FRANCESCO BROCANI


Lo definisce una “cosa audio-e-visiva”. Medicina, i misteri di Francesco Brocani – con Olimpia Carlisi, Gianna Breil, Paolo Graziosi e Pietro Faiella -presentato come una sorta di giallo metafisico, è anche la storia di una donna, forse plagiata dai genitori. La trama si svolge in maniera anti-narrativa e in realtà sono più evidenti le suggestioni visive, i fili invisibili tra passato, presente e futuro, i profondi silenzi e i dialoghi filosofici, tutto condito da sprazzi fantasmatici e musica straniante, in un’atmosfera soffusa dove l’arte è sempre in primo piano. Il regista, d’altra parte, proviene dal cinema d’avanguardia, ed è stato anche stretto collaboratore del pittore Mario Schifano per i suoi film.

Una visione di cinema radicale.
Non c’è nessuna cosa più violenta del pensare, tanto è vero che oggi in tv trasmettono le cose più efferate, la violenza spettacolarizzata, ma non il “pensare”, e io faccio cinema proprio soltanto di provocazione di pensiero. Io parlo in modo chiaro: la vergogna è che nel cinema italiano di oggi ci siano dei film come quelli di Muccino, che è considerato un grande regista. Benigni bisogna dire che è un genio, ma in quest’ultimo film come regista non esiste. Un bambino, figlio di una mia amica, dopo mezz’ora fa: “Mamma, ma quando arriva Pinocchio”; la fata dai capelli turchini potrebbe essere un personaggio della famiglia Addams.

Ad un certo punto i personaggi parlano di impulsi temporanei, contrapposti a progetto rigoroso. Quale di questi metodi ha fatto suo per la messa in scena?
Quello che viene prima è certamente il progetto, lo schema intellettuale, e poi il renderlo vivo. In questo film prevale la progettualità. Molta importanza ha però il montaggio perché si può montare in mille modi diversi, le scene non hanno necessariamente una collocazione precisa, allora c’è un margine di impulsività.

Una metafora interessante vede la creazione artistica come una casa che cerca di essere infestata dagli spiriti. Quali “spiriti” ha voluto mettere in questa sua opera?
La direzione è quella di rendere innaturale la vita: una favola psicanalitica. Io credo nella separazione, non credo nella fusione di tutto. Credo in questa armonicità nucleare, dove ogni cosa è distinta, ma da sola non è nulla. Però non è una melassa, cosa che è oggi la cultura, dove tutto è così, non c’è niente di distinguibile, di definibile.

Problemi nel realizzare un progetto così diverso?
Il film a livello di ambienti è molto sontuoso. Me li hanno tutti messi a disposizione gratis degli amici. C’è la sequenza di una festa, ad esempio, dall’orientamento simile alla ritualità kubrickiana in Eyes wide shut.

10 Novembre 2002

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