Fascista e comunista, licenziati, in cima a una torre

Un operaio di destra e un sindacalista di sinistra sono i protagonisti di 'Patria' di Felice Farina, distribuito da Luce Cinecittà in autunno e ispirato all’omonimo libro di Enrico Deaglio


VENEZIA. “Per i personaggi dell’operaio di destra e di sinistra, ho lavorato per archetipi, su una coppia antitetica, perché volevo fare un film popolare e così rispondo in anticipo ai critici raffinati che scriveranno che i due protagonisti sono troppo semplici. Sono partito da una coppia della commedia italiana: Don Camillo e Peppone”. Felice Farina parla così del suo Patria – Venice Days e distribuito da Luce Cinecittà in autunno – accolto con favore in sala e ispirato all’omonimo libro di Enrico Deaglio, una cavalcata negli ultimi trent’anni di storia italiana a partire dal sequestro e l’uccisione di Aldo Moro.

Nel film Salvo, Francesco Pannofino, Giorgio, Roberto Citran, e Luca, Carlo Giuseppe Gabardini sono tre operai di una piccola fabbrica torinese che chiude e licenzia nel silenzio e nell’indifferenza generale. Una rabbia repressa e incontrollata porta Salvo, operaio qualunquista, alla protesta estrema: la minaccia di buttarsi dalla torre della fabbrica su cui è salito. Giorgio, rappresentante sindacale di sinistra, lo raggiunge per salvarlo e ricondurlo alla ragione. Anche Luca, custode ipovedente e autistico della fabbrica, simpatizza con la protesta e li raggiunge sulla torre. Lassù in cima, nel corso di una notte, ripercorreranno quel trentennio di storia del paese, senza scorgere una possibile via d’uscita mentre di sotto solo il TG3 s’interessa per un attimo del loro caso e soprattutto un arrabbiato commissario di polizia.
     

Farina fa risalire la scoperta del libro di Deaglio ai tempi del caso Ruby. “Dopo l’ennesima serata a piangersi addosso, un’amica me lo ha consigliato per capire come mai fossimo arrivati sino a quel punto, forse meritandocelo. Ho letto questo volume di novecento pagine, dove tutte le vicende sono legate da un intenso rapporto causa-effetto, e poiché amo le sfide, ho pensato al film avendo come guida un antico proverbio che Rossellini aveva fatto suo: ‘Se non sai dove andare, guarda da dove vieni’ ”.

Il regista ha studiato il libro dal punto di vista della cronologia e poi l’ha recuperato dal punto di vista emotivo. L’idea iniziale, poi abbandonata, era quella di un documentario con la voce narrante. Poi, Farina, pensando a una classe operaia che a partire dagli anni ’80 comincia a dissolversi, ha costruito la storia di una solitaria e disperata occupazione, di poche persone. E nella fiction del film, costato solo 600mila euro,  le immagini di repertorio s’innestano dolcemente, grazie al paziente lavoro di montaggio di Esmeralda Calabria.

L’idea della torre? “Volevo mostrare una situazione estrema di chi perde all’improvviso il lavoro venendo da un minimo di benessere. Ho colto qualcosa che era già nell’aria, perché nel settembre 2012, una settimana dopo che io e la sceneggiatrice avevamo pensato a una situazione estrema, è accaduto che due operai sindacalisti dell’Alcoa, in Sardegna, sono saliti in cima a un silos per protestare”, spiega il regista.

Pannofino è il tipico qualunquista di destra cresciuto, analfabeta, nella periferia palermitana; Citran, con il quale il regista aveva già lavorato in Condominio, è il sindacalista di sinistra che viene dai girotondi, dalla società civile. E in Patria va in scena la destrutturazione di questa antinomia, con il gioco continuo dei due che si danno del fascista e del comunista.

“Sono incazzato di mio e in quanto italiano. Salvo è un uomo semplice, condizionato dai lustrini tv non ha mai approfondito il suo ruolo sociale se non nel momento in cui sta per essere licenziato e perde la donna”, dice Pannofino.

Citran con Pannofino avevo già fatto coppia in Notturno bus e Scontro di civiltà per un ascensore in piazza Vittorio: “Anche lì ci scontravamo, i litigi ci vengono naturali anche per diversità di carattere. Ma qui i nostri personaggi comunicano alla fine una solidarietà umana da cui ripartire”.

Per Gabardini il suo Luca, in un periodo di assenza di ideologie, rappresenta in fondo un po’ tutti gli italiani che hanno un deficit di lettura della realtà, “non a caso è autistico e l’unica cosa che è in grado di fare è memorizzare tutti i dati, in assenza di memoria collettiva”.

Deaglio è onorato e ammirato del film che peraltro si volge nella sua città d’origine, Torino. “Onorato perché pensavo che non ce l’avrebbe fatta ma  Felice ha messo tanta passione nel volerlo realizzare, affidandosi a un’idea narrativa brillantissima. Ammirato  – continua il giornalista – perché ho avuto la sensazione di un film profondo, che lavora dentro lo spettatore, oltre la bravura degli interpreti e la qualità dei dialoghi e l’uso attento dei materiali di repertorio. Tutta quella storia d’Italia diventa un flusso potente che provoca il pubblico”.

05 Settembre 2014

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