I Manetti Bros. e la sindrome di Stoccolma


Esce il 220 copie con Medusa, il 15 giugno, Paura 3D, nuovo film dei Manetti Bros. precedentemente conosciuto con il titolo di lavorazione La casa dell’orco, e previsto per l’autunno. Rilascio anticipato, dunque, e diremmo, saggiamente, dato che l’estate, si sa, è il periodo ideale per chi, sopraffatto dall’afa estiva, cerca qualche brivido a buon mercato. Brivido che nel film dei Manetti – un horror dalla struttura classica, solida, con tre ragazzotti perseguitati da un maniaco – si mescola anche a qualche risata. Il sadico in questione è Peppe Servillo, un marchese che tiene segregata una ragazza (Francesca Cuttica, già vista nell’ultimo, recente lavoro manettiano, L’arrivo di Wang) nella sua enorme villa, dove i tra giovani (Domenico Diele, Claudio Di Biagio, Lorenzo Pedrotti), si trovano per caso. All’inizio sembra una vittima che vuole soltanto evadere dalla sua prigione, ma man mano il personaggio rivela svolte inaspettate che rimandano a profonde tematiche di carattere psicologico (La sindrome di Stoccolma) e a recenti casi di cronaca atroce come quello dell’austriaca Natascha Kampusch, tenuta prigioniera per 8 anni da un aguzzino verso il quale, da un certo momento in poi, ha iniziato a sviluppare un insano attaccamento.

La vicenda, e il diario della Kampusch che la racconta (“3.096 giorni di prigionia”) vi ha fatto da ispirazione?

Non inizialmente. Avevamo solo questa storia nel cassetto da molto tempo e volevamo raccontarla. Poi però abbiamo iniziato a documentarci, così è venuta fuori la vicenda di Natascha e anche quella di Elisabeth Fritzl, abusata e tenuta prigioniera da suo padre. La prima però ci ha coinvolti maggiormente proprio per la presenza del diario, scritto in maniera molto intelligente. Abbiamo capito più che mai come, quando il tuo universo è limitato a una stanza e una persona, il tuo carceriere possa assumere per la vittima i connotati di una figura paterna e protettiva.

Il look della vostra protagonista, capelli neri e sguardo inquietante, ricorda certi horror giapponesi tipo “The Ring”…

Può darsi. E’ il solito problema. Ci concepiscono come citazionisti ma non lo siamo, anzi i registi che ‘citano’ troppo non ci piacciono. Noi semplicemente amiamo il cinema, assorbiamo le sue suggestioni e spontaneamente, senza accorgercene, le riproponiamo. Nel caso di Francesca, avevamo il problema di differenziarla rispetto al suo personaggio in Wang, quindi le abbiamo tinto i capelli. Non è il nostro sport preferito citare né spaziare tra i generi. Vero che nel nostro film si nomina Mario Bava, ma non è una citazione, serve per raccontare il personaggio dello studente di DAMS che cerca di affrancarsi coi suoi studi dalla vita di borgata. Però lo ammettiamo, all’inizio abbiamo un po’ ricalcato Suspiria di Argento. Questo però, solo perché lo consideriamo il più grande regista d’angoscia esistente, assieme a Hitchcock. Sono grandi maestri che sapevano come rendere un’emozione, e noi li usiamo per rendere le nostre. E’ naturale, il linguaggio cinematografico è quello e per noi, che non abbiamo fatto scuole, sono come insegnanti.

E il 3D?

Il 3D è una nuova frontiera, anche se non tecnologicamente perfetta. Deve liberarsi degli occhialini, ad esempio, ma ci stiamo arrivando. In questo caso abbiamo lavorato con una delle prime videocamere in grado di realizzare una ripresa stereoscopica autonoma. In precedenza venivano semplicemente affiancate due macchine da ripresa standard. Secondo noi il risultato è ottimo. Per noi è uno strumento in più, alla stregua del colore, o del sonoro. A parte un paio di casi, non abbiamo creato effettoni tridimensionali come sangue sugli spettatori o lame che emergono dallo schermo. Preferiamo usarlo per creare atmosfera.

Un po’ come con la musica…

Esatto. Il film ha una selezione musicale ampia. C’è la colonna sonora di Pivio, che per la prima volta lavora senza Aldo De Scalzi, e poi la musica Hip Hop di Colle del Fomento, Danno e Chef Ragù, che rappresentano la musica urbana verosimilmente amata dai nostri protagonisti e infine, per la parte in cui penetrano nell’antro del mostro, ci siamo rivolti al metal di Sadist e Death SS, realtà italiane che nel nostro paese sono fin troppo salutate. Nel caso dei Death SS, tra l’altro, siamo particolarmente onorati, dato che la band a tutti gli effetti si è sciolta e questa è già la seconda volta che scrive un pezzo specificamente per noi, dopo l’episodio de ‘L’Ispettore Coliandro’ in tv dove appariva anche il loro leader Steve Sylvester, una persona meravigliosa con cui si collabora magnificamente. Avremmo voluto che partecipasse anche Servillo alla colonna sonora, ma non ce l’abbiamo fatta coi tempi.

Avete consultato qualche specialista di disturbi psicologici?

No. Abbiamo raccontato le diverse stratificazioni di disagio e insanità mentale, ma seguendo una nostra visione. Non volevamo che fosse contaminata da un approccio troppo scientifico. Tutti i nostri personaggi, perfino il mostro, sono fragili. Perfino lui ha una sua emotività. Ma abbiamo cercato di evitare la strada più scontata, quella più logica forse, che però avrebbe portato a un finale da barzelletta. E’ una riflessione personale che risponde alla nostra concezione del mondo e dell’idea che ci siamo fatti di queste situazione. Il prigioniero non si limita a voler scappare così come il carceriere è qualcuno che vuole possedere le cose ma, per vari motivi, non riesce ad averle veramente. Il nostro marchese ha una collezione di chitarre che non suona, di videogiochi che non usa e di macchine che non sa guidare. La prigioniera è la sua bambola, infatti sul comodino tiene una copia de ‘L’uomo della sabbia’ di Hoffmann, che racconta la costruzione di una bambola meccanica. Ma anche qui, non citiamo. Usiamo un elemento per raccontare un personaggio, che cerca disperatamente una spiegazione alla sua malattia e alle sue malefatte.

Per “L’arrivo di Wang” si era ventilata l’ipotesi di un sequel e di un remake USA. A che punto siete con le trattative? E di “Paura 3D”, farete un seguito o ne venderete i diritti?

Andiamo con ordine. Per Wang le trattative sono in corso e alcune sono a uno stadio decisamente avanzato. Devo dire che le proposte di riscrittura che ci sono arrivate non ci hanno esaltati, le abbiamo trovate anzi ridicole. Ma in fondo, il nostro film resta quello, non cambia nulla. Anzi, meglio, al limite diventeremo famosi per aver fatto meglio in Italia, con pochi soldi, la stessa storia che in Usa con un budget alto faranno peggio. Per Paura 3D, aspettiamo, vediamo prima l’uscita italiana cosa ci riserva e poi decidiamo. Ne siamo coproduttori per cui abbiamo la possibilità di decidere con calma. Per ora, siamo letteralmente entusiasti del lavoro svolto da Medusa, dove all’inizio sono rimasti scossi dal film. Era più forte di quel che pensassero. Ma poi hanno man mano guadagnato fiducia nel progetto lavorando sui suoi temi in maniera egregia. E’ loro l’idea del nuovo titolo, così estremo. La pellicola comunque avrà una grande vetrina estiva al festival di Neuchatel, importantissimo per il genere fantastico, e al Fright Fest londinese. Quanto ai sequel, non creiamo mai nulla senza pensare a un seguito, ci viene spontaneo. Per cui sì, nella nostra testa c’è un numero 2 sia per Wang che per Paura, ma sono solo fantasie, non c’è nulla di concreto in ballo.

Quanto è costato il film?

Abbiamo scelto di tacere su questo aspetto. Non vogliamo che si parli del budget più che dei contenuti. Facciamo sempre film che costano meno di quel che dovrebbero ed è stato così anche questa volta.

13 Giugno 2012

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