Dal chiodo alla parola con Sbarigia e Fiorentino

La presidente di Cinecittà tra le ospiti del panel sulla gender equality organizzato alla Casa della Critica


VENEZIA – “Quando ho saputo che nei suoi cento anni di vita l’Archivio Luce non conteneva nemmeno una foto scattata da una donna ho sentito il dovere di porre subito rimedio”, dice Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà e dell’Associazione produttori audiovisivi (APA), durante l’incontro Dal chiodo alla parola, per una formazione di cinema al femminile che si è tenuto alla Casa della Critica durante la Mostra del Cinema di Venezia.

“L’ho fatto contattando una grande artista come Vanessa Beecroft, che ha realizzato una performance site-specific al Teatro 5 di cui abbiamo acquisito alcuni scatti, e poi anche commissionando le fotografie per una mostra a una giovane fotografa di Latina, Anna Di Prospero perché, se vogliamo dare spazio alle donne, dobbiamo fare sistema e mettere in rete le donne meritevoli, riconoscendone il talento”.

La presidente ha ricordato anche il convegno “Un altro genere di leadership” organizzato lo scorso febbraio insieme a Daniela Brogi, in cui eccellenze del management culturale hanno raccontato la propria esperienza aprendo un confronto con una platea di giovani professioniste. Parlando della sua carriera, sviluppata in un mondo fortemente maschile come quello dell’audiovisivo, Chiara Sbarigia ricorda il forte paternalismo e il periodo in cui “nelle riunioni avevo difficoltà ad avere e a tenere la parola”. Come nel Contratto Nazionale delle Troupes le professioni erano tutte declinati al maschile, tranne la sarta e la parrucchiera. “Ancora oggi ci sono figure professionali raramente in mani femminili, non solo nella produzione, ad esempio anche nella direzione dei festival cinematografici – continua Sbarigia -e quest’assenza si riflette nelle scelte”.

Altro tema affrontato è quello dello sguardo perché “quello femminile è molto diverso da quello maschile, e questo è vero anche nella critica”, ha osservato Cristiana Paternò, presidente del Sindacato Critici Cinematografici Italiani (SNCCI). “È dunque molto importante che ci siano anche penne e sguardi femminili ad esprimere un pensiero critico sull’audiovisivo. Tra l’altro le statistiche hanno dimostrato che all’interno della coppia sono più spesso le donne a decidere cosa andare a vedere in sala, sono loro a guidare i consumi culturali”.

Paternò, che ha portato l’esempio della mancata comprensione dell’opera prima di Jane Campion, Sweetie, nel 1989 a Cannes, ha accennato anche al film italiano in concorso a questa edizione della Settimana della Critica (Sic), About Last Year, “firmato da tre registe molto giovani, Dunja La Vecchia, Beatrice Surano e Morena Terranova: il che comporta anche una presa di posizione teorica in grado di cambiare le regole del gioco”. “Le tre protagoniste di About Last Year, altrettanto giovani delle registe, lanciano segnali, provano a seguire direzioni che sono salti nel vuoto e ad intraprendere un percorso nuovo”, aggiunge Beatrice Fiorentino Delegata generale della Sic, descrivendo il film come un “coming of age, una presa di coscienza della propria identità, che per noi selezionatori, uomini e donne, è stato una grande sorpresa. Non so se possiamo codificare uno sguardo femminile, perché ad esempio due registe come Jane Campion e Kathryn Bigelow si muovono in direzioni opposte, ma di fatto uno sguardo maschile sui corpi delle protagoniste di About Last Year sarebbe stato molto diverso, perché sarebbe intervenuto il desiderio maschile, mentre invece da parte delle registe si avverte solo un profondo affetto, una vicinanza reale ed empatica e un grande rispetto”.

La produttrice Giada Mazzoleni ricorda come per il suo documentario di esordio, Fulci for Fake, avesse bussato a varie porte senza ottenere risposta, mentre invece un collega messicano che proponeva un soggetto analogo non aveva avuto alcuna difficoltà a reperire i finanziamenti necessari. “Come donna, devi sempre dimostrare di saper fare le cose. Quando funziona però le cose cambiano”: e per la cronaca, il progetto del collega messicano non si è mai concretizzato. “Oggi bisogna anche evitare certi opportunismi”, continua Mazzoleni. “Il rischio è di essere contattata solo perché la presenza femminile serve a dare punteggio ai bandi ministeriali”. Tra l’altro Mazzoleni ha sottolineato come nel Regno Unito, dove svolge in parte il suo lavoro, esista un concreto sostegno per le donne sul set, con asili nido dedicati (anche ai padri, chiaramente) e con appoggi per il ritorno al lavoro dopo una maternità. Il titolo del panel, “Dal chiodo alla parola”, vuole proprio sottolineare l’importanza di offrire opportunità alle donne in tutti i segmenti della filiera, dalle maestranze alle autrici, anche nel campo della formazione e della creazione di modelli positivi. 

Natasza Chroscicki (Managing Director di ARRI) ha insistito sulle grandi differenze di trattamento per le donne tra la Baviera (dove le donne in posizioni apicali sono rarissime e devono “pensare come un uomo”) e la Francia, sempre portata a modello nell’audiovisivo. “Le donne nell’audiovisivo non sono poche, ma si vedono di meno: è il momento di metterle in luce”, chiosa infine la moderatrice dell’incontro, la critica cinematografica Ilaria Feole, ricordando che quest’anno il maggiore incasso al botteghino si deve ad una regista, sceneggiatrice e produttrice come Greta Gerwig con Barbie. E questo potrebbe cambiare la prospettiva. 

Da segnalare che parallelamente, alle Giornate degli Autori, si è svolto il panel #Metoo 2023: Le donne alla conquista di un cinema libero coordinato da Paola Randi, vicepresidente 100autori. “Vogliamo mettere in campo proposte concrete – afferma la regista – affinché si creino condizioni di lavoro sostenibili per tutte e tutti sull’intera filiera dell’audiovisivo e dare spazio alle autrici visto che, gli ultimi terribili fatti di cronaca lo confermano, per cambiare la cultura dell’abuso è urgente e fondamentale cambiare la narrativa. Perché le donne non sono le vittime, sono la soluzione”.  

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05 Settembre 2023

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