Golino: “E’ una vittoria del cinema di ricerca”

E' un bis storico, quello di Valeria Golino, Coppa Volpi di questa 72ma Mostra e già premiata nel 1986 per Storia d'amore di Citto Maselli. Solo altre due attrici hanno conseguito una doppia vittoria


VENEZIA –  E’ un bis storico, quello di Valeria Golino, Coppa Volpi di questa 72ma Mostra e già premiata nel 1986 per Storia d’amore di Citto Maselli. Solo altre due attrici hanno conseguito una doppia vittoria come questa: Shirley McLaine e Isabelle Huppert. “Nonostante la consapevolezza diversa, provo la stessa infantile, ingenua, allegria di allora. Non cambia niente, spero che sia sempre così. Sono molto contenta per me e anche per le persone che mi vogliono bene, so cosa provano”. Raggiante e bellissima, l’attrice fa una lunga lista di ringraziamenti, “il mio regista, la sceneggiatrice Isabella Sandri, gli attori Adriano Giannini, Massimiliano Gallo, Salvatore Cantalupo, i tanti produttori, dieci in tutto, tra cui c’è anche il suo compagno di vita Riccardo Scamarcio. E poi “i miei amici non udenti che mi hanno aiutato in questa avventura”. E li ringrazia davvero nel linguaggio dei segni che il suo personaggio, Anna, usa per comunicare con il figlio sordomuto a cui è legatissima.

Più tardi, in conferenza stampa, ripercorrerà le tappe di una lavorazione piena di ostacoli. “A volte andava tutto bene a volte malissimo, mille problemi da risolvere. Ma forse proprio per questo l’esperienza umana è stata così intensa. Non vuol dire automaticamente che farai un bel film, anche se noi, credo, ci siamo riusciti. Ma quando tutto va liscio, inevitabilmente, anche se i rapporti sono più gradevoli sono anche più superficiali. Quando invece lavori sotto pressione, finisci per litigare, non sapere se finirai o meno il film, insomma tutto il folklore tipico del set, allora i rapporti diventano solidi, al di là della riuscita finale. Credo che io, Gaudino e i nostri collaboratori e produttori saremo legati per sempre da questa esperienza. Che in più sia apprezzata è un bellissimo finale per i nostri sforzi”.

Poi, parlando con Cinecittà News, ha ricordato che il film, che esce il 17 settembre con Officine Ubu, è un progetto davvero low budget, appena 700mila euro. “E’ vero, non servono tanti soldi per fare bei film, ma in questo caso la difficoltà era troppa. Se Beppe avesse avuto più tempo e più soldi, sarebbe stato molto meglio”. E aggiunge: “Bisogna sostenere il cinema di ricerca, che ha un punto di vista forte. Il cinema morirà, se vengono aiutati solo i film che hanno un modello televisivo”. E ricorda che ai tempi dell’altro premio c’erano così pochi soldi che, invece di una coppa, ebbe solo una targa. 

Sicuramente la giuria di Alfonso Cuaron ha privilegiato un cinema “povero”, spiazzando tutte le previsioni e i pronostici, lasciando fuori molti dei favoriti, dal cinese Behemoth a Francofonia di Sokurov. Il messicano Cuaron ha dato due premi importanti al cinema latinoamericano, che è certamente in una fase di grande espansione. Leone d’oro a Desde allà, opera prima di Lorenzo Vigas, primo film venezuelano mai entrato nel concorso di Venezia. Prodotto da un altro illustre messicano adottato da Hollywood, Guillermo Arriaga, già stretto collaboratore di Inarritu, qui coautore anche del soggetto, insieme al connazionale Michel Franco che era in concorso a Cannes con Chronic. Desde allà, interpretato dal bravissimo attore cileno Alfredo Castro (l’attore feticcio di Pablo Larrain) racconta con lo stile asciutto e ruvido tipico del nuovo cinema sudamericano l’incontro tra un odontotecnico cinquantenne e un ragazzo povero adescato per strada e pagato per spogliarsi. Quest’uomo grigio, meticoloso e anaffettivo, che non vuole alcun contatto fisico ma solo guardare e immaginare, viene folgorato dal giovane e violento Elder (Luis Silva, un diciannovenne che viene anche lui da un quartiere di duri), in cerca di una figura paterna. Grande entusiasmo di tutto il gruppo, all’annuncio del premio con abbracci e strette di mani e molti selfie, tra applausi e commozione. Il regista, che finora aveva girato solo il corto Los elefantes nunca olvidan, figlio del pittore Osvaldo, ha dedicato il premio al Venezuela, un paese “che ha una serie di problemi, ma può superarli se cominceremo di nuovo a parlare gli uni con gli altri”.

Sudamericano è anche il Leone d’argento alla regia, andato all’argentino Pablo Trapero per El Clan, prodotto tra gli altri dai fratelli Almodovar. Il regista, che qui al Lido, 16 anni fa, fu scoperto dalla Settimana della Critica con Mundo Grua, stavolta ha diretto la storia di una famiglia che, all’inizio degli anni ’80, sotto un’apparenza rispettabile e tranquilla, nascondeva l’aberrante realtà di un’anonima sequestri che si lasciò dietro una lunga scia di sangue, nella città di San Isidro.  

Doppio premio alla splendida commedia francese L’Hermine: miglior sceneggiatura all’autore e regista Christian Vincent – che ha ricordato il premio Fipresci vinto a Venezia per La discréte nel 1990 – e all’attore protagonista Fabrice Luchini, che dalla Normandia, dove sta girando Ma Loute di Bruno Dumont, ha mandato un lungo videomessaggio. Ricordando suo padre Adelmo, che veniva da Assisi e che cercava, invano, di insegnargli l’italiano. L’Hermine è la storia di un magistrato tutto d’un pezzo, antipatico e scostante, che rimette in discussione le sue idee su un processo grazie all’incontro con una donna di cui era stato innamorato. “Dimostra che nella giustizia e in amore non bisogna dare nulla per scontato”, come dice Vincent.

Il Gran Premio della giuria è andato allo splendido cartone in stop motion Anomalisa di Charlie Kaufman – sceneggiatore per pellicole di culto come Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello – e Duke Johnson. Un film che parla di rapporti interpersonali con grande originalità e capacità di introspezione e senza peli sulla lingua. Premio Mastroianni al giovanissimo Abraham Attah, il bambino soldato protagonista di Beasts of No Nation di Cary Fukunaga. Premio Speciale della Giuria al turco Abluka – Follia di Emin Alper, che con grande maestria racconta le periferie di Istanbul in preda alla violenza e al controllo sociale.

Tra i momenti da ricordare della serata, condotta senza fronzoli dalla madrina Elisa Sednaoui, l’appello For a 1000 Lives – Be Human, rivolto ai governi e all’Unione Europea (si può aderire online), lanciato dal presidente della giuria opera prima Saverio Costanzo, affinché le politiche europee siano ispirate “ai valori del rispetto, della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, anche delle minoranze, in uno scenario caratterizzato dalla non discriminazione, della tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e della parità tra uomini e donne”. Il Leone del futuro – Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis, consegnato da Antonio Albanese, è andato a un film di Orizzonti, The Childhood of a Leader dell’americano 27enne Brady Corbet, un inquietante ritratto di un dittatore da piccolo, che ha ottenuto anche il premio Orizzonti per la miglior regia.

Premiato in Venezia Classici il restauro realizzato dalla Cineteca di Bologna e dal CSC Cineteca Nazionale di Salò o le 120 giornate di Sodoma, l’ultimo film di Pier Paolo Pasolini. Salò è stato restaurato in collaborazione con Alberto Grimaldi, in occasione del 40° della morte di Pasolini, che ricorrerà il 2 novembre, quando il film sarà nelle sale. Per Gianluca Farinelli si tratta di un risarcimento. “Salò non aveva mai vinto nessun premio ed è stato a lungo un film impossibile da vedere, respinto, censurato, ritirato, persino oggetto di un attentato da parte dei fascisti, un film su cui grava la morte di Pasolini, ma oggi finalmente può essere guardato come un’opera profetica che parla del genocidio delle diversità”. 

12 Settembre 2015

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