La New York di metà Ottocento interamente ricostruita in una Cinecittà quasi tutta appaltata dall’ultimo film di Martin Scorsese, Le gangs di New York, inizio riprese a fine agosto. Un progetto da 85 milioni di dollari con la distributrice Miramax che parla, non a torto, di “un set che rimarrà nella storia: il più grande del mondo”. Ideatore, ricercatore, rifinitore, costruttore, uno dei più stimati e premiati scenografi italiani, il grande Dante Ferretti soltanto in coppia con Scorsese ha siglato ricostruzioni fantastiche: quelle per L’età dell’innocenza, Casinò, Kundun e Al di là della vita. Lo incontriamo in un pomeriggio d’estate, in una pausa del suo lavoro negli studi di via Tuscolana. Affabile come sempre, ci racconta la sua ultima avventura.
Ferretti, qual è la prima idea di “Gangs di New York”?
Premetto che nella mia professione ho sempre amato il rischio, la sfida, ma stavolta la realizzazione sfiora l’impossibile. Il progetto è di qualche anno fa, ma solo dal ’98 ho iniziato le mie ricerche nelle più importanti e fornite biblioteche della Grande Mela. Ogni tanto un incontro con Scorsese per accordarci sulla “visione” dell’opera e poi giù di nuovo a studiare, a ricercare.
Come sarà la sua New York di fine Ottocento?
Diciamo che si tratta di una megalopoli che praticamente non esiste più tranne per poche, piccole case che sono andato a visitare di persona a New York per rendermi conto della loro struttura, dei loro interni. Cinecittà ridarà vita ai fantasmi di un immenso quartiere sparito, con il porto dell’East River, le strade chilometriche, i bar, i negozi, le birrerie, i mercati. Sarà una New York estremamente povera, una sorta di baraccopoli davvero inedita per il cinema.
Quanti ambienti sta ricostruendo per il film di Scorsese?
Alla fine saranno circa un’ottantina, un’impresa titanica, tanto che la ricostruzione andrà necessariamente di pari passo con la realizzazione della pellicola.
È vero che la piscina di Cinecittà sarà il cuore della scenografia?
Esattamente. Anche Scorsese qualche mese fa, in un’intervista, disse che l’acqua sarà l’elemento principale, scatenante delle azioni e quindi anche lo snodo centrale di tutta la costruzione. Nella piscina abbiamo ideato l’intero porto dell’East River, con alcune navi “al naturale” e centinaia di modellini.
Ci parli ancora della sua città fantasma…
Il quartiere principale dove si muoveranno i personaggi si chiama Five Points. Sorgeva dove attualmente si trova Canal Street e dove si fa largo Broadway e una parte della Fifth Avenue. All’epoca c’erano piccole case cadenti, l’urbanizzazione di New York iniziava allora. Mi ha fatto impressione visitare oggi quelle poche abitazioni rimaste, desolanti, quasi spettrali. Tra gli altri ambienti che contribuiranno a “scrivere” la storia del film, il famoso bordello chiamato “Satana’s Circus” e la fumeria d’oppio “Chinese Pagoda”.
A sceneggiatura in via di definizione, può raccontarci in grandi linee la storia di “Le gangs di New York”?
Il tema è quello del razzismo: da una parte ci sono i cosidetti “americani” che nascevano allora e che difendono il proprio territorio e i propri privilegi da alcune bande di irlandesi che in quel periodo si trasferirono massicciamente in America alla ricerca di un lavoro. Leonardo Di Caprio, il protagonista, è Amsterdam Vallon, un giovane attivista della comunità di New York di fine Ottocento che deve cercare di arginare la violenza di gruppi italiani e irlandesi che si organizzano in vere e proprie gangs. L’altro grande interprete, Liam Neeson, che proprio l’altro giorno al Festival di Taormina ha confermato la sua partecipazione al film, è Bill the Butcher, un uomo dagli ideali opposti a quelli di Di Caprio. Protagonista femminile, un’altra star hollywoodiana del calibro di Cameron Diaz. E poi, naturalmente, c’è Daniel Day Lewis.
Qual è la sfida del film?
Restituire uno spicchio di storia dimenticata, cancellata. Come dice Martin Scorsese, Le gangs di New York vogliono raccontare il secolo scorso all’alba del Terzo Millennio. Un modo per omaggiare la storia perché solo così, dice sempre Martin, ci si può interrogare su chi siamo e dove stiamo andando.
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