Carlo Sironi: “La prima estate di Clara e Irène”

Carlo Sironi porta a Generation la sua opera seconda Quell’estate con Irène con Noée Abita e Maria Camilla Brandenburg, due adolescenti tra malattia e voglia di vivere


BERLINO – E’ una storia di crescita e di amore per la vita, dai toni sfumati e sottili, con al centro due personaggi incantevoli, le giovanissime Clara e Irène, diciassettenni che, nell’agosto del 1997, si incontrano e si scelgono durante una vacanza speciale, un soggiorno organizzato dall’ospedale che le ha in cura. Sono infatti reduci, come i tanti loro coetanei, da cure pesanti, come testimoniano i capelli corti e la pelle pallidissima, che teme il contatto con il solleone e va protetta a oltranza. Ma è il cuore che rischia di scottarsi e che deve trovare la giusta sintonia con l’esistenza, tra ardore giovanile e cautela di chi ha visto in faccia la morte. Corpi sottili e fragili, caratteri opposti e complementari, spingono Irène e Clara a provarsi in una fuga estemporanea che le porta su un’isola siciliana dove sono davvero irraggiungibili (senza telefonini, l’unico contatto con la famiglia è una cabina telefonica). Intanto l’incontro con il gruppo dei coetanei, spensierati e ignari, sembra aprire nuove prospettive.

Carlo Sironi porta a Generation la sua opera seconda Quell’estate con Irène con Noée Abita e Maria Camilla Brandenburg, prodotto da Kino Produzioni con Rai Cinema, June Films, il MiC, la Regione Sicilia e la Sicilia Film Commission, L’aide aux cinémas du monde CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée, l’Institut Français. L’abbiamo intervistato per Cinecittà News.

Da quali suggestioni nasce un film che racconta benissimo il passaggio della linea d’ombra, oltretutto in una condizione speciale, quello della malattia oncologica, che getta un’ombra ulteriore sull’adolescenza.

Le suggestioni sono tantissime, a partire dalla mia adolescenza. Stavo ascoltando la canzone dei Cure To Wish Impossible Things, quando mi è venuto in mente un racconto che partisse dal legame improvviso che si crea tra due ragazze. Quell’estate con Irène nasce dal desiderio di raccontare quel momento in cui le prime impressioni della vita ci colpiscono e vanno a creare la nostra identità e la nostra memoria, quell’estate che non dimenticheremo mai. Volevo realizzare un film che avesse la sostanza indefinita di un sogno ad occhi aperti e la precisione chirurgica dei ricordi più importanti.

C’è una qualità peculiare dell’amicizia femminile, la complicità, la protezione, il calore.

Ricordo come le ragazze, mie coetanee, legavano velocemente e sapevano dichiararlo ad alta voce. Il film mostra tante prime volte e il potersi ri raccontare sotto lo sguardo dell’altro. Lo sguardo di Irène dà a Clara la possibilità di essere la persona che si è immaginata. Ho iniziato a scrivere questa sceneggiatura prima della mia opera prima, Sole, che era a Berlino 2020 in una sezione collaterale. Ho cercato di restituire quella sensazione di stupore che ho provato verso l’amicizia femminile, capace di crearsi in modo veloce, solido e dichiarato. Nella mia esperienza, negli anni del liceo, ricordo quella capacità di mostrare i propri sentimenti, senza nasconderlo. Ho digitalizzato i filmati che facevamo all’epoca e ho notato come fossero un generatore di fantasia. La telecamera ci faceva sembrare più piccoli, ci faceva tornare bambini. Mentre oggi i ragazzi, di fronte alla lente dei cellulari, tendono a essere più adulti. Ho letto anche alcuni diari di amiche del liceo, che sono stati importanti per restituire il linguaggio, il modo di parlare.

Come mai la scelta di ambientarlo nel 1997?

Non lo avrei ambientato adesso per molte ragioni, tra queste la tecnologia. L’assenza dei telefonini e di internet cambia la percezione delle cose, per esempio arrivare su un’isola senza aver visto neanche una foto.

Come ha scelto le due protagoniste?

Noée Abita è un’attrice che in Francia è già abbastanza importante. Ero a Parigi per una residenza di scrittura, ho visto il suo primo film, Ava, e ne sono rimasto folgorato. L’ho mostrato a Silvana Tamma, che scriveva con me, per capire come volevo fosse Irène con quello slancio leggero e una profondità nascosta, molto pudica, due forze che vanno un po’ in contrasto. Poi, a un certo punto, abbiamo pensato di proporlo direttamente all’attrice, a cui è piaciuto molto, tanto che ha imparato l’italiano per il film. In seguito abbiamo trovato Camilla Brandenburg, che aveva fatto piccoli ruoli in Skam, ma che qui è al suo primo film, credo che farà un grande percorso.

Claudio Segaluscio è invece una conferma dopo “Sole”.

Per me è uno di famiglia e ha un’aura di romanticismo attorno a sé che era perfetta per il personaggio di Martino.

La malattia è centrale nel racconto, che parte proprio dall’osservazione di questi adolescenti usciti da cure invasive, ma allo stesso tempo viene mostrata con grande pudore, senza mai ricattare lo spettatore.

È così, volevamo che il film non fosse basato sul meccanismo ricattatorio. Non stiamo raccontando i nostri ultimi istanti, ma i nostri primi istanti, anche se c’è un’ombra. Ho intervistato ragazzi e ragazze e incontrato i genitori dell’AGOP-l’Associazione Genitori Oncologici Pediatrici, che tra l’altro organizza questi summer camp per chi è ancora in follow up. Abbiamo trovato un punto di partenza interessante che non iniziasse in corsia, in ospedale. I ragazzi ci hanno illuminato sul momento della bolla, quando senti una spinta vitale che ancora non puoi del tutto vivere. C’è un’oscurità che la malattia può gettare sui corpi. Ma non volevamo essere mai brutali o troppo realistici.

Rispetto a “Sole” c’è un elemento in comune che è quello dell’incontro molto intimo tra due creature.

In comune c’è l’introspezione sui personaggi, lo spazio intimo che mi viene più facile e istintivo raccontare. In entrambi i film, pur diversi, si parla dell’incontro casuale tra due persone che si salvano la vita a vicenda, che colmano un vuoto in modo naturale. Sono rapporti a due imprescindibili. Gli altri personaggi sono importanti, ma Clara e Irène si salvano a vicenda.

Nella forma del racconto c’è un forte legame con il cinema francese, penso a Rohmer ad esempio.

C’è sicuramente un rapporto col cinema anni ’60 nella messinscena di aspetti episodici della vita. Il Rohmer di Pauline à la plage e Conte d’été. Ma anche Maurice Pialat. E poi la serie di Luca Guadagnino We Are Who We Are, e anche Un angelo alla mia tavola di Jane Campion.

A proposito di Guadagnino, c’è anche una tensione erotica tra queste due amiche.

Non è un elemento voluto in scrittura, ma mi piace se lo si intravede, perché questa amicizia è molto romantica. Non è un malinteso. Volevamo renderla intima e solida anche se nata in modo veloce. Quando si è molto amici si è anche in qualche modo innamorati. L’amicizia maschile punta più sul gruppo, almeno tradizionalmente, ma oggi, per fortuna, i ruoli sono molto più fluidi.

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18 Febbraio 2024

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