Enrico Vanzina, con Carlo, suo fratello, quarant’anni fa – era il 1983 – firmò Sapore di mare, “primo capitolo” di un libro cinematografico, a cui sarebbe seguito un altro titolo simbolo, Vacanze di Natale, non il primo Cinepanettone, come ci conferma lo stesso sceneggiatore.
Enrico, tutti noi, pubblico in primis, abbiamo in testa storia, personaggi, battute di Vacanze di Natale, pioniere di un Genere come sappiamo, ma come nasce l’idea di questo film?
È molto semplice. Noi avevamo fatto, qualche mese prima, Sapore di mare, e la sera della prima in sala c’era Aurelio De Laurentiis, che si entusiasmò e uscendo ci disse: ‘vediamoci domani, vi devo parlare’. Noi siamo andati a trovarlo e lì ci ha detto: ‘il film che avete fatto è meraviglioso, perché non ne facciamo uno ambientato sulla neve?’. Siccome noi due eravamo fan del film di Mastrocinque, Vacanze d’inverno (1959), con Sordi e Vittorio De Sica, girato a Cortina, e avendo noi passato la nostra vita a Cortina – d’inverno e d’estate, sempre lì – ci siamo detti: ‘perché no?’, quindi Vacanze di Natale è stato fatto quasi su commissione, ed è stato abbastanza facile mettere insieme delle cose che conoscevamo molto bene.
Leggenda vuole che la parola ‘Cinepanettone’ sia nata proprio dopo il successo di Sapore di mare: mi racconta, com’è andata davvero?
Per fortuna non è andata così. ‘Cinepanettone’ nasce dopo il 2000, dopo che abbiamo fatto Vacanze di Natale 2000, che è l’altro nostro film di Natale – …perché sembra che chissà quanti ne abbiamo fatti: dal momento in cui noi non ne abbiamo più fatti, Aurelio De Laurentiis decide di modificare ‘il film di Natale’, perché così si chiamava, serializzando la parola ‘Natale’ e iniziando la lunga saga fatta da Neri Parenti, da Natale in India a Natale a New York, una serializzazione che non ha più niente a che vedere con uno sguardo sulla realtà, ma con delle storie comiche, delle farse, per cui prende una dimensione seriale e diventa così come un panettone, qualcosa che tutti gli anni arriverà.
La parola ‘Cinepanettone’, il suo uso e abuso, è un termine che in qualche modo la infastidisce?
Un po’ sì, perché finché li abbiamo fatti noi non si chiamavano così; però, è vero anche che la parola sia entrata nel lessico: significa che involontariamente abbiamo dato il via a qualcosa che è entrato nel linguaggio comune. Ecco, da una parte m’infastidisce, dall’altra credo sia lecito che De Laurentiis abbia serializzato una buona idea: gli americani lo fanno con tutti i loro grandi successi, lui l’ha fatto con un film italiano.
Quando scrivevate il film, avete mai avuto la sensazione… di star dando vita al germoglio di quello che sarebbe poi diventato un Genere della Storia del Cinema, della nostra Commedia?
No, assolutamente no. Nessuno mentre scrive sa cosa succederà, è sempre il tempo che decide ma di una cosa eravamo convintissimi: venivamo da un cinema, quello degli Anni ’70, che – proprio perché il Paese era in una situazione drammatica, e raccontare con le Commedie era molto difficile – ci si era rifugiati nei film di Castellano e Pipolo, Celentano, Pozzetto, o nel Poliziottesco, nella Commedia Sexy, tutto un mondo di fantasia, un po’ come i Telefoni Bianchi dell’epoca, invece noi, mentre facevamo Vacanze di Natale, ci rendevamo conto di star ritornando alla vera Commedia all’Italiana, che racconta la realtà vera, del momento.
Il film è diventato anche un testo di Sociologia, dibattuto a livello accademico: se dovesse scrivere oggi un omologo, con la stessa arguzia, la stessa sagacia, la stessa ironia, a che soggetti umani e contesti contemporanei attingerebbe? E Cortina sarebbe ancora valida come location sociale?
Cortina è sempre valida perché è bellissima, lo sfondo di un racconto di questo tipo di film dev’essere non solo gradevole, ma stupefacente. Per cui non ci sono dubbi che si potrebbe rifare a Cortina. E ci sarebbero gli epigoni di quello già tutto previsto in Vacanze di Natale, da cui tutto è andato in discesa, ovvero una classe media inesistente, scomparsa; una borghesia arricchita sempre più votata all’avere che non all’essere, quindi sempre più cafona e arrogante; una classe popolare distratta dai veri obiettivi di una volta, come la ricerca del lavoro, e che è stata annientata dalla globalizzazione; un gruppo di giovani ragazzi manager – alla fine degli Anni ’80 con gli Yuppies -, che speravano di avere successo, e riuscire nella vita, diventati anche loro degli operai, perché schiavi di multinazionali che li fanno lavorare 24 ore al giorno e li trattano come fossero dei numeri e con degli algoritmi; con una musica ossessiva, quella di oggi che non lascia grandi ricordi, pochissimi, mentre la colonna sonora del film regge ancora dopo quarant’anni; e metterei anche che una volta c’era la neve mentre oggi ce n’è poca e che Cortina, che fa così tendenza, è diventata anche terra di conquista dei politici, mentre un tempo non era così. Ecco, adesso il film sarebbe un po’ più cinico.
Ci sono battute memorabili nel film, ci sono compilation con l’intero dialogo e le canzoni, che le persone ascoltano anche in macchina. Da lei, in quanto sceneggiatore, come nascevano, come venivano adattate dalla realtà, come le coglieva? C’era poi un adattamento da sceneggiatura a set, in base agli interpreti?
Le battute, anzitutto, potrebbero esserci anche in un nuovo film, avendole scritte io, perché quelle dipendono solo da chi scrive. L’adattamento sul set: qualcosetta, ma pochissimo; noi abbiamo sempre fatto film molto scritti. Chi fa questo lavoro, come cosa principale, non deve avere la puzza sotto il naso: deve vivere, deve andare allo stadio, in discoteca, nei ristoranti, in periferia, nell’alta borghesia, per capire i messaggi che la vita ti manda, che poi tu rielabori con un po’ di umorismo, se ce l’hai. Oggi, per esempio, un personaggio del film, al posto che fargli dire dagli amici che frequenta che è un coglione, lo farei soprannominare: ‘L’intelligenza artificiale’.
Il film non ha mai perso smalto nel tempo, e adesso si apre a un pubblico ampissimo, a tutta una generazione completamente distante da quegli Anni ’80, attraverso la piattaforma che lo distribuisce (Paramount+) e con l’uscita speciale in sala*, il 30 dicembre: come percepisce e valuta questa modalità di distribuzione globale del film?
Una cosa che tocco con mano quotidianamente è il mistero per cui la generazione nuova lo conosca quasi meglio di quelli che l’hanno visto allora: incredibile. Lo sanno a memoria anche quelli di 20 anni. È bello che poi il film esca anche in sala il 30 dicembre, mi piace molto; per il resto, ormai le nostre vite sono in piattaforma.
Il tempo che passa è Storia che resta, ma anche ricordo: c’è un aneddoto affettivo connesso al film o qualcosa che, con suo fratello Carlo, avreste voluto realizzare per quel Vacanze di Natale, e che magari è solo rimasto nell’idea produttiva, o più intimamente tra voi due?
Pensando ad allora, assolutamente no; magari, col senno di poi, qualcosa cambierei ma il film c’è sfuggito di mano e il tempo ha dimostrato che quello che è stato è meglio di quello che avremmo potuto cambiare, per cui va bene così. Il ricordo numero uno è Cortina: Carlo ha continuato ad andare, sempre, io un po’ meno perché nel ’93 è morta mia madre, che viveva lì, per cui per molti anni non ho avuto il coraggio di andarci, per malinconia; però le tante volte in cui mi sono trovato con Carlo a Cortina ci guardavamo sorridendo, perché sapevamo, anche senza esserlo ufficialmente, di essere cittadini onorari.
*Vacanze di Natale esce in sala in versione restaurata e rimasterizzata, prodotta da Filmauro e distribuita da Nexo Digital.
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