De Gregori a Hollywood Party: “Con Fellini ho scoperto il cinema ma guai a togliermi i film sciocchi”

Per i 50 anni di 'Rimmel', lunga conversazione del cantautore romano ai microfoni di 'Hollywood Party' di Radio3 Rai in versione “Factory” con la conduzione di Steve Della Casa e i contrappunti ironici di Efisio Mulas


Alice è una canzone figlia del cinema con i suoi piani lunghissimi”, parola di Francesco De Gregori che  sera ha tracciato con generosità un suo inedito percorso cinefilo tornando ai microfoni di Hollywood Party, la storica trasmissione di cinema di Radio3 Rai in versione “Factory” dalla sala M di Via Asiago in Roma con la conduzione di Steve Della Casa e i contrappunti ironici di Efisio Mulas. L’occasione erano i 50 anni di Rimmel, le cui note hanno aperto i 45 minuti di viaggio nel mondo del cinema del Principe dove le tappe fondamentali portano il nome di Federico Fellini con che “mi ha aperto gli occhi con un modo di raccontare attraverso una narrazione psicoanalitica in cui si passa da un primo piano a un campo lungo spezzando i tempi, e Alice, prima di Rimmel, non ha nessi logici”.

Una magnifica conversazione iniziata proprio sul ricordo de La dolce vita, di cui si è ascoltato uno spezzone, perché “quel film era per certi versi scandaloso. La mia non è una famiglia particolarmente cattolica o particolarmente bacchettona però il film ha avuto un impatto proprio sulla morale dell’epoca. Quando poi l’ho visto, a 14-15 anni – io sono del ’51 e il film è del ’60 –  perché allora i film si continuavano a programmare nella prima, seconda e terza visione e poi nelle sale parrocchiali, ma non credo sia andato nelle sale parrocchiali… posso dire che ho scoperto il cinema, la sua potenzialità di scavare dentro i sentimenti e dentro le pieghe della società, dell’uomo e della donna”.

“Un film – sottolinea Steve Della Casa – grazie al quale l’Italia ha scoperto di essere un Paese moderno con i drammi interiori, la solitudine, il consumismo”. “Sì – annuisce De Gregori – credo che sia stato un mettere da parte tutto il neorealismo precedente e fu uno dei motivi per cui questo film non piacque nemmeno a quelli di sinistra perché non c’erano più i ladri di biciclette, Umberto D., anche se un debito con Rossellini, Fellini ce l’ha e anche grosso. Però quel film volta pagina anche perché, devo dirlo, ero innamorato di Anouk Aimée”. 

Parlando del maestro riminese, De Gregori svela anche il lato b della sua formazione cinematografica, “vedevo sempre i film con Tognazzi e Vianello o i film dell’infanzia come Giro del mondo in 80 giorni ma La dolce vita fu l’incontro con un cinema diverso che poi sarebbe stato quello che ho continuato ad amare per tutta la mia vita con in cosiddetti film impegnati, una parola brutta da sentire ma che identifica bene il tipo di arte che amo di più”. Però, c’è un però: “Ho continuato a vedere anche i film fra virgolette ‘sciocchi’: guai se ce li togliessero!”.

Ma non c’è solo Fellini nella formazione culturale, ecco l’apertura di un mondo nuovo grazie a Blow-Up di Michelangelo Antonioni: “Avevo 15 anni e quindi Londra erano i Beatles, Carnaby Street, era la libertà sessuale che nel film viene poi evocata con la scena delle due modelle, una era Jane Birkin, che si spogliano davanti al fotografo e David Hemmings per me era un modello estetico importante al punto che comprai addirittura una macchina fotografica per cercare di emularlo. Penso sia il più bel film di Antonioni con una filosofia dietro che mi ha richiamato quella kantiana perché quello che vediamo in realtà non è esattamente quello che è oppure quello che è non esiste come la famosa pallina da tennis che manca alla fine del film”.

La lunga carrellata cinematografica di De Gregori, che andava al cinema “cinque o sei volte a settimana rimanendo fino alla fine anche dei film che non mi piacevano, cosa che non faccio più”, continua anche con titoli internazionali come il curioso Festa per il compleanno del caro amico Harold diretto nel 1970 da William Friedkin, “il primo film che rappresenta il mondo omosessuale senza renderlo grottesco o caricaturale, lo rappresenta anche in maniera tragica ma non morbosa come un po’ succedeva ad esempio ne I vitelloni” oppure Soldato blu con “lo smascheramento di una mitologia western che mi aveva cullato con i film di John Wayne e John Ford ora con un soldato che sta dalle parte degli indiani”.

A proposito di ideologie, ecco “il più ideologico dei film di Scola, Trevico-Torino – Viaggio nel Fiat-Nam, storia di un emigrante, stranamente italiano ora che siamo abituati a pensarli africani, che va a Torino a lavorare alla Fiat. Erano anni in cui l’ideologia circolava anche nel mondo giovanile, insomma eravamo tutti di sinistra, ci sembrava, e forse è stato anche giusto esserlo. Il film descrive l’impatto reciproco tra questo giovane e la Torino di quegli anni che si dimostra disumana”. Curiosamente da quella visione è nata una canzone che si trova in Rimmel: “Si chiama Pablo ed è forse la mia più ideologica o, meglio, post-ideologica perché non c’è la rabbia e il dolore che c’è nel film di Scola tant’è che evito di usare la parola ‘compagno’, scrivo ‘il collega spagnolo’ proprio per saltare questa storia. Soprattutto i due protagonisti erano assolutamente privi di sapienza politica, non collegano il loro essere sfruttati alla cattiveria del padrone che “non era poi cattivo”, sono personaggi tipo I Malavoglia, non hanno raggiunto la consapevolezza dei loro diritti. Sono proprio dei naufraghi in un terra straniera”. 

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11 Marzo 2025

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