Guadagnino e Daniel Craig nell’immaginario ‘queer’ di Burroughs

Girato a Cinecittà dove è stato ricostruito un quartiere di Città del Messico, 'Queer' di Luca Guadagnino è in concorso a Venezia 81


VENEZIA – La domanda clou era inevitabile: “007 potrebbe essere gay?”. La risposta di Luca Guadagnino, regista del film in concorso Queer, è secca e precisa: “Dai, siamo adulti, nessuno conosce i desideri di James Bond, l’unica cosa che conta è che porti a termine le sue missioni”. E aggiunge: “Ammiro Daniel Craig da tanto tempo, sognavo di lavorare con lui ma siccome sono un tipo pragmatico non avrei mai osato chiederlo. Invece è stato un casting a propormelo. Abbiamo provato e lui ha detto sì. È uno dei più grandi attori viventi e una delle caratteristiche dei grandi attori è che sono generosi, capaci di mostrare la propria fragilità e mortalità sullo schermo”.

Daniel Craig nel film è Lee, un expat cinquantenne stropicciato e vacillante, prigioniero delle sue ossessioni e dei suoi desideri. Lee è il protagonista del romanzo semi autobiografico di William S. Burroughs, scritto nel 1952 ma pubblicato solo nel 1985 perché considerato troppo scandaloso e aperto nel mostrare l’omosessualità. Burroughs si specchia in un ricco americano che ha trovato rifugio in Messico e che trascorre le sue giornate (e soprattutto le nottate) da solo tra droga, alcol e ricerca di sesso fortuito in alberghetti fatiscenti. Fino all’incontro con Eugene Allerton (Drew Starkey), un giovane ed efebico studente che si dichiara eterosessuale ma che vive con lui una storia d’amore e di sesso che li porterà anche a viaggiare in Sudamerica, fino a incontrare una dottoressa americana che si è installata nella giungla e sperimenta gli effetti di un’erba, lo yage, capace di dare la telepatia. Tra atmosfere alla Cronenberg – del resto il maestro canadese aveva scelto Il pasto nudo, celebre romanzo del padre della Beat Generation – e scene molto sensuali, Guadagnino ha operato su Craig una trasformazione fisica e psicologica costata mesi di prove.

“Come sapete – dice l’attore britannico, che ammette di aver voluto lavorare con Guadagnino per decenni – non c’è niente di intimo in una scena di sesso girata su un set, attorniati da gente che ti guarda. Ma con Drew abbiamo cercato di rendere toccanti, reali e naturali quelle scene. Drew è un attore fantastico, un attore dotato di grande bellezza, abbiamo cercato di rendere tutto divertente”. E prosegue: “Abbiamo iniziato a provare con largo anticipo, per trovare la giusta intesa e per capire cosa avevamo in testa. La coreografia dei movimenti è stata fondamentale per trasmettere le emozioni dei personaggi in modo veritiero”. Starkey conferma: “Abbiamo avuto la fortuna di sperimentare tutto questo per mesi e sul set eravamo già pronti. L’approccio libero di Luca ha reso questa esperienza unica. Personalmente, non sono un ballerino, ma con Daniel alla fine abbiamo ballato bene insieme”.

Di gioia parla anche Luca Guadagnino, reduce dal successo di Challengers. “Il punto di partenza del film era un romanzo che avevo letto a 17 anni quando ero un ragazzo solitario e un po’ megalomane a Palermo. La vivida immaginazione di questo scrittore e la profonda connessione tra i due personaggi, l’assenza di giudizio, il romanticismo della loro avventura mi avevano colpito e cambiato per sempre. Volevo restare leale con il ragazzo che sono stato. La domanda che mi sono posto è questa: chi siamo quando siamo soli? E chi cerchiamo? Indipendentemente da chi sei, se ami un uomo o una donna, quando sei solo a letto con il sentimento di essere innamorato di qualcuno, quello è il momento che mi interessa”.

Guadagnino cita come modello Scarpette rosse di Powell e Pressburger. “L’ho visto almeno cinquanta volte e penso che i due maestri britannici apprezzerebbero le scene di sesso di Queer. Loro hanno sempre creato e immaginato mondi di fantasia”. E sul processo creativo aggiunge: “E’ stato a volte complicato, abbiamo creato tutte le scenografie (di Stefano Baisi, ndr) a Cinecittà, anziché in location. Burroughs è uno scrittore molto particolare e noi volevamo restituire il suo immaginario anni ’50, fondamentale è stato anche l’apporto del costumista Jonathan Anderson. Nel film ci sono molti riferimenti nel linguaggio visivo ad altri libri di Burroughs e non solo a Queer“.

How can a man who sees and feels be other than sad? si chiede William Burroughs nel suo diario personale l’ultima volta che scrive prima di morire – dice ancora Guadagnino, che nel film gioca molto con scelte musicali contemporanee dalla techno al pop – e sono parole cantate da Caetano Veloso. Nell’adattare il suo secondo romanzo con lo sceneggiatore Justin Kuritzkes abbiamo cercato di rispondere a questa invocazione pudica del grande iconoclasta. Lee ama Allerton, Allerton ama Lee: saranno in grado di incontrarsi nonostante tutti i passi falsi e le paure che agiscono su entrambi nel loro viaggio picaresco nel Sudamerica proiettato dalla mente di Burroughs? Volevamo ritrarre cosa significa amare, essere amati, trovare una connessione e disconnettersi”.

E a chi gli chiede della sua attrazione per il mondo della tossicodipendenza (vedi Bones and All), il regista palermitano risponde molto serenamente: “Vado a letto presto, non prendo droghe, non fumo, di recente ho perso 15 chili con un dieta e i miei amori si contano sulle dita di due mani. Sono molto rigoroso con le dipendenze. Ma amo osservare le persone senza giudicarle e trovo l’ossessione di Lee profondamente umana. Del resto è compito dei registi trovare l’umanità nei recessi più oscuri”.

Prodotto da Fremantle e The Apartment, società del gruppo Fremantle (Lorenzo Mieli), con la Frenesy di Guadagnino, in collaborazione con Cinecittà e Frame by Frame, il film uscirà in Italia con Lucky Red. Proprio a Cinecittà è stato ricostruito fedelmente un quartiere di Città del Messico negli anni ’50. Nel cast anche Lesley Manville, Jason Schwartzman, Henrique Zaga.

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03 Settembre 2024

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