Un coming of age sull’identità fluida di due adolescenti su un’isola remota del Mediterraneo. Sembra una trama attualissima, no? Eppure stiamo parlando di un film che ha compiuto vent’anni. Viene presentato ad Alice nella città 2023, il restauro de L’isola, opera prima di Costanza Quatriglio, rivelazione al Festival di Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs nel 2003 e poi in sala con l’Istituto Luce. Oggi è stato riportato al suo splendore da Cinecittà nel restauro in 4K realizzato nei laboratori di via Tuscolana con una particolare attenzione al girato subacqueo 35mm.
In questa “nuova” versione L’isola uscirà in home video il 14 dicembre 2023 con Mustang Entertainment con diversi contributi extra tra cui il making of Racconti per L’isola, presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2003.
Il film racconta di un fratello e una sorella, Turi e Teresa, che crescono liberi, a contatto con il mare e con la natura, ma, arrivati all’età di passaggio, vengono costretti in ruoli che non sentono congeniali. Teresa ama la pesca, come suo padre, mentre suo fratello sogna di fare il marinaio ma è costretto ad andare nella tonnara. Lo scrittore e poeta Erri De Luca, insieme a Marcello Mazzarella, sono al centro di un cast di isolani, guidato dai giovanissimi Veronica Guarrasi e Ignazio Ernandes.
La presidente di Cinecittà Chiara Sbarigia commenta con entusiasmo l’iniziativa: “’Cinecittà ha tra le principali missioni pubbliche, affidatele dal Ministero della Cultura, accanto alla cura e diffusione, con i restauri e con il grande Archivio Luce, del patrimonio cinematografico italiano, quella della scoperta e della promozione, anche internazionale, di talenti per il cinema. La scelta de L’isola è felicissima, perché venti anni fa lanciò una giovane regista che si sarebbe affermata come un’autrice magistrale. Fino al suo ultimo documentario che Luce Cinecittà ha prodotto quest’anno e che, posso anticipare, è bello e commovente. Sul fronte dei restauri – prosegue la presidente Sbarigia – abbiamo in corso una riflessione insieme al CSC-Cineteca Nazionale e al Ministero della Cultura per realizzare un piano organico per salvare i film italiani dal degrado materiale, non solo opere di autori del passato ma anche di registi contemporanei come in questo caso. La collaborazione con Alice su questi temi è preziosa e collaudata, perché ci permette di mostrare ai ragazzi il significato e la bellezza di un film preservato, che risplende nuovamente. Non è un paradosso: i restauri dei film del passato sono una delle garanzie per il futuro degli spettatori, soprattutto di quelli più giovani”.
“Con Costanza Quatriglio condividiamo l’inizio – dicono Fabia Bettini e Gianluca Giannelli, direttori di Alice – il suo esordio alla regia è stato il primo film della selezione di Alice nella città 2003. Trovarci ancora insieme, dopo venti anni, dimostra che certe storie ci legano profondamente. La favola senza tempo di Turi e Teresa è ancora oggi una metafora perfetta per parlare di quella stagione della vita in cui tutti noi ci siamo sentiti veramente liberi. Ci interroga ancora su come raccontare l’infanzia”.
Per Costanza Quatriglio “è un’emozione e un privilegio che il mio primo film venga riproposto in splendida forma. Sono grata a Cinecittà per avere restaurato L’isola, ad Alice nella città per la bella iniziativa di presentare la copia in 4K. Seguire le fasi del restauro mi ha permesso di rivivere, con lo stesso stupore di allora, l’amore per il cinema e il mestiere che ho scelto. Normalmente i film d’esordio raccontano ciò che ben si conosce, e così è stato anche per me. Ho cominciato dall’isola di Favignana, l’isola delle estati libere, del sole e del mare, del tufo e del vento, e della grande casa di mio nonno materno nel cuore del paese, accanto alla chiesa madre. La favola raccontata nel film nasce dalla trasparenza dei ricordi della mia infanzia. Anche l’isola, come i due piccoli protagonisti Turi e Teresa, è stata colta dalla macchina da presa nel tempo in cui tutto si preparava a cambiare: il paesaggio, il turismo, la tonnara che sarebbe stata trasformata da lì a poco in uno spazio museale, e l’antico rito della mattanza, che in pochi anni sarebbe scomparso. L’isola ha girato il mondo ed è stato molto apprezzato all’estero. “New energy is coming” era la formula che l’Istituto Luce aveva portato a Cannes nel 2003; ricordo con affetto il compianto Luciano Sovena affermare con orgoglio che qualcosa di nuovo stava accadendo nel nostro cinema e che bisognava essere pronti a intercettare le esigenze di una nuova generazione di registi e registe che si affacciavano al cinema mescolando sin da subito documentario e finzione. Oggi sappiamo che aveva ragione”.
L’isola ha le musiche di Paolo Fresu, la fotografia di Aldo di Marcantonio, il montaggio di Babak Karimi e Costanza Quatriglio, è stato prodotto da Rean Mazzone per Dream Film e da Rai Cinema.
Costanza, vent’anni fa esordivi nel lungometraggio di finzione, oggi sono tante le nuove registe. Cosa è cambiato in questi due decenni?
Rispetto a venti anni fa le giovani che vogliono fare le registe si sentono più legittimate, c’è stata indubbiamente un’apertura. Persino i bandi ministeriali tengono conto della troupe al femminile come elemento preferenziale. Quando ho esordito era molto raro che una giovane donna facesse la regista. Per noi, rispetto agli uomini, occorreva anche un lavoro di auto legittimazione. E’ una cosa che ho vissuto sulla mia pelle.
Le donne hanno trovato, come hai fatto tu stessa, una importante palestra nel documentario e nel cinema a basso budget.
Nel mondo del documentario c’erano sacche di resistenza con pochi soldi a disposizione e qui le autrici si sono consolidate con un atteggiamento non industriale, perché non maneggiavano tanto denaro. Le cose sono cambiate, in meglio, ma bisogna ancora trasformare la mentalità delle singole persone. Ancora oggi trovo una ritrosia e, a volte, un atteggiamento aggressivo e persino violento nei confronti delle donne di talento, c’è qualcosa che le allontana dai ruoli di comando.
Esiste anche un’autocensura da parte delle registe?
Non in termini di argomenti, ma di colonizzazione dell’immaginario. Per molti anni non è stato facile proporre storie con protagoniste donne che non fossero ancillari ai protagonisti uomini. Adesso invece sono le stesse produzioni a chiedere una storia con una donna al centro. Ma potrebbe essere una moda, una concessione momentanea, invece deve diventare uno spazio e una voce consolidata. Il cinema si fa con i soldi e con la fiducia, entrambe queste cose ci spettano.
Come fu l’iter produttivo de L’isola?
Ero da poco uscita dal Centro Sperimentale dove mi ero diplomata in regia. Ebbi un finanziamento riservato alle opere prime e seconde per la sceneggiatura, che avevo scritta da sola. Fu un percorso avventuroso e faticoso. Il film era un racconto di formazione doppio in cui i due fratelli, un ragazzo e una ragazza non riescono ad abitare profondamente il loro ruolo sociale, perché lei vuole fare il pescatore e non può e lui invece dovrebbe ma non vuole. Un conflitto enorme, perché mette in discussione le aspettative che gli altri hanno su di loro. Teresa si identifica con l’isola, il sudore, il tufo, tutti elementi maschili. Il ragazzo – che è destinato a uccidere i tonni, a fare la mattanza – ha invece una mitezza interiore che gli fa dire io non voglio prendere nulla dal mare, voglio solo solcarlo, andare via. Io trascorsi un anno a Favignana, che conoscevo bene perché c’era la casa di mio nonno, lavorando con gli abitanti e per fare il casting, ma anche per abituarmi all’inverno.
Come hai coinvolto Erri De Luca?
Avevo letto Tu, mio, ambientato a Ischia, che ha come protagonista un ragazzino pieno di sale addosso, che mi ricordava i miei personaggi. Lo cercai per consultarmi con lui e poi, dopo un pomeriggio bellissimo passato a parlare del tufo, pensai di chiedergli di partecipare al progetto. Ci pensò un giorno e poi disse di sì.
A cosa stai lavorando adesso?
Sto finendo un documentario che, per la prima volta, riguarda le mie radici, perciò il restauro de L’isola arriva al momento giusto, mi completa e mi riconnette alla Sicilia. Da allora ho fatto film in tante parti del mondo, persino in persiano. Poi nel 2020, durante la pandemia, sono tornata a Palermo per lavorare con gli allievi del Centro sperimentale.
All’epoca i Cahiers du Cinéma ti paragonarono al Rossellini di Stromboli, terra di Dio. Cosa diresti alla Costanza di vent’anni fa?
Direi: Brava, Costi. A distanza di vent’anni mi rendo conto che nonostante il successo a Cannes e i tanti paesi nel mondo in cui il film è arrivato, i tanti premi vinti, compreso il Nastro d’argento per la colonna sonora di Paolo Fresu, non riuscivo a sentirmi sicura. All’epoca non mi percepivo come una regista di talento.
E ti rendi conto di quanto il film sia contemporaneo, oggi che il coming of age è la cifra del miglior cinema di ricerca ovunque nel mondo?
Allora era rivoluzionario e inusuale parlare dei ruoli e del gender. Ma per me era naturale. Naturale come quel set che fu uno spazio di enorme libertà.
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