Bruno Dumont, dopo aver tenuto una masterclass per il pubblico del Bellaria Film Festival, dove il suo ultimo film, L’Empire, è stato mostrato in anteprima nazionale in attesa dell’uscita nelle sale il 12 giugno, ci ha raccontato la sua idea di cinema e del perché Hollywood stia all’esatto opposto. In L’Empire, un capovolgimento dei tropi della fantascienza, premiato con l’Orso d’Argento a Berlino 2024, Dumont si prende gioco di Star Wars e mette a nudo una narrazione americana in cui non crede. “Il cinema che faccio non dice come dovrebbe essere il mondo, ma quello che è”.
No, ma non ci sarebbe nessun problema anche se accadesse, sono pronto.
Tutte le storie ambientate nello spazio tendono a essere ripetitive e a utilizzare sempre gli stessi modelli, sia a livello di racconto che a livello di scenografie. Mi riferisco tanto a Star Wars, ma anche a 2001: Odissea nello spazio. Il cinema statunitense tende a fare un modello piatto di qualsiasi idea, offrendo solo prototipi. Volevo creare immagini alternative, giocando anche con quello che esiste, come la Reggia di Caserta o Sainte Chapelle in Francia.
Il cinema è nato in Europa e qui è diventato un’arte. Gli statunitensi ne hanno fatto un’industria e ora ha queste due anime. Ci sono grandi film hollywoodiani, non lo nego, ma resta l’attenzione al reddito e al profitto. In Europa sopravvive una forma più pura. Non è detto che sarà così per sempre. Guardiamo l’Italia, culla di una delle più importanti cinematografie del mondo. Che fine hanno fatto quegli anni?
Mi sono formato con il cinema italiano. Pasolini, come Rossellini, sono autori che hanno trasformato il cinema in una forma di poesia, elevandolo oltre i suoi confini. Qualcosa che oggi non esiste più. Le opere di registi come Antonioni hanno trovato uno stile che permette di leggere l’anima di un intero paese. La mia visione del comico e del tragico viene da Fellini, un artista che riusciva a mescolare questi due elementi del mondo. Se mostrate un film di Fellini al pubblico di oggi a lui sì che daranno del pazzo.
Il film non è un prodotto finito, come tutte le opere d’arte. Le persone che lo guardano giocano un ruolo determinante nelle possibilità che un’opera ha di continuare a espandersi. È così che io concepisco il cinema. I grandi film sono colmati dal ruolo che ha lo spettatore. Negli Stati Uniti invece si consumano i film, come al fast food. Per me il cinema è più gastronomia.
Sì, è un’arte umanista. È questa la potenza del cinema. Non bisogna fare la morale ma mostrare personaggi fuori dagli schemi, rivelandone la bellezza. Il cinema è una luce che attraversa il mondo e ci permette di vedere l’umanità nella sua finitezza, sublimandola. Non conosco l’Italia, è vero, ma il cinema italiano mi ha permesso di entrare in contatto con la vostra anima. Non parliamo di personaggi archetipici, come sono nel cinema statunitense, dove tutto è perfetto. I personaggi di Pasolini non sono così e oggi sarebbe difficile proporli, ma il cinema ci porta all’universalità.
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