Cape Fear non è solo uno dei film di maggior successo commerciale di Martin Scorsese. È un cult contemporaneo del thriller centrato sulla singolarità con cui il grande maestro newyorkese dipinge un racconto di angoscia morale domestica. Un film straordinario, certo, ma che, a distanza di poco più di 30 anni dall’uscita (è del 1991), è spesso relegato nel retro dei nostri pensieri cinefili. Non del tutto dimenticato, ma nemmeno un classico contemporaneo. Ed è un peccato, davvero.
Perché sono molte le qualità che lo rendono straordinario: alcune delle riprese più audaci e propulsive di Scorsese; interpretazioni eccellenti (un De Niro archetipicamente malvagio, uno stravagante Nick Nolte, un’ardente Jessica Lange e una Juliette Lewis stratosferica e non a caso candidata all’Oscar); la rielaborazione anacronistica di Elmer Bernstein di una colonna sonora roboante e minacciosa di Bernard Hermann.
Pur volutamente esagerato, anche nei dialoghi che sfociano nel grottesco, Cape Fear utilizza essenzialmente la logica della fiaba per esaminare questioni etiche rilevanti. La sceneggiatura, che fa riferimento alla storia di Giobbe, presenta il Sam Bodwen di Nick Nolte come l’incarnazione dell’uomo moderno senza principi. Alla fine, l’incapacità di Bowden di mantenere una sorta di codice etico coerente permette a una minaccia brutale e selvaggia di entrare nella sua casa.
Tuttavia, Scorsese e lo sceneggiatore Wesley Strick non presentano Cape Fear come una semplice parabola, poiché le tentazioni e le prove che Bowden deve affrontare sono spesso enigmi complessi e spinosi. Cape Fear è una meravigliosa giustapposizione tra una regia stilizzata e frenetica e una comicità cupa e moralista.
È proprio il modo in cui vede il personaggio di Sam Bowden la chiave del remake di Martin Scorsese, che riprende l’omonimo thriller del 1962. Bowden è un avvocato difensore che viene minacciato da un uomo del suo passato: uno stupratore che ha finito di scontare una condanna a 14 anni di carcere e vuole vendicarsi per quella che ritiene (correttamente) essere stata una pessima difesa. Il classico del cinema noir del 1962 era teso e semplice. La versione di Scorsese non è meno tesa. Ma è molto più complessa. Scorsese alza la posta in gioco per la sensibilità degli anni ’90, senza mai perdere la sua integrità registica. Scorsese ci offre un cattivo estremamente malvagio che ha subito un torto, cercando di danneggiare un eroe che ha peccato.
Nel film originale, Sam Bowden era un uomo buono che cercava di difendere la sua famiglia da un pazzo. Nella versione di Scorsese è imperfetto e colpevole, e in effetti tutti in questo film sono deboli in un modo o nell’altro, e non ci sono eroi. Questo è il tocco di Scorsese.
Cady è interpretato da un Robert De Niro esorbitante, nel ruolo che fu di Robert Mitchum nel 1962. Ricoperto di tatuaggi che recitano terribili avvertimenti biblici, Cady è un bifolco di ferro che ha imparato a leggere in prigione. È lo spirito onnipotente e in agguato del film. È l’angelo vendicatore che arriva in città con una Mustang decappottabile e si insinua nella vita dei Bowden come un serpente cauto, ma inesorabile. È furbo, si mantiene al di qua della legge: non sconfina e non fa del male a Bowden. Il suo gioco è provocare l’avvocato fino al punto di rottura. Ben presto, ovunque Bowden guardi, vede la presenza sempre più minacciosa di Max Cady: fuori da un ristorante, in un cinema, sul muro di cinta della sua proprietà.
Cape Fear nuota anche in un mare di tensione sessuale. Un accenno alla necrofilia e all’incesto fa venire a Nolte un improvviso appetito sessuale per la moglie. E lo sguardo che dedica alla figlia, una Juliette Lewis versione Lolita, che se ne va per casa in maglietta e mutande appare quantomeno ambiguo e pruriginoso. Quando Nolte lascia la moglie da sola a casa – con De Niro in libertà – Lange replica: “Che ne dici di un’arma, nel caso le cose si facciano eccitanti?”.
Il gioco sessuale principale è però proprio quello tra De Niro e Lewis. Con orrore di Nolte, il galeotto bianco la spinge senza sforzo a una trasformazione erotica. In una delle scene più avvincenti, Max Cody (che finge di essere un insegnante) attira la figlia di Bowden in un teatro nel seminterrato di una scuola. La affascina con una dolcezza che lei non conosce. È il Grande Lupo Cattivo in veste moderna. Ci sono colpi di scena ovunque nel film. Forse addirittura troppi ma, tirando le somme, Cape Fear si rivela un film impressionante, che mostra Scorsese come un maestro di un genere hollywoodiano tradizionale, capace di plasmarlo secondo i suoi temi e le sue ossessioni. Modula la tensione ed esprime i risvolti più oscuri con un ritmo tesissimo e un montaggio veloce. Le tensioni del gatto e del topo si sviluppano verso un incredibile finale in una casa galleggiante in acque vorticose. Ma nelle mani di Scorsese, questo non è solo un duello finale in una brutta tempesta.
È la sconvolgente turbolenza del Giudizio Universale.
De Niro pagò 5.000 dollari a un dentista per farsi limare i denti e avere un aspetto più inquietante per il ruolo. A fine riprese pagò lo stesso dentista 20.000 dollari per farseli rifare esattamente come prima.
Il forte accento che Robert De Niro usava per interpretare Max Cady ha fatto venire i brividi a Martin Scorsese . Spesso per divertirsi, De Niro chiamava a casa del suo amico regista, lasciando messaggi vocali come se fosse Cady.
Inizialmente la regia era stata affidata a Steven Spielberg. In seguito raccomandò Martin Scorsese per il lavoro e lo chiamò personalmente, facendogli sapere che si trattava di un film commerciale che aveva il potenziale per essere un successo, che avrebbe esercitato un maggiore potere per Scorsese nel fare i suoi film successivi.
La prima scelta del regista Martin Scorsese per il ruolo di Bowden fu Harrison Ford. Per convincerlo chiede a De Niro di chiamarlo. Dopo averci pensato un po’, alla fine Ford rifiutò l’offerta. Furono presi in considerazione anche Robert Redford, Jeff Bridges, Kevin Costner, Richard Gere, Mel Gibson ma, dopo che Scorsese ebbe incontrato Nolte ad un evento di gala, ritenne quest’ultimo la scelta più giusta per il personaggio. Anche lui dovette perdere diverso peso, così da risultare meno imponente accanto a De Niro.
E’ stata l’ultima apparizione di Gregory Peck in un film prima della sua morte, avvenuta il 12 giugno 2003 all’età di 87 anni. Nell’originale Cape Fear di trent’anni prima era il protagonista Sam Bowden, mentre in questa pellicola è l’avvocato di Robert De Niro
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