Francesco Totti non c’è, alla Festa. All’evento clou di questa 15esima edizione. Il destino – quel destino che è sempre stato determinante nel suo percorso – ha voluto che un momento di celebrazione fosse offuscato dal grave lutto per la morte del padre. “E’ inutile speculare sul suo dolore – spiega Alex Infascelli, regista del film Mi chiamo Francesco Totti, presentato come Evento speciale – ma la sua reazione al lutto, il suo desiderio di essere solo, conferma quello che lui è. E poi voleva che parlasse il film, in cui ci sono tante sue parole”.
Ed è vero, per lui parla il documentario. 105 minuti di emozione pura, e non solo per i romanisti. Tanti tifosi di altre squadre avevano assistito al suo addio al calcio, nel 2017, all’Olimpico, quando in Curva Sud piangevano tutti. E il documentario parte proprio da lì, da quella notte amara ma anche trionfale. E’ la sua voce inconfondibile, la sua parlata romanesca, ad accompagnarci mentre ripercorriamo la sua vita. Fin da quando era piccolissimo e la prima parola pronunciata fu “palla”: in un super8 lo vediamo a Porto San Giorgio cercare di calciare la sfera.
Le immagini, alcune molto note, altre private e intime, trovano un senso nel racconto in prima persona. I momenti importanti ci sono tutti, gli incontri con quelli che hanno contato davvero per lui: innanzitutto la famiglia, il padre Enzo e la madre Fiorella, il capitano Giuseppe Giannini, gli allenatori, i compagni di squadra, l’amico Antonio Cassano, Ilary Blasi che conquistò con una maglietta con su scritto “6 Unica!” indossata sotto la maglia della A.S. Roma (ma se non avesse segnato, non avrebbe potuto mostrargliela, e il destino, ancora una volta, sarebbe cambiato).
Aggettivi per definirlo? “Vicino, straordinariamente vicino alla sua città nonostante la dimensione globale come campione”, secondo Nicola Maccanico di Vision che porterà in sala il 19, 20 e 21 ottobre con possibilità di prolungamenti, perché “speriamo che Totti faccia il miracolo di ridare impulso ai cinema”. Quindi il film passerà su Sky (il 16 novembre) e andrà in onda sui canali Rai.
La biografia del Capitano, basata sul libro scritto con Paolo Condò, è una coproduzione con Wildside, The Apartament, Vision Distribution, Fremantle e Rai Cinema in collaborazione con Sky e Amazon prime Video. E’ stato un film “rischioso” e “molto particolare”, dicono gli autori. E ci crediamo perché il Pupone è una figura mitica, l’eroe di un’intera città, ed è facile scontentare qualcuno. Alex Infascelli è stato scelto proprio perché non è un tifoso scatenato, spiega Lorenzo Mieli di Wildside. “Sapevo di rimbalzare su una città, sulle persone che lo circondano, i tifosi romanisti, i romani – dice ancora Infascelli, che ha scritto la sceneggiatura con Vincenzo Scuccimarra – Avevo bisogno di isolare un tema, la relazione tra Francesco e Roma”. Quell’amore che l’ha portato a non tradire mai la maglia giallorossa – nonostante l’offerta del Real Madrid – mentre è stata proprio la squadra a tradirlo nel tramonto della sua carriera calcistica quando, già quarantenne ma ancora capace di rivoluzionare il risultato di una partita con un solo tocco di palla, era tenuto in panchina dall’allenatore Spalletti (e qui l’atto d’accusa del Capitano si fa duro e senza sconti).
La produttrice Virginia Valsecchi spiega: “Il giorno del suo addio ha dimostrato di essere un mito e i miti devono essere raccontati. Quando ho letto il libro, ho pensato di doverne prendere i diritti”. “Tutto quello che viene narrato nasce da Francesco”, dice ancora Infascelli, che lo considera coregista a tutti gli effetti. “Io quello che ho fatto è stato ascoltare questa voce e proteggerla. L’ho solo tradotta in un linguaggio cinematografico. Ho pensato subito: o è un duetto o non se ne fa niente. Non volevo parlare di calcio, volevo parlare dell’uomo”. Quando ha spiegato a Totti che lui di calcio non capiva molto, il Capitano è stato contento: “Mi ha detto ‘sei perfetto’, e da lì abbiamo cominciato. Ci siamo seduti sul divano col microfono aperto e una tazza di caffè a commentare le immagini che avevo trovato e scelto”.
Certo, non manca la retorica nel documentario, che ci mostra Totti come l’eroe di un popolo. “E’ cristologico come lo è Roma, città cattolica, e cattolica è la sua famiglia. Francesco aveva un’immagine di Padre Pio vicino al letto e sentiva di avere un dono”, sostiene ancora Infascelli. E sono bellissime le immagini dell’infanzia, le partite della Lodigiani, “la terza squadra di Roma, o forse la seconda, perché la Lazio viene dopo”, come scherza Totti. Eccolo bambino già guidato dall’istinto infallibile. I suoi primi “rigori” sono i tiri contro i compagni nel gioco delle “paperelle”, nel cortile di scuola. E Francesco si rivela anche attore, per dote naturale, con un’istintiva e immediata presenza scenica che fa del documentario un vero film, un oggetto godibile al cento per cento.
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