VENEZIA – “Io mi trovo più a mio agio con i personaggi femminili, non è una strategia pensata freddamente, è più naturale, imprevedibile, divertente, da maschio imparo. Un’esperienza più elettrizzante. La volontà iniziale era raccontare l’omicidio di Wilma Montesi, uno spartiacque nell’opinione pubblica: le cronache raccontano che lì l’Italia avesse perso l’innocenza; nel tempo abbiamo sviluppato un non-empatizzare con la vittima, nel gioco perverso di vedere cadere qualcuno. Mimosa (Rebecca Antonaci) esce nel tentativo di cambiare un epilogo: così, è un personaggio che segue il sentiero della Montesi ma con un epilogo che riconsegna la dignità della memoria”, così Saverio Costanzo, autore di Finalmente l’alba – in Concorso a Venezia 80 – racconta la spinta di propulsione del suo romanzo di formazione per il grande schermo, che nasce e cresce nella Cinecittà degli Anni ’50.
Con riferimento al caso Montesi, inevitabile è riconnette quel drammatico omicidio alla cronaca più attuale, alla ormai quotidiana ricorrenza del femminicidio. Costanzo spiega che “lavorando sull’epoca da tanti anni, ho capito che ti permette di guardare senza sociologismi quella di oggi, in cui non siamo così diversi. Gli Anni ‘50 erano più semplici, mentre questa Italia la ritengo pericolosa. Montesi è stato un archetipo; io sono entrato in contatto con questa storia e la sentivo ripetersi nell’oggi, tornavo lì: le immagini servono a dare forma alla memoria”.
Una memoria che Costanzo ha scelto di mettere per gran parte sulle spalle di Rebecca Antonaci, al suo primo film importante: se per lei “Mimosa è essenziale, semplice, mi ha colpito il suo lato vero, non finge di essere qualcun altro”, per l’autore l’attrice “Rebecca è stata una fortuna per me, come lo sono stati Adam Driver e Luca Marinelli. Ho girato solo una pubblicità, e mi è servita a capire che mi interessasse Rebecca, in quell’occasione adolescente nella stanzetta: mi aveva colpito perché in quel luogo piccolo e pieno di gente, nell’attesa lei era rimasta lì, riuscendo a fare vuoto nella confusione, concentrandosi. Io stavo scrivendo il film in quel periodo e ai provini l’ho voluta vedere tra le prime, seppur poi abbia cercato il meglio per un anno, ma evidentemente non l’ho trovato”.
Per questa storia, Saverio Costanzo, dunque, cerca il periodo e un periodo che connette ad un luogo specifico, ventre operoso di sogni, Cinecittà, appunto: “mi sono divertito nel ricostruire quel tipo di iconografia: Cinecittà non è soltanto uno studio cinematografico, non è solo come cade il sole o la Storia che si respira lì; io giravo le scene del peplum e vedevo le persone sul set in mutande, poi le immaginavo la sera tornare in lambretta: Cinecittà siamo noi”. E, proprio su Cinecittà, che ha collaborato alla produzione del film, l’AD Nicola Maccanico, intervenendo in occasione dellaconferenza stampa ufficiale del film alla Mostra, commenta che “per Cinecittà questo film è un’incredibile opportunità, e che accada proprio in questo momento non è un caso: è bello collaborare e per noi è stato un modo di dimostrare cheCinecittà potesse essere all’altezza di un progetto così ambizioso. Credo si possa raccontare a parole Cinecittà, maSaverio la racconta nella sua anima”.
Nella storia, da Cinecittà si esce, per entrare poi nella notte, temporale e metaforica, incontrando profili umani nel loro lato più oscuro, che per Costanzo non sono da considerare “negativi. Questo è anche un film sugli attori, sono un po’ i nostri eroi, quelli che in un film hanno più da perdere. Nel mio film sono solo insicuri: nell’incontro con Mimosa, personaggio come una carta bianca, ciascuno può scrivere la sua storia, togliendo i filtri. Mimosa è come uno specchio su cui ognuno riflette la verità di se stesso. L’essere diva negli Anni ‘50 credo fosse un inferno, questo per il personaggio di Lily James: le attrici dovevano essere sempre ammalianti, fatali, e lei ha le nevrosi tipiche di chi è sempre sotto l’occhio di bue. Dafoe è una specie di Caronte buono. I negativi sono gli squali da salotto, non gli artisti, piuttosto quelli che stanno intorno”.
Finalmente l’alba viene considerato – per lo standard medio della produzione italiana – un film dal budget inusuale, che Costanzo commenta dapprima ammettendo “una buona dose di incoscienza ma per arrivare a questo c’è stato un copione scritto in maniera onesta con me stesso, riuscendo poi a convincere le persone, che hanno dato fiducia al film e a me. Non riesco strategicamente a pensare, tutti i film hanno lo stesso processo creativo: poi, ci sono storie che hanno una necessità più immediata o bisogno di più mezzi. Ma questa riflessione sul budget non verrebbe fatta se questo film fosse americano, qualcosa su cui riflettere”.
Il film è prodotto da Wildside (Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa) e Rai Cinema (Paolo Del Brocco): per Gianani “noi italiani siamo bravi a utilizzare le nostre risorse, creando spettacolo usando quello che abbiamo; non facciamo operazioni sfrenate o fuori controllo. L’importante è il come saper usare le risorse, ci sembra ovvio che lo spettatore della sala abbia bisogno anche di grande spettacolo”. Per l’AD di 01 Distribution: “il budget è al servizio del film e non al contrario. La cosa che mi ha colpito molto è Cinecittà, che è un personaggio del film: credo possa essere uno degli elementi a favore dell’internazionalità del film stesso”.
Infine, Costanzo, con riferimento alla sua fortunata esperienza seriale (L’amica geniale), ammette che però “il cinema ha un fuoco in più, una spinta propulsiva che anche le serie più belle non hanno nell’immediatezza. Imparare a guardare il cinema è imparare a guardare se stessi, per guardare anche i contorni più difficili, sbiaditi, interiori”.
di Nicole Bianchi
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