Supereroi quotidiani, che tutti i giorni affrontano ore di viaggio su pullman sempre in ritardo e metropolitane affollate per arrivare a un lavoro sottopagato e senza diritti, con pochi permessi, niente riposi, niente ferie. Così è la vita di Eli (Isabella Ragonese), la protagonista del nuovo film di Daniele Vicari, alla Festa di Roma in Selezione Ufficiale , in sala dal 4 maggio con Koch Media. “La quotidianità è interessante, solo a chi ha il potere non importa nulla della nostra vita di tutti i giorni. E spesso non importa molto neanche al cinema, ma è un errore”, dice il regista. Per l’autore di Diaz Don’t Clean Up This Blood è un cambiamento di percorso notevole: stava lavorando a Bianco, un kolossal sull’impresa di alpinisti come Walter Bonatti e poi ha deciso di raccontare la storia di una come tante, ma non meno eroica. Madre di quattro figli, con un marito disoccupato (Francesco Montanari) e un appartamentino a Torvajanica, tutti i giorni si sobbarca un viaggio di due ore per servire cappuccini e brioche in un bar del Tuscolano. E continua anche quando il cardiologo del pronto soccorso la esorta a diminuire i ritmi, come se non riuscisse a uscire dall’ingranaggio infernale che l’ha inghiottita. La sua amica Vale invece vive di notte, fa la performer nelle discoteche e non accetta che le regole che si è data da sola. Poi dà una mano a Eli, tenendole i bambini durante il giorno, aiutandoli a fare i compiti, in una sorellanza spontanea. Per Isabella Ragonese “Eli è un personaggio reale ma anche sacro, diventa punto di riferimento per gli altri. Come una acrobata riesce a destreggiarsi nella vita”. Sole cuore amore è prodotto da Fandango e Rai Cinema, e per Domenico Procacci “questo è un film che già in partenza non pensa di arrivare a numeri stratosferici, ma da produttore e da spettatore sono felice che ci sia. Sono stanco del prodotto medio, tanti film tutti simili con titoli simili e un cast mediamente buono”.
Il cinema non si interessa abbastanza alla vita di tutti i giorni, Vicari?
Il cinema contemporaneo si interessa molto del potere e molto poco della vita di tutti noi, che è una vita fatta di amore, lavoro, solitudine, bellezza, bruttezza. Ma il cinema del passato dimostra che questa realtà si può raccontare, come hanno fatto i più grandi film del Novecento. Adesso abbiamo deciso di essere con la testa e col cuore da un’altra parte. Ma queste cose ci toccano, ci riguardano e ci travolgono. Anche io pensavo di poter raccontare solo grandi tragedie, come Genova 2001, ma non è così. Perché non devo raccontare la storia di mia cugina che cucina per 2.000 persone per 1.200 euro al mese?
E’ stato difficile portare a compimento questo progetto in controtendenza?
Ci ho messo quattro anni, ma non so se sia in controtendenza. Molti film raccontano il mondo proletario o sottoproletario in modo cruento e questa è una cosa ideologica. Al cinema non vedo mai gente che lavora, i personaggi hanno problemi sentimentali, psicologici, politici, ma, ripeto, c’è poca attenzione per la vita quotidiana. Ken Loach è uno dei pochi registi al mondo che racconta questi aspetti. Ozu racconta storie di persone che vanno in città, ma in quel modo racconta il mondo.
Perché Sole, cuore amore come la hit di Valeria Rossi?
Le rime più facili sono quelle che hanno affascinato da sempre i poeti, così la rima facile del cinema è il quotidiano. La canzonetta può rappresentare un’intera epoca storica, Sole cuore amore fotografava una grande malinconia collettiva.
Lei parla di morire di fatica. Racconta la realtà dei nuovi poveri.
Ribalto il paradigma. Non sono gli ultimi ma la maggioranza. Anche chi non ha particolari problemi economici oggi vive una situazione difficile. Il 90% delle persone fanno la vita di Eli e Vale. Certo non chi fa cinema, o chi fa politica, chi possiede i mezzi di produzione. Credo che la responsabilità sia di una certa parte del cinema italiano che ha raccontato gli emarginati con la pistola in mano e la cocaina nelle mutande facendo passare in secondo piano la maggior parte delle esistenze.
Perché ha scelto di contrappuntare la vicenda di Eli con quella dell’amica danzatrice?
Credo che questo sia un film sulla danza. Attraverso la danza abbiamo tentato di interpretare la vita di queste persone. La musica è la chiave di lettura politica della storia. Eli ha una estrema vitalità, che esprime relazionandosi con il mondo in maniera equilibrata. Ama la bellezza. Non è mai accusatoria, neanche nei confronti del suo datore di lavoro, e non fa la vittima. Anche lei in qualche modo danza sia quando lavora al bar che quando prende la metropolitana. Eva Grieco, che interpreta Vale, è una coreografa e ci ha aiutato a dare la cadenza alla storia.
Il bar come palcoscenico?
Sono cresciuto in un bar, mia madre ne gestisce uno in provincia di Rieti. Non devi essere un artista riconosciuto per fare della tua vita un’opera d’arte e un momento espressivo. Il palcoscenico di Eli è il bancone del bar, come quello di Vale è la discoteca.
Le musiche di Stefano Di Battista hanno una grande importanza nella costruzione del film.
L’ho incontrato durante un seminario per giovani attori della Scuola Volontè e per me è stata un’esperienza straordinaria che aveva molto a che fare con l’improvvisazione perché, tra l’altro, hanno registrato all’impronta le musiche di UnoNessuno, un piccolo film che portammo al Festival di Roma. In quell’incontro c’era qualcosa che mi ha spinto a scrivere Sole cuore amore, mi ha dato la chiave per interpretare Roma in modo un po’ astratto, come una metropoli. Mi sono reso conto che quella era la musica del film che stavo cominciando a pensare. Poi ho aggiunto la musica elettronica di Valerio Faggioni, che entra in conflitto col jazz.
Si può ancora morire di lavoro e di fatica?
Oggi più che mai. Mentre scrivevo questa sceneggiatura è morta Paola che partiva da Foggia tutti i giorni e faceva 300 km per andare a lavorare nei campi. Si muore di fatica cadendo dalle impalcature, facendosi male con una motosega. Si stanno moltiplicando fenomeni di questo genere, forse significa che siamo davvero soli.
Cosa rappresenta Vale? E’ ispirata a qualche esperienza reale?
Nasce dall’incontro con Miriam Abutori, tra i fondatori dell’Accademia degli Artefatti. Per un periodo abitammo nella stessa casa: la vedevo tornare alle 3 o alle 4 del mattino dalla discoteca. Faceva performance per mantenersi, ma riusciva a portare nelle discoteche la sua visione artistica. Questo è il modo migliore di fare politica. Vale rappresenta il tentativo di emanciparsi dalle trappole del quotidiano, pagandone lo scotto, perché mette in gioco la propria identità. Ma credo che per vivere nella nostra società si debba mettere in discussione tutto. La nostra civiltà non è adatta per la vita degli esseri umani. La maggior parte delle persone si arrangiano. Ma la vita è impossibile anche per chi ha delle certezze. Viviamo in una società non conflittuale ma autolesionista.
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