Filippo Tirabassi: “Non solo attore. Spero di debuttare presto alla regia con una mia sceneggiatura”

Il 34enne è tra i protagonisti della commedia di Max Nardari 'Amici per caso', attualmente nelle sale. Ha pronto un film, che vorrebbe dirigere, e che parla anche della generazione degli over trenta


Filippo Tirabassi avrebbe voluto fare il musicista. Poi intorno ai 20 anni è andato a Londra dove per due anni ha studiato regia. Rientrato a Roma, si è iscritto all’Accademia di recitazione di Patrick Rossi Castaldi. Quando il padre Giorgio lo ha visto al saggio di fine anno, gli ha detto: “Puoi fare questo mestiere”. “Era il suo modo di dirmi bravo”, ci racconta l’attore, che l’anno dopo è entrato al Centro sperimentale di cinematografia.

Ora, il 34enne, è il protagonista, insieme a Filippo Contri, della commedia Amici per caso, diretta da Max Nardari, attualmente nelle sale. Con il collega di set, aprirà anche la stagione del Teatro Off/Off di Roma in un testo a due che parla di fluidità. Ma nel cassetto Tirabassi ha il sogno di debuttare alla regia. Da qualche anno ha pronta una sceneggiatura, scritta con un collega del Csc, che parla anche della generazione dei trentenni, di cui fa parte, “poco raccontata al cinema e sul piccolo schermo”.

Filippo, chi è Omero che interpreti in Amici per caso?

Un giovane gay, serio e posato, che rifiuta la proposta di matrimonio del suo ragazzo. Ha bisogno di trovare un nuovo inquilino per pagare le spese di casa e alla fine si ritrova come affittuario Pietro, un ragazzo rozzo e tifoso sfegatato della Roma, completamente diverso da lui, per carattere e abitudini. Tra i due, nonostante le differenze, nascerà un’amicizia, anche se ci vorrà del tempo. 

Cosa ti ha convinto a prendere parte al progetto?

Già dalla prima lettura mi ha molto divertito. Ho capito il tipo di atmosfera di questa commedia degli equivoci, leggera e divertente. Poi si è creato un bel gruppo di lavoro. Il film ha anche un messaggio importante, che la diversità è qualcosa di bello da scoprire, e che spesso viviamo legati a troppi pregiudizi. 

Quanto è difficile trovare il film o il ruolo giusto?

È quasi impossibile. Siamo moltissimi rispetto al passato, e ci sono sicuramente degli attori che vengono richiamati dalle produzioni più di altri. Però io non sono del partito che piange perché alcuni nomi lavorano più di me. Non gioco la partita di Marinelli o Borghi. Io cerco di fare del proprio meglio in ciò che faccio. Sicuramente questo non è un mestiere per tutti, anche se sono in molti a pensarla diversamente.

Quando hai scelto di fare l’attore?

Intorno ai 20 anni. Prima volevo fare il musicista. Poi mi sono trasferito a Londra dove ho studiato regia due anni. Una volta rientrato a Roma ho studiato all’Accademia diretta da Patrick Rossi Castaldi e successivamente sono entrato al Centro sperimentale sempre come attore.

Essere un figlio d’arte è una fortuna?

Può essere un’arma a doppio taglio. Di certo, a me non è mai valso una scorciatoia. Quando sono entrato al Csc, all’inizio ero in paranoia. Pensavo che mi avesse aiutato in qualche modo chiamarmi Tirabassi, ma non è stato così e ho avuto le mie conferme dai professori e dai compagni. Io proseguo il mio cammino da solo. Si dice che vanno avanti i ‘figli di’, ma non mi sembra che sia il mio caso. 

Cosa ti ha detto tuo padre Giorgio quando ha saputo che volevi fare l’attore?

La prima volta che mi ha visto in scena, al saggio finale in Accademia, mi ha detto: “Puoi fare questo lavoro”. Era il suo modo di dire che ero stato bravo.

Nel tuo futuro prossimo cosa c’è?

Con Filippo Contri è nata un’amicizia vera sul set del film e a ottobre inauguriamo la stagione del Teatro Off/Off di Roma con un testo a due, inedito e molto moderno, scritto dal direttore artistico Silvano Spada, che dovrebbe chiamarsi Sesso al fluidity.

E la regia, è qualcosa a cui pensi?

Spero di debuttare dietro la macchina da presa, prima o poi. Da cinque, sei anni ho pronta una sceneggiatura che ho scritto con un compagno del Csc, e che parla anche della mia generazione di mezzo, poco raccontata. Noi over 30 siamo troppo giovani per fare i padri, e troppo vecchi per fare i figli. Ma ci sono molte tematiche che ci appartengono e che andrebbero esplorate sul grande e piccolo schermo, mentre oggi si fanno tanti progetti solo sui giovanissimi.

Certo, non è un momento semplice per esordire alla regia. 

Si fa fatica, in generale, a fare film e anche per i giovani che vogliono debuttare non è facile, soprattutto se scrivi un film che per i produttori non incassa. È difficile trovare fondi e fiducia. Sono anni particolari. Quando ho portato il mio progetto ad alcuni produttori, la risposta più frequente è stata: “Non vedo il soldo”. Sicuramente loro guardano a quello, ma bisognerebbe considerare anche il valore artistico di un film.

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