Dumont, il primo cinema di Milano. Inizio e fine di un grande amore

Per anni è stato un luogo di culto che, per la prima volta, offriva alla città del nord, un primo scorcio sulla settima arte. Oggi al suo posto sorge la biblioteca di Porta Venezia


In quell’angolo, tra via Melzo e via Paolo Frisi, in una splendida palazzina in stile liberty, di storie se ne sono viste tante e, per ventidue anni le persone andavano lì per scoprire la maestosa settima arte. Al cinema è dedicata oggi la rubrica ‘Angoli’ di TuttoMilano. Il suo nome era Dumont, scelto per dargli un’aria più esotica dal sapore romantico parigino. Inaugurato nel 1910, il primo cinema di Milano (il primo in Italia e tutt’ora in funzione è il cinema Lumière di Pisa aperto il 15 dicembre 1905), disponeva di ben cinquecentosedici posti su venti file di sedili, una sala d’aspetto in cinque campate e, per soddisfare qualche languore, anche una buffetteria, un bar. Sulla facciata, degli eleganti fregi floreali molto in voga all’epoca, che circondavano la scritta “cinematografo”.

Il cinema nacque dall’idea del fondatore e proprietario Giuseppe Galli che, oltre ad essere un appassionato della nuova arte cinematografica, era anche un professore di tromba e dunque, in caso di necessità, sostituiva il pianista in sala per accompagnare le immagini dei film muti in proiezione. La costruzione della sala iniziò nel 1908, per conto dei fratelli Galli, i proprietari della zona e il progetto fu affidato agli architetti architetti F. Tettamanzi e G. Mainetti.

Nei primi battenti, il cinema poteva vantare una clientela di buon livello, ma lentamente quel tempio nato dall’amore per il cinema, andò incontro alla decadenza. L’imponente Dumont si trasformò in una sala popolare frequentata dai ragazzi delle classi sociali meno abbienti che utilizzavano il luogo come area di sfogo. Alberto Lorenzi ne I Cinematografi di Milano diceva: “entravan giovinotti poverissimi, dal naturale, oltre a tutto, incredibilmente facinoroso, ‘lokk’ veri e propri, dalle intenzioni prave: ciampicavano apposta all’entrata, facendo rimbombar tutta la sala, correvano sul pavimento di legno sollevando rumore di tuono, sbatacchioni di prima forza coi sedili ribaltabili, pronti all’entusiasmo più fragoroso durante certe disgraziatamente movimentate sequenze di film, e alla scena del bacio a fare salacissimi commenti, a sbeffeggiar gli amorosi con imitazioni di miagolii di gatti, con voci nasine. C’era da giurare che andassero al Dumont soltanto per il gusto di provocare un fracasso d’inferno, diavoli scatenati com’erano. Si avvertiva l’odore di zolfo dei loro fiammiferi di legno mentre accendevano sigarette popolari il cui fumo poi s’avvolgeva nel fascio di luce della macchina di proiezione, chè i ‘lokk’, difatti, disubbidivano regolarmente all’ammonizione, illuminata in rosso nella penombra: ‘Vietato fumare’, che si alternava al Dumont con quest’altra: ‘Vietato sputare'”.

Era il 1932 quando il cinema Dumont venne chiuso, dopo la morte dei proprietari e dopo esser sopravvissuto ai bombardamenti della prima guerra mondiale, il locale venne prima convertito in autosalone e, successivamente in sede dell’Autoambulanza Croce Santa Rita. Anche se ora non sono più le pellicole ad alloggiare nel palazzo liberty, un’altra forma d’arte, ben più antica, ne ha trovato casa, perché oggi proprio lì, sorge la biblioteca del quartiere di Porta Venezia.

Le pellicole venivano noleggiate a Roma presso una società che trattava diverse case cinematografiche americane, e tra le opere proiettate al Dumont di Milano troviamo:

Cuore d’acciaio (Collo, 1912), Stella Maris (M. Neilan, 1918), Il filo della morte (Pasquali, 1913), L’attentato alla miniera Kopcins (A. Molinari, 1915), Fango (F. Arias, 1917), Le nuove avventure di Nat Pinkerton (1° e 2° episodio; t.o. The Perils of the Secret service, G. Howard, 1917), L’intorbidatrice (G. Pinto, 1917), La morte rossa (G. De Liguoro, 1918), Aquile romane (G. De Liguoro, 1919; con Lia Monesi Passaro; il manifesto riporta, per errore, il titolo Aquile umane e la dizione Passero), La vendetta di una zingara (C. Zangarini, 1920), Il delitto dell’altro (The Mark of Cain, G. Fitzmaurice, 1917), Carmen (E. Lubitsch, 1918), Dollari e fraks (E. Ghione, 1919), Il leone mansueto (E. Santos, 1919), Il caffè Philibert (Le petit café, R. Bernard, 1919), Scacco matto (C. Campogalliani, 1919), Cavicchioni paladino dei dollari (U. Paradisi, 1920), Dopo la tempesta (Out of the Storm, W. Park, 1920), La banda delle cifre (E. Ghione, 1915), Maciste (V. Dènizot, 1915), Il birichino di Parigi (U. Falena, 1916), Voluttà di morte (U. De Simone, 1917), L’altra razza (A. Camerini, 1920), Giaguaro (M. Neilan, 1917), Mascherata a mare (D. Gaida, 1917), Pinocchio (G. Antamoro, 1911), Spartaco il gladiatore della Tracia (E.Vidali, 1913), La portatrice di pane (E. Vidali, 1916), La capanna dello zio Tom (The Uncle Tom’s Cabin, J. Dawley, 1919),Veritas vincit (J. May, 1919), Il padrone delle ferriere (E. Perego, G. Pastrone, 1919), Sleima (D. Karenne, 1919), Il romanzo di una giovane povera (G. Vidali, 1920), Il segreto della Diamant Co (G. Guarino, 1921), Ridolini alla segheria (The Sawmill, L. Semon 1922), Guarany (S. Aversano, 1923), La piccola vedetta lombarda (V. Pianelli, 1915), Il cavaliere dell’Arizona (Arizona di e con Douglas Fairbanks, 1918), Micky (Mickey, J. Young, 1918), Ombra (M. Almirante, 1923), La leggenda del Piave (M. Negri, 1924), Labbra di carminio (The Painted Lady, C. Bennett 1924), I figli del sole (Les fils du soleil, R. Le Somptier 1924), Attraverso le fiamme (The Fireman, C. Chaplin, 1916), La seduttrice del Far West (The Tenderfoot, W. Duncan, 1917).C

Giulia Corsi
14 Marzo 2024

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