Come una donna divenne kamikaze


GIFFONI VALLE PIANA – Perché e in che maniera si diventa donne kamikaze? La bella docufiction di Giuseppe Carrisi, Zarema e le altre, presentata ieri sera come evento speciale al Giffoni Film Festival, cerca di dare delle risposte partendo dalla storia vera di Zarema Muzahoeva, una cosiddetta “vedova nera” cioè donna kamikaze cecena che nel 2004, fallì volutamente il suo atto terroristico al Mon Café di Mosca, dove perse la vita l’artificiere russo che cercò di disinnescare la bomba nel suo zaino. Zarema fu arrestata e processata. E’ in carcere in Russia, da cui uscirà nel 2023. Allora avrà quantadue anni.

 

La vicenda umana e privata di Zarema ci racconta di donne vedove, giovanissime, i cui mariti sono stati uccisi dalla guerriglia o nelle due guerre contro lo stato russo. Spesso hanno figli a carico, ai cui bisogni non sanno come far fronte a causa della povertà e della devastazione in cui il paese versa. Le donne vedove, disperate e senza futuro, vengono così avvicinate da altre donne, le cosiddette wahhabite, molto vicine al fondamentalismo islamico legato ad Al Quaida, che vedono nel terrorismo e nel martirio una risposta di giustizia e di vendetta, in questo caso contro la Russia.

 

L’episodio del 2004 è il secondo mancato tentativo da parte di Zarema di farsi martire, la prima volta finse, qualche mese prima, finse di perdere l’autobus: non ebbe il coraggio di far esplodere bambini e persone innocenti che andavano a scuola e al lavoro. Lei a differenza di altre che invece hanno portato a termine il loro obiettivo (come l’attentato del 2002 nel teatro Dubrovka di Moska per mano di diciotto donne kamikaze tutte giovanissime o quello del 2003 a Tuschino, all’aerodromo di Mosca durante il festival rock, per opera di 2 donne kamikaze) riesce, grazie all’amore per la sua bambina strappatale dalla famiglia del marito ucciso, a vedere ancora la bellezza della vita, riesce ancora a soffermarsi sul sorriso dei volti, sulla normalità degli affetti che non ha mai conosciuto. La figura di Zarema, affidata all’interpretazione della giovane Marina Tuzikova, riesce ad essere solare nonostante la rabbia e la voglia di giustizia che porta dentro di sé, ma capisce che non è uccidendo se stessa e gli altri che aiuterà il proprio paese e quindi sua figlia, a ritrovare la pace.

 

Quella mattina, al Mon Cafè, è la visione di due innamorati, la visione in strada della gente che cammina, si parla, si abbraccia che spingono Zarema a non compiere fino in fondo il suo gesto. E di lucida speranza sono le parole che chiudono la docufiction, frasi affidate alla voce fuori campo di Zarema-Marina:”Noi nel nostro paese non abbiamo mai conosciuto la pace. Chi si farebbe saltare in aria se sapesse cos’è la felicità e cos’è la pace? Se voglio abbracciare mia figlia, ho capito che devo farlo sulla terra, non nell’aldilà, senza uccidere nessuno. Senza uccidere nessuno”.

 

Giuseppe Carrisi, giornalista RAI e regista porta a Giffoni, il suo terzo documentario sulla violenza ai bambini e alle bambine/ragazze: due anni fa proprio a Giffoni presentò in anteprima Kidogò, documentario attorno all’esperienza di John Batista Onama, ex bambino soldato. Lo scorso anno invece fu la volta di Voci dal buio in cui, attraverso il montaggio incrociato confrontava i diritti violati dei bambini soldati con i bambini arruolati dalla camorra in Italia. “Il mio obiettivo – dice Carrisi – è dare voce alle centinaia di migliaia di bambini e bambine che nel mondo soffrono la fame, la povertà, le malattie, bambini che anche dalle nostre parti vengono sfruttati, abbandonati e violentati”.

30 Luglio 2010

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