Donatella Finocchiaro: vita da eterna pendolare

Prima prova da regista con il documentario Andata e ritorno, visto alla Mostra di Venezia e ora presentato al pubblico in un tour siciliano: "Testimonia la condizione tipica dell'artista, soprattutto


Non si ferma un attimo Donatella Finocchiaro. Ha appena dismesso i panni di conduttrice televisiva su RaiUno (insieme a Laura Chiatti e Max Giusti), per vestire quelli di una proprietaria d’albergo nel secondo film di Mark Jackson. Un giovane regista, rivelazione del festival di Locarno, definito dalla stampa “uno dei 25 nuovi volti del cinema indipendente”. Il film, sul set in questi giorni a Caltanisetta, è Sicily Movie accanto a due grandi attori pluricandidati agli Oscar: Catherine Keener e Ben Kingsley, che una statuetta l’ha anche vinta per Gandhi.
Ma Donatella Finocchiaro sarà anche un fantasma che appare a un musicista londinese in cerca di risposte, e una mamma in Marina, coproduzione italo-belga ispirata alla vita del musicista Rocco Granata diventato famoso nell’Italia degli Anni ’50 per l’omonima hit. Ma è anche regista di un documentario su Catania, la sua città, già visto nella sezione Controcampo della Mostra di Venezia e ora presentato al pubblico in un tour tutto siciliano che parte l’11 marzo proprio da Catania, per poi toccare Palermo e Ragusa. Andata e ritorno è la testimonianza di una vita da eterna pendolare, ma anche il legame contraddittorio e viscerale con la propria terra. Riuscire a portare i documentari in sala? “Sarebbe meraviglioso”.

Dopo Woody Allen torna a lavorare con un regista americano, il giovane Mark Jackson.

E’ un regista straordinario, che ho visto per la prima volta a Locarno con Without e ora al suo secondo lavoro, Sicily Movie: storia di una giornalista americana che viene liberata dopo un periodo di prigionia il Libia. Nel percorso per tornare a casa si ferma in Sicilia, dove inizia a lavorare per un reportage sui flussi migratori a Lampedusa. Abbiamo appena finito le riprese a Caltanisetta e io ho interpretato la proprietaria dell’albergo dove alloggia la giornalista e dove si intrecciano tante storie.

Ha recitato spesso in opere prime e una seconde, ha fiducia nei giovani registi?
Un’opera prima è sempre una scommessa: non sai mai quello che ne verrà fuori. Ma per noi attori noti è quasi un atto dovuto nei confronti dei giovani, un modo per dar loro la possibilità di farsi conoscere sfruttando la nostra maggiore visibilità.

A quali altri progetti sta lavorando?
Marina In questo periodo sono sul set soprattutto per produzioni non italiane. Mi vedrete a novembre protagonista, insieme a Luigi Lo Cascio, di Marina di Stijn Coninx, una coproduzione italo-belga ispirata alla vita del musicista Rocco Granata, diventato famoso nell’Italia degli anni ’50 per aver composto la hit del momento, “Marina”. A luglio, invece, inizierò le riprese di film girato in parte a Catania. E’ la storia di un musicista londinese che si ubriaca durante un concerto e si risveglia il giorno dopo, solo e senza la sua band, in un vigneto. Spaesato decide di rimanere lì, dove – in un’atmosfera sospesa tra il reale e l’immaginario – inizia un viaggio nella sua mente, in un mondo di proiezioni. E io interpreto uno dei fantasmi che gli si presentano e lo aiutano a incontrare una parte di sé.

Il titolo del documentario di cui firma la regia, “Andata e ritorno”, rimanda al viaggio e alla continua partenza.
Testimonia, infatti, una vita da eterni pendolari che è la condizione tipica dell’artista, soprattutto se vive al sud. Ed è comune a tutti gli amici che ho intervistato: da Carmen Consoli a Franco Battiato, a Mario Venuti, costretti a spostarsi di continuo a Roma e a Milano, come del resto faccio io.

 

Ma anche a un tornare indietro, un richiamo senza appello.
E’ la necessità di tornare che ci lega tutti. Un bisogno in primo luogo artistico, come spiega Franco Battiato che è vissuto per 20 anni a Milano prima di ritrasferirsi in Sicilia. Per lui il ritorno è fonte di una nuova forma di ispirazione. E tutti i suoi album successivi testimoniano il cambiamento, sono diversi e forse migliori di quelli del periodo milanese. Nel documentario ognuno ha testimoniato questo bisogno continuo di contatto con Catania, che sentiamo quasi come “un’entità” che ci suscita tutt’oggi sentimenti contrastanti di odio e amore. Pur consapevoli dei suoi limiti – in questo momento rispecchia particolarmente la crisi e l’appiattimento culturale di tutto il paese – sentiamo la continua necessità di ritornare.

Andata e ritorno Le crisi storicamente sono accompagnate da rinascita e nuovo fermento artistico. Vede il cambiamento vicino?
Ancora no. Siamo nel mezzo di questa ricerca, nel tentativo di una risalita. Anche se devo dire che a Palermo, città in cui sto andando spesso, si avverte di più il fermento del risveglio. Ed è compito degli artisti portarlo avanti, perché l’arte è una forza di resistenza contro la cultura del nulla, una salvezza. Durante le crisi la prima cosa che sale sull’altare sacrificale è di certo la cultura: nei momenti difficili occorre principalmente il “pane”. Ma anche l’arte è una forma di sostentamento necessario per le nuove generazioni.

Che percorso distributivo ha avuto “Andata e Ritorno”?
L’ho presentato la prima volta alla Mostra di Venezia come work in progress. Inizialmente non ero del tutto soddisfatta e volevo continuare a lavorarci su. Ma tutti mi dicevano che era bello, emozionante e allora l’ho lasciato così com’era. Un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché alla fine il mio mestiere non è la regia ma il lavoro d’attore. L’11 marzo però finalmente lo presento a Catania, al cinema King, e poi a Ragusa e Palermo in un tour siciliano che spero avrà altre tappe. Non vedevo l’ora. La strada del documentario verso il pubblico è sempre un po’ tortuosa.

Cinecittà Luce sta portando avanti un progetto per portare i documentari in sala una volta al mese, per ora nel Lazio.
Un’idea meravigliosa. Lo si chiedeva a grande voce. Il documentario è uno strumento straordinario per raccontare i luoghi e le emozioni, e permette di farlo in maniera differente dal film di finzione. Il vero grande limite per chi sceglie con passione di fare il regista di documentari, è proprio la mancanza di visibilità. Un grande prodotto relegato a una visione per soli appassionati e confinato ai festival o alle trasmissioni televisive in orari proibitivi. Spero che il progetto si estenda a tutta Italia.

08 Marzo 2013

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