BARDOLINO – Il Bardolino Film Festival (19-23 giugno) per la sua quarta edizione ha scelto un maestro dell’animazione, Enzo D’Alò, per creare la locandina di quest’anno, un omaggio alle atmosfere del luogo che ospita la manifestazione, il Lago di Garda, ma anche alla bellezza dell’eternità possibile di certi racconti e di certi personaggi – qui, il gatto Zorba e la gabbianella Fortunata, protagonisti del film animato La gabbianella e il gatto (1998), dallo scritto di Luis Sepúlveda, che per il grande schermo ha prestato la voce nel ruolo del Poeta.
Enzo, qual è il segreto dell’immortalità del gatto e della gabbianella, di quello che rappresentano? E, per la locandina di Bardolino 2024 – che come tema dell’edizione ha scelto ‘Ritrovarsi’ – come li ha reinterpretati, dopo oltre 25 anni dal film?
Zorba e Fortunata sono portatori di un messaggio eterno, che andrà avanti per sempre: la lotta contro l’ingiustizia, l’affermazione che l’odio che non esista tra due specie che dovrebbero odiarsi per natura, quindi – anche nel paradosso dell’incontro tra un gatto e un uccello – è l’amore che vince su tutto. Ci sono anche esempi in Natura di gatti che adottano uccellini, e non penso che nessun animale abbia prima visto il film! Dunque, evidentemente gli animali hanno da insegnarci tutto. L’amore per il film è servito, spero, anche alle nuove generazioni per superare certi ghetti, attraverso il messaggio di questi due personaggi: per questo, penso ci sia vita eterna per loro. Il tema ‘Ritrovarsi’ di Bardolino mi è piaciuto: mettere Zorba e Fortunata sul lago, che si abbracciano dopo tanto tempo – per cui sarebbe potuto anche essere un sequel del film -, è il motivo per cui abbiamo scelto di costruire il manifesto proprio con loro.
Una locandina possiede una staticità apparente, è come un fermo immagine, ma è fondamentale sia dinamica perché sintetizza il cinema, arte delle immagini in movimento: come si deve comporre una locandina affinché non sia un disegno o una fotografia, ma un quadro cinematografico momentaneamente fermo, eppure che racconta?
La staticità cerchiamo di evitarla anche quando costruiamo le scenografie di un film: questa locandina è stata disegnata da Marco Zanoni, bravissimo animatore, di grande esperienza, che ha lavorato in tutti i miei ultimi film, una persona abituata a disegnare il movimento, che si crea dando dei punti di fuga sulle scenografie, lavorando con i diversi fuochi: è un discorso tecnico che diventa anche artistico nel momento in cui bisogna comporre un’immagine. E anche qui i due personaggi non sono in posizione statica, ma dinamica, stanno compiendo un gesto che li porta a sbilanciarsi uno verso l’altro, che gli dà questa forma, quasi a cuore, mentre si abbracciano. In generale, la dinamicità la si ricerca sempre in un’azione, non lasciando per esempio il personaggio con le braccia penzoloni, o con il centro di gravità del corpo esattamente simmetrico, cercando di metterlo magari leggermente di profilo: è così che si percepisce poi il dinamismo, che quindi cogli anche in un’immagine ferma.
Prendendo ancora spunto dalla locandina, si rinnova la riflessione sulla certezza che l’animazione non sia solo un linguaggio per bambini: questo Festival non lo è affatto eppure ha scelto un’illustrazione dai tratti apparentemente infantili per raccontarsi.
Infatti, l’illustrazione non ha tratti infantili: per altro, con Zanoni e Alessia Cordini, che ha realizzato la scenografia, abbiamo pensato di ispirarci alle immagini dei manifesti degli Anni ’50-’60, un’epoca in cui raccontavano molto bene le situazioni di vacanza, di viaggio nelle località di villeggiatura, dunque abbiamo raffigurato il lago di Bardolino secondo questo spirito. Così come questa locandina non è per bambini, non lo è nemmeno il cinema d’animazione, una lotta che io personalmente porto avanti da almeno quarant’anni, perché l’animazione, che è cinema a tutti gli effetti, è solo una tecnica di racconto: pensando a La gabbianella e il gatto, chi non si commuove alla scena finale, in cui Fortunata se ne va? È senza età il coinvolgimento. E poi, cosa vuol dire ‘film per bambini’? Qualche volta ho il dubbio che si celi un concetto di ‘bambino’ un po’ antico e, soprattutto, un po’ sbagliato, come se il bambino non fosse in grado di comprendere certi messaggi: in qualche modo, così si umilia il bambino e di conseguenza la categoria dell’animazione, che diventa una sottocategoria, come se animando si facessero discorsi più semplici perché rivolti ai bambini. Entrambe le cose sono errate e comunque i bambini spesso colgono prima degli adulti i messaggi, perché escono dagli schemi, non sono stati omologati, sono spiriti liberi dalla società.
Da bambino, la sua fantasia da dove attingeva ? E, pensando alle opportunità a cui sono esposti i bambini attuali, che confronto può fare tra la sua infanzia e quella presente?
Per me fondamentale è stato il piacere della lettura, ho cominciato a leggere molto presto: passavo le giornate sdraiato sul letto a divorare libri e credo che questo sia stato importante perché la lettura ti fa regista di quello che stai leggendo; la parola è una convenzione, sono dei segnetti neri che ci danno la possibilità di costruirci i film, perché noi lettori ascoltiamo le voci dei personaggi che parlano, guardiamo i loro volti anche se non sono stati disegnati da nessuno, vediamo paesaggi e, a volte, sentiamo anche delle musiche di sottofondo, perché tutto ci porta a coinvolgerci dentro al libro. La lettura, sì, ci porta a essere registi di noi stessi. Poi, un’altra cosa che a me è servita molto è stata lavorare con i bambini, per cui ho cominciando facendo film con loro, per oltre dieci anni: ho sempre apprezzato il loro modo di riuscire a costruire la drammaturgia, la storia. Sono formidabili perché hanno il piacere di raccontare: se gli offriamo gli strumenti lavorano benissimo perché non hanno fretta di concludere la storia, perché si stupiscono di tutto, e questo a me ha insegnato molto e lo applico, perché certamente ho imparato più di quello che ho insegnato.
E invece chi è l’Enzo D’Alò spettatore? Nella vita, di che cinema s’è riempito gli occhi e magari l’ha ispirata, e qual è quello che predilige guardare nel tempo presente?
Sono abbastanza onnivoro, anche se non guardo proprio tutto… e di animazione mi piace guardare anche i film asiatici. Nei film europei dal vero, certe volte, si sente una recitazione che a me fa venire in mente quella dell’animazione, e non mi fa impazzire: io, nei miei film d’animazione, cerco infatti di ridurre il più possibile le vocette, la gesticolazione eccessiva, proprio per prediligere l’acting, l’espressività dei volti e degli sguardi, i piccoli gesti, invece vedo che questi elementi fondamentali nel cinema dal vero a volte vengono integrati da delle tecniche più tipiche del cinema animato. Sin da bambino mi sono nutrito di cinema, da Stanlio e Ollio ai Fratelli Marx: ho sempre amato questo tipo di umorismo, come quello di Buster Keaton, e poi il cinema dei grandi maestri come Hitchcock, Woody Allen, che mi piace molto, per cui sento sempre che ogni passaggio sia funzionale, ogni discorso sia motivato; sono linee guida che hanno tutti i grandi del cinema. Sarebbe difficile una classifica. Penso anche a Alan Parker, a Stephen Frears, che hanno lavorato con Roddy Doyle prima che lui accettasse di fare con noi Mary e lo spirito di mezzanotte. Quello che non amo sono i film banali, che non ti fanno riflettere, che quando esci dal cinema ti chiedi cosa tu abbia visto: oggi, ancor più di ieri, il nostro tempo è centellinato in decine di attività, quindi spegnerlo per due ore è un peccato. Ecco, quello che manca, secondo me, è una bella educazione cinematografica a scuola, manca proprio: c’era stato un momento in cui il discorso sembrava cominciato, poi il filo s’è spezzato e siamo punto e a capo.
È attualmente al lavoro su Fiammetta, quindi Boccaccio e Napoli. L’ha scritto pensando a più livelli di lettura? E sta immaginando, magari, voci pop a cui affidare il racconto, come fu con Carlo Verdone per Zorba?
Fiammetta è una bella scommessa, descrive la Napoli del Medioevo, di cui si hanno poche tracce anche dal punto di vista archeologico. E poi sì, si parla di Boccaccio nel momento della sua formazione: ci sono tanti momenti effettivamente storici, non è tutto inventato, a parte la drammaturgia della relazione d’amore giovanile tra loro due, fatta di sguardi, sorrisi e situazioni imbarazzanti, ma niente di compiuto, infatti poi torniamo alla realtà, dove sappiamo bene che il rapporto tra Boccaccio e Fiammetta non s’è mai sviluppato. Come in tutti i miei film, da La freccia azzurra in avanti, ci sono diversi livelli di lettura, ma non comprensibili per fasce d’età, più comprensibili rispetto alla scelta che lo spettatore fa guardando il film: c’è sicuramente la parte ludica, ma si parla anche di una questione storica, con un intrigo di corte che mette a rischio la vita di Boccaccio e Fiammetta, insomma ci sono degli elementi che permettono di entrare un po’ nella Napoli medievale, che comunque è Napoli, la mia città, che – come ho fatto con Opopomoz – mi fa sempre piacere raccontare, e sono curioso di vedere in che modo quella del Medioevo possa riempire l’immaginario degli spettatori di oggi. Per le voci, il casting viene fatto nel momento in cui siamo in dirittura d’arrivo, perché anche per questo film avremo voci originali inglesi: lavorando in Europa, con animatori dal mondo, è importante una lingua universale; la fase di doppiaggio in italiano, poi, è un privilegio, perché permette di cesellare e rifinire ulteriormente, e l’italiano colora ancor di più. Fiammetta – che ho scritto con Giovanni Calvino – è adesso alla ricerca del denaro necessario alla produzione.
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