VENEZIA – Premio Marcello Mastroianni a un attore emergente, andato all’astro nascente americano Charlie Plummer, alla Mostra di Venezia 74, per Lean on Pete (Charley Thompson) del regista britannico Andrew Haigh – già autore dell’acclamato 45 anni – tratto dal romanzo del musicista Willy Vlautin, sulla storia dell’amicizia tra un ragazzo solo e un cavallo da corsa zoppo. “Ho amato il romanzo e la sceneggiatura – dice l’attore – e quando mi hanno fatto il primo provino non riuscivo proprio a contenermi, per cui ho mandato ad Andrew una lettera in cui cercavo di convincerlo che ero la persona giusta. Ho perfino lo stesso nome del protagonista. Mi hanno ricontattato molto presto, prima del previsto”. Nel cast anche Steve Buscemi e Chloë Sevigny.
Charley è già, di partenza, appartenente a una famiglia povera. Solo con il padre, si sposta nei piccoli centri del Nordovest americano, seguendo le piccole occasioni di lavoro. Per guadagnare qualche spiccio trova un impiego estivo con un allenatore di cavalli, ma ulteriori sfortune lo porteranno a un viaggio per provincia americana alla ricerca di sua zia, di una casa, cibo caldo, una scuola che possa frequentare per più di metà anno.
“E’ esattamente il contrario di un romanzo di formazione – dice il regista – che di solito significa libertà, crescita e fuga, Charley invece non sa cosa significhi il valore di una famiglia, perché nessuno si è mai preso cura di lui quando era piccolo. Quindi cerca sicurezza, amore, rifugio, protezione e stabilità. Ma mantiene la sua dignità, non si vive mai come un senzatetto. L’unica persona con cui riesce a parlare è il suo cavallo, anche se non può comprendere veramente. Trovo che quella scena esprima tutta la tristezza e lo spessore drammatico del personaggio. Ha funzionato soltanto grazie allo splendido lavoro di Charlie. Tra lui e l’animale si era sviluppato un vero rapporto di affinità, si crea una grande connessione e penso che la presenza di un animale possa davvero aiutare le persone in difficoltà psicologica. E’ una grande storia americana, ma raccontata in maniera lineare, non volevo ci fossero flashback o cose simili, sono un narratore classico. Ne ho parlato con gli sceneggiatori e naturalmente con l’autore del romanzo, che sembra molto contento. Abbiamo fatto delle cose insieme, siamo stati in giro a vedere come funzionano davvero i maneggi. Ho cercato di usare inquadrature che fornissero l’altezza oltre che la larghezza, spesso si usano troppi primi piani. Ma alla fine quello che volevo emergesse è che c’è sempre speranza, nessuno dei personaggi è veramente cattivo”.
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