Davide Ferrario: Umberto Eco, “un po’ più grande della realtà”

30.000 volumi contemporanei e 1.500 rari e antichi: il regista è entrato, dapprima insieme a Eco stesso, dentro la sua biblioteca privata, universo di cultura e vite, nella Special Screening di RoFF


“Sono un semiologo, mi occupo di linguaggio e dei linguaggi, e la forza del linguaggio non è dire cosa esista ma poter descrivere quello che non esiste”, dice di se stesso Umberto Eco (nel doc). 

Il documentario Umberto Eco, la biblioteca del mondo è l’ingresso dentro l’anima di un essere umano, Umberto Eco appunto: questo è ciò che riflette anzitutto l’accesso – fisico – dentro la sua biblioteca privata, non (solo) un archivio di cultura che trapassa i confini delle Arti e della geografia, ma soprattutto un universo trasversale all’intelletto, perché Eco era la sua biblioteca e Davide Ferrario, regista del documentario, ha potuto accedere dentro al nucleo di questo micro universo a suo modo macroscopico, che conta più di 30.000 volumi di titoli contemporanei e 1.500 libri rari e antichi.

La storia di Davide Ferrario con Umberto Eco comincia con una collaborazione per la Biennale Arte di Venezia, da lì il primo passo per entrare in un universo raro, quanto rari possono essere alcuni testi della biblioteca stessa, nel mondo di carta e cultura sconfinate di cui Eco si nutriva, un nutrimento capace, a sua volta, di permettere al Professore di far nutrire il mondo del suo pubblico. Nasce così il documentario, che appunto non è solo un luogo fisico ma un luogo in cui Ferrario cerca di afferrare il senso dell’idea di biblioteca in quanto “memoria del mondo”, come da definizione dello stesso Eco.“Lui, credo sia stato consapevole, da professore, che la cattedra fosse come un palcoscenico con un pubblico: non se ne fregava affatto degli studenti e, in questa ottica, io ho cercato di usarlo come fosse un personaggio cinematografico, usando la sua capacità affabulatoria”, spiega l’autore. 

“Il mio primo accesso personale alla biblioteca è stato nel 2015, per una videoinstallazione sulla memoria, da realizzare con lui per la Biennale. Lui lì mi dice: ‘vuol vedere la mia biblioteca?’. Ma non mi aspettavo quello che poi ho visto! Lui si ‘sottomise’ anche di buon grado alla presenza della troupe, in quell’occasione. Un anno dopo, purtroppo, lui muore e quelle prime immagini, con piacere, le hanno usate in tanti e dappertutto, perché avevano la forza iconica di raccontare un uomo. Ci siamo poi sentiti poi con la famiglia, e prima che la biblioteca ‘sparisse’, con l’acquisizione da parte dello Stato, ho pensato di fare una cosa più ambiziosa: la famiglia è stata co-autrice, nessuno meglio di loro poteva raccontare quel mondo, se non da dentro. È stata un’occasione per confrontarmi con un personaggio enorme: adesso, oltre al rispetto, c’è anche una forma di affetto”. 

“Mio padre, da piemontese, era un uomo riservato – racconta Stefano Eco, uno dei figli: diceva cose pubbliche ma non gli andava di apparire se non fosse necessario, però noi avevamo desiderio di presentare un po’ di memoria in forma di immagini. Parlando con Ferrario, ci ha proposto di fare dei camei e, usando le parole di Umberto Eco, lui è stato bravo nel fare un film sul pensiero e sulla cultura di oggi, e la nostra partecipazione umanizza un personaggio ‘un po’ più grande della realtà’, come si dice”. 

Quello di cui Ferrario dà opportunità allo spettatore è un vero ingresso immediato, che si ha in apertura di film, infatti la prima sequenza segue di spalle Umberto Eco, dentro il “labirinto” delle pareti scaffalate di volumi e volumi, con Ferrario che sceglie la camera a mano e il bianco e nero, che poi alterna al colore, come anche a immagini fotografiche. Poi, addentrandosi nel viaggio dentro a questa biblioteca, parla Eco, ma parlano anche di Eco e con Eco, infatti si alternano sequenze e immagini di seminari a cui a preso parte o, ancora, testimonianze di letterati e critici che offrono la propria lettura di Eco e della “biblioteca che porta in sé”; poi s’arriva al tempo presente e all’eredità gioiosa e vivace, quella della sua nipotina, che, pattini ai piedi, usa la biblioteca del nonno come un labirinto di gioco, in cui il dondolarsi scivolando sulle rotelle, che le fa sfiorare le pareti strabordanti di volumi, è sintomo di come la cultura sia anzitutto un’atmosfera in cui si è immersi e che si respira, soprattutto quando fa parte della normale quotidianità della vita, qui accompagnata dalla voce fuori campo del Professore, che riflette su chi sia Dio, sulla verità da scoprire e sul valore da creare perché “non si posso trovare verità e creatività in un terremoto ma solo in una ricerca silenziosa”, come quella possibile quando immersi in una biblioteca…

“Ho cercato di narrare la mia impressione, certi libri antichi emanano un suono, un’esperienza difficile da rifare, ma siamo stati aperti un po’ a tutto. È stato un modo di lavorare famigliare: l’idea – per me da regista – è stata proprio nella scena in cui Anita pattina per la biblioteca – è la figlia di Carlotta – e questa immagine, che io mi ero immaginato, ho scoperto essere quello che già succede davvero…”. 

Il documentario, alla Festa del Cinema di Roma è presentato nella sezione Special Screening: una produzioneRossofuoco, in collaborazione con Rai Cinema e con il sostegno diMiC – Direzione Generale Cinema e AudiovisivoPiemonte Doc Film Fund – Film Commission Torino Piemonte,Regione Piemonte.

La Fandango di Domenico Procacci distribuisce prossimamente il film. 

L’approfondimento video: guarda qui

15 Ottobre 2022

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