Emma sono io, un titolo che ammicca a Madame Bovary anche se la protagonista della commedia di Francesco Falaschi ha poco a che vedere con la triste eroina di Flaubert.
Interpretata da una scatenata Cecilia Dazzi, Emma è una trentenne affetta da ipomania, un disturbo dell’umore che la rende iperattiva e spietatamente sincera, preda di un’irrefrenabile euforia e di comportamenti che agli occhi degli altri appaiono eccessivi e insoliti.
Per caso smette di prendere le pillole al litio che la riportano alla piatta normalità e sceglie di seguire l’istinto trascinando chi le sta vicino, dal padre all’amica sull’orlo dell’altare, in situazioni assurde che si trasformano in una sorta di psicoterapia collettiva.
Prodotto da Film Trust Italia in collaborazione con Rai Cinema, ambientato in un casale del grossetano, la zona più aspra e meno conosciuta della Toscana, la regione di Falaschi, il film uscirà il 15 novembre nelle città capozona. Nel cast anche Pierfrancesco Favino, Elda Alvigini e Marco Giallini.
In alcune sale sarà accompagnato dal cortometraggio Cassa veloce dello stesso regista. Vincitore del premio CortoCoop 2001, è interpretato ancora da Cecelia Dazzi.
Partiamo dal titolo. Perché la citazione di Flaubert?
All’inizio avevo in mente altri titoli: Onde, che ricordava l’oscillazione ciclotimica, e Disturbi dell’amore, gioco di parole sui “disturbi dell’umore”. Poi ho scelto Emma sono io perché il nome sembra significhi “energia” e quella frase è un affermazione di autoconsapevolezza. Evoca il bisogno di riconoscersi per quello che si è. L’assonanza con “Madame Bovary c’est moi” è venuta dopo. Ora mi piacerebbe che gli spettatori s’identificassero in qualche modo con Emma e la sua “pazzia”, tanto da affermare: “Emma sono io”.
Che cosa ti ha affascinato dell’ipomania?
Tutto è cominciato quando ho letto L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver Sacks che descrive alcuni casi clinici tra cui quello di un uomo affetto da ipomania. Un musicista che passava da momenti di grande creatività ad altri di piattezza. Poi, durante una vacanza, una mia vicina ipomaniaca ha solleticato il mio voyeurismo e il desiderio di approfondire l’argomento. Ho pensato che un personaggio del genere era l’ideale per una commedia perché privo di cinismo, caldo e generoso, anche se un po’ grillo parlante e soprattutto in grado di scatenare un effetto domino sulla vita altrui.
Che fonti hai usato per dare credibilità al personaggio?
Molti testi di psichiatria tra cui Una mente inquieta di Kay Jamison in cui una paziente afferma che se potesse rinascerebbe con la malattia. Poi con Cecilia abbiamo incontrato alcune persone che convivono con disturbi dell’umore. Ma non mi interessava offrire al pubblico un trattato scientifico, così ho scelto di mettere in scena una forma lieve di ipomania che pure è credibile dal punto di vista clinico. Così Emma eccede spesso nelle spese, tende ad organizzare la vita di chi le sta vicino, si ribella a chi vorrebbe imporle “la camicia di forza chimica” ovvero i farmaci che hanno effetti collaterali non trascurabili. Il suo è uno stato di coscienza alterato positivamente che sconvolge la vita dei trentenni indecisi, che la circondano in modo benefico.
Nella sceneggiatura i personaggi femminili sono delineati in modo più forte. Eppure è stata scritta da due uomini.
Forse la conoscenza dei nostri limiti ci ha influenzato in fase di scrittura. Poi ho pensato che un personaggio di tale forza e onestà, ricco di aspetti eroicomici, non potesse che essere una donna.
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