cinema di Roma 2023.

Un film che ha riportato insieme, sia pure nella finzione, una coppia separata da tempo, quella composta da Juliette Binoche e Benoît Magimel, “recitare con lui dopo tanti anni – rivela l’attrice francese – è stato come riconciliarsi simbolicamente. Abbiamo una figlia, ci siamo amati, ora Tran Anh Hung ci ha consentito di esprimere sentimenti a lungo taciuti, ha dato le parole al nostro amore”.

La grande interprete di opere come Tre colori Film blu, Il paziente inglese e Copia conforme è alla Festa nei panni dell’impeccabile cuoca Eugénie che, sul finire dell’Ottocento, collabora con un famoso e raffinato gastronomo, Dodin (Magimel). Lui immagina e lei realizza piatti gourmet che conquistano i migliori palati, compresi illustri chef che sono ospiti della loro dimora di campagna.

I due sono amanti, anzi Dodin è innamorato di Eugenie, che però è gelosa della sua indipendenza e non vuole sposarsi. Nel film, che ha debuttato al Festival di Cannes e che sarà in sala con Lucky Red, c’è un trionfo di immagini che sollecitano i cinque sensi, non solo la vista. Sembra di sentire i profumi dei manicaretti che vengono preparati con cura e precisione, con ingredienti scelti personalmente nell’orto, sembra di sentire i sapori delle pietanze portate in tavola, che siano uno stufato dalla lunga cottura (il pot au feu appunto) o un dolce dalla consistenza rara che nasconde dentro di sé un’inattesa e romantica sorpresa.

Pieno di ammirazione per la cultura francese, il regista vietnamita di nascita, rivelato con L’odore della papaya verde che vinse la Caméra d’or nel 1993, ha adattato il romanzo La vie et la passion de Dodin-Bouffant gourmet (1924) di Marcel Rouff, ambientato in una Francia intrisa di memorie degli Espressionisti, prendendo ispirazione anche dalla figura del gastronomo francese Brillat-Savarin (1755–1826).

C’è un’analogia tra uno chef e un regista.

Di più, c’è un’analogia nel rapporto tra Dodin ed Eugenie, che rispecchia quello tra un regista e un attore. Il regista ha un’idea, l’attore sa dove attingere in se stesso per far emergere quell’idea. Avevo passione anche per la pittura e avrei potuto fare la pittrice, ma mi è sembrato più intenso lavorare insieme ad altri artisti come nel cinema, dove serve un ascolto orizzontale.

Come ha fatto a convincerla Tran Anh Hung?

Da tempo volevo lavorare con lui. Quando ho letto la sceneggiatura mi ha colpito perché era una lettera d’amore. Tuttavia il personaggio di Eugenie non era molto approfondito, allora gli ho chiesto di lavorarci ancora e lui lo ha fatto. E’ stata anche un’occasione per tornare a recitare con Benoît Magimel, per noi è stata una riconciliazione simbolica.

Lei è golosa?

Lo sono. Per questo adoro venire in Italia, il vostro cibo è materno. Il vero confort food non è l’hamburger ma il cibo italiano che contiene il sole e la gioia di vivere. Mi piacciono le cose semplici e sono ecologista.

Lei ha parlato di questo film come di un film femminista. In effetti Eugenie si sente realizzata nelle cose che fa ed è gelosa della sua autonomia.

Sono stata allevata da una madre femminista. Mia nonna ha divorziato quando accadeva di rado. Mi hanno insegnato che la prima cosa è l’indipendenza economica. All’inizio della mia carriera ho avuto due anni difficili, mi ha aiutato un fidanzato italiano che mi ha salvato la vita. Mi riesce facile interpretare donne indipendenti e raramente ho incontrato personaggi sottomessi.

Avete avuto la consulenza dello chef Pierre-Galmier Gagnaire, 14 stelle Michelin.

Sì, ci ha aiutati a preparare i piatti. Tran voleva che assaggiassimo davvero i cibi, che il piacere del palato fosse autentico. Ricordo che nella sequenza in cui Dodin cucina un’intera cena per Eugenie abbiamo dovuto ripetere la scena del dessert. Ero furibonda, non riuscirò mai a ricreare il mio stupore di fronte a quelle ali d’angelo! Invece è accaduto.
Che regista è Tran Anh Hung?
Un regista molto preciso, attento a ogni dettaglio, i vasi, i fiori, i vestiti, il cibo. Ha un amore per i particolari a volte un po’ imbarazzante, che all’inizio mi spazientiva. Lavora insieme alla moglie e infatti il film è dedicato a lei e parla molto del loro rapporto, della loro storia. Sono due persone che creano nella stessa cucina, sono come due pittori. Tran ama il cinema, lo insegna, lo conosce a fondo. Abbiamo avuto molti scambi sulla recitazione, lui voleva da me una recitazione più neutra, ma alla fine era felice del risultato: un film attraversato dall’amore ma anche dalla paura della morte.
Cosa pensa dell’Intelligenza Artificiale? Aderisce alla battaglia degli attori in corso a Hollywood?
Certamente, sono membro della SAG AFTRA, appoggio questa lotta e in questo caso sono stata autorizzata ad accompagnare Pot au feu perché è un film indipendente. L’Intelligenza Artificiale è un grosso mistero, si ha paura di esserne manipolati. E’ giusto battersi perché sia rispettato il lavoro degli attori.

Cristiana Paternò
21 Ottobre 2023

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