CANNES – Una storia d’amore fatta di attrazione e incompatibilità insieme, che nasce sulle rovine della Polonia del dopoguerra tra due persone profondamente differenti per background sociale e temperamento, è la pellicola che Pawel Pawlikowski ha portato in concorso a Cannes vincendo la Palma per la regia. Cold War è ambientato sullo sfondo della guerra fredda e segue due decadi di incontri clandestini, avvicinamenti e fughe improvvise tra due individui forti e irrequieti, due artisti polacchi, raffinato e dotato pianista lui (Wiktor, Tomasv Kot), aspirante cantante e ballerina dal passato turbolento lei (Zula, Joanna Kulig) che si muovono tra Varsavia, Berlino, Jugoslavia e Parigi. Tra loro c’è una comprensione profonda e un’attrazione che supera il logorio del tempo, ma al tempo stesso sono una coppia incapace di stare insieme, separata da difetti di carattere, opinioni politiche e sfortunati colpi di scena.
Un racconto fatto di andirivieni sentimentali e geografici che il regista di Ida (premio Oscar e BAFTA per il miglior film in lingua straniera) ha voluto dedicare nei titoli di coda ai propri genitori, di cui ha preso in prestito i nomi dei protagonisti e a cui si è ispirato per disegnare questa misteriosa e complicata relazione fatta dall’incapacità di stare insieme e dalla bramosia di aversi che nasce dalla distanza: “Ci sono molte cose in comune con i miei genitori che sono stati i protagonisti di una storia d’amore disastrata. Il film non è un loro ritratto ma la messa in scena di un meccanismo simile a quello che si era istaurato nella loro relazione”. Zula e Wiktor hanno altre relazioni e amanti ma con il tempo realizzano che nessuno sarà mai in grado di essere vicino all’altro come sanno reciprocamente fare, anche se, paradossalmente, l’altro è l’unica persona con cui non sono capaci di stare.
Cold War si svolge in un periodo lungo 15 anni, dal 1949 al 1964, di cui vengono raccontati solo i momenti salienti, lasciando al pubblico il compito di mettere insieme la storia che, sullo sfondo, mostra anche la retorica anti occidentale e nazionalista della Polonia di quegli anni, fedele ai valori comunisti, la propaganda dei media di Stato e la paura che pervadeva la popolazione. Così come le difficoltà dell’esilio di chi, non resistendo alla difficoltà della vita sotto un regime totalitario, fuggiva all’estero dove viveva con molta più libertà ma costretto ad adattarsi ad una cultura profondamente differente: “Non penso alla patria in maniera nazionalista – ci tiene ad evidenziare Pawlikowski – per me la Polonia è un particolare insieme di paesaggi, identità linguistica e sociale in cui sono cresciuto e dove ho sempre voglia di tornare per sentirmi a casa”.
Il film è girato in bianco e nero come il suo precedente Ida, una scelta non scontata ma che il regista a un certo punto ha ritenuto necessaria: “Non volevo ripetermi e ho cercato varie opzioni di colore per fare un film differente – dice- Non abbiamo però trovato la giusta palette e alla fine ho capito che solo il bianco e nero poteva essere la scelta più sincera e onesta per restituire la Polonia degli Anni ‘50”. Una nazione distrutta dalla guerra, le cui città erano in rovina, dove ancora nelle campagne mancava l’elettricità e le persone indossavano colori scuri e grigi. “Se avessi scelto di mostrala con colori vividi, sarebbe completamente falso”, continua. “In questo film, però, il bianco e nero è più contrastato e drammatico, e c’è molta più dinamicità e movimenti di camera”.
Cold War, che arriverà nelle sale italiane distribuito da Lucky Red il 20 dicembre dopo il trionfo agli EFA, è una coproduzione tra Francia, Polonia e Gran Bretagna con Opus Film, Apocalypso Pictures e MK Productions.
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