Herlitzka sul set di Bellocchio: gli ricordavo suo padre

L’attore racconta la sua interpretazione di Moro, prigioniero delle BR, per 'Buongiorno, notte' nel libro ‘Morale e bellezza,’ pubblicato da Luce Cinecittà e CSC, e presentato al Festival di Lecce


A Marco Bellocchio l’Istituto Luce Cinecittà insieme al Centro Sperimentale di Cinematografia hanno dedicato il volume “Morale e bellezza”, curato da Sergio Toffetti, in occasione della personale ‘Marco Bellocchio. A Retrospective’  al MoMA di New York. Da questo libro è tratta la testimonianza, qui pubblicata, dell’attore Roberto Herlitzka che in Buongiorno, notte (2003) interpreta il leader democristiano Aldo Moro, durante i giorni del suo sequestro da parte delle Brigate Rosse. Herlitzka è stato diretto dal regista piacentino in altri due film: Il sogno della farfalla (1994) e Bella addormentata (2012).
Il volume, in versione italiana e inglese, si apre con un’approfondita conversazione con il regista fatta dal curatore Toffetti. Seguono tre sezioni: la prima in cui parlano attori, direttori di fotografia, sceneggiatori, montatori, che hanno lavorato con Bellocchio; la seconda ospita gli interventi di dieci registi, da Amelio a Luchetti; la terza e ultima sezione propone letture e interpretazioni; in chiusura la filmografia.
Il libro “Morale e bellezza” dopo l’anteprima internazionale di New York, ha ora una première italiana al Festival di Lecce che ospita, dal 28 aprile, Bellocchio in ‘Protagonisti del cinema europeo’, presentando sia una ricca rassegna delle sue opere – dal suo saggio di diploma al CSC Ginepro fatto uomo all’ultimo suo lavoro Bella addormentata – sia una mostra di dipinti, disegni e frammenti di story board  del regista.

Bellocchio mi aveva già fatto un provino per un altro film, senza prendermi. Mentre per Il sogno della farfalla, si decise subito, dopo avermi fatto leggere alcune battute davanti alla macchina da presa. Si trattava di un testo molto complesso di Massimo Fagioli, che però poi sul set si fece vedere abbastanza raramente. Il film è stato girato quasi tutto sul lago di Como, salvo la scena del terremoto  che è stata fatta vicino a Roma.
Buongiorno, notte fu tutto sommato un set molto più tradizionale. Naturalmente ho sentito la responsabilità di interpretare Aldo Moro. Ma questa per me è una condizione normale, perché sento sempre la responsabilità dei ruoli che interpreto. Non è che mi faccia una scala di valori, per me restano importanti anche i personaggi meno pubblici. E’ chiaro però che nel caso di Moro, voleva dire impersonare uno dei più importanti esponenti politici italiani, il presidente della Democrazia Cristiana, una persona che tutti conoscevano e stimavano. Ma non ho mai pensato di non essere all’altezza, perché non ci sono rischi che mi spaventino davvero, se non quello di non fare bene.
Bellocchio non voleva fare un ritratto di Moro avvicinandosi dal punto di vista iconografico, così non è che io abbia costruito granché il personaggio. Semplicemente ho ascoltato alcune sue interviste, l’ho sentito alla radio, mi sono vagamente ispirato al suo modo di parlare, ma senza tentare di raggiungere una somiglianza dei tratti fisici come Gian Maria Volonté in Todo modo di Elio Petri o ne Il caso Moro di Giuseppe Ferrara. Quello che Bellocchio mi chiedeva, era di trovare la condizione psicologica di una persona in quella situazione, di un prigioniero condannato a morte. E’ questo che mi ha guidato.

Ho letto però tutto quello che potevo. In particolar modo le lettere di Moro ai familiari mi hanno ispirato per entrare nella sua condizione di prigioniero che teme di essere condannato a morte. Tra l’altro, quando mi riprendeva, Bellocchio continuava a girare, molto spesso anche quando la scena prevista era finita, forse perché avvertiva in me una partecipazione particolare, e avere la sua macchina da presa che mi guardava, mi emozionava, e anche questo mi ha aiutato a entrare più dentro. E’ stata una preparazione di tipo sentimentale, emozionale. Ogni volta prima di girare, Bellocchio e io leggevamo insieme la scena, ma senza sviscerare più di tanto cose particolari. Il grado di temperatura emotiva evidentemente era quello giusto, e Bellocchio mi lasciava andare perché sentiva che ero esattamente nella dimensione del personaggio che lui voleva.
Ogni volta era sempre un dialogo a due, io sempre chiuso dentro la cella, non è che potessi fare tante cose, soprattutto dovevo sentire ciò che serviva ad esprimere il personaggio. Era una condizione molto intima. Bellocchio non fa molti ciak, non è il tipo di regista che va avanti all’infinito, e poi magari sceglie la prima. Nella preparazione ci siamo incontrati senza troppe discussioni, lui mi dava indicazioni, ma senza spenderci un tempo esagerato.
Bellocchio del resto, ha  una tale presenza che  ispira l’attore, la sua vicinanza è un modo per entrare in un’atmosfera, in un ambiente psicologico, spirituale, sentimentale già da subito: l’ho sempre pensato, e mi sono reso conto che anche gli altri attori sentivano la stressa cosa. Da grande artista sa creare un’atmosfera che nessuno si sognerebbe di ignorare. Dell’artista ha proprio la disposizione nei confronti della vita, del mondo, e quando propone anche soltanto una sceneggiatura si sa che è già una proiezione del suo modo di vedere le cose.

Bellocchio non distorce i fatti, li guarda dal suo punto di vista. Quindi non ha senso rimproverarlo, come spesso accade, di modificare la realtà, di vedere certi personaggi diversi da come la storia li ha tramandati. Accuse, cui risponde sempre: “Non pretendo di rifare la storia, ma voglio raccontare il mio modo di vedere, tipico di un artista che si preoccupa di esprimere se stesso”. Questo lo si avverte molto anche sul set, e gli rende possibile ottenere quello che vuole senza imposizioni. E’ una persona di grandissima serietà. Le scene in cui sono impegnato sono molto simili l’una all’altra, vista la situazione claustrofobica.
Però ricordo in modo molto particolare quella in cui Moro sta seduto accanto al letto di Maya Sansa come una specie di apparizione, come un sogno di lei, con un’espressione di rammarico estremo però contenuto, la ricordo perché una volta tanto recitavo fuori dalla gabbia. Poi c’è la scena finale, un colpo d’ala della sceneggiatura, perché l’idea di Moro libero dalla prigione delle Brigate Rosse è l’invenzione drammatica più toccante che si potesse immaginare nei confronti di chi ha vissuto la tragedia della sua uccisione. L’idea di questa liberazione impossibile è davvero straordinaria.
  
Quando abbiamo finito il film, Bellocchio mi ha detto di avermi scelto perché gli ricordavo suo padre. Ha fatto bene a non dirmelo prima, perché non avevo nulla a che fare con lui, ed era meglio che io mi concentrassi su Moro. Però, anche da quello che ho sentito, nel mio personaggio c’era effettivamente qualcosa di un padre, forse ci poteva essere anche in Moro e questo ha influito sull’esito.
Anche in Bella addormentata, in fondo, mi ha chiesto di fare un padre, seppure particolare, un senatore – cioè quello che dovrebbe essere ‘un padre della patria’ -, che è chiamato ad usare anche in politica il suo mestiere di psichiatra.
Roberto Herlitzka 

27 Aprile 2014

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