Assayas-Binoche e le nubi di Sils Maria

Quarta volta in concorso per Olivier Assayas con Sils Maria, film-saggio sull'eterno ritorno e le età della vita con Juliette Binoche protagonista


CANNES – Quarta volta in concorso per Olivier Assayas con Clouds of Sils Maria, film-saggio sull’eterno ritorno e le età della vita. Maria Enders (Juliette Binoche) ha conosciuto il successo appena diciottenne grazie alla pièce Maloja Snake di Wilhelm Melchior (non esiste e l’autore si è in qualche modo ispirato a Lacrime amare di Petra Von Kant di Fassbinder). Allora aveva il ruolo di Sigrid, una giovane ambiziosa e manipolatrice che porta alla rovina spingendola al suicidio la più matura Helene. Oggi Maria ha l’età di Helene e si vede proporre il ruolo della vittima da un regista che ha fiutato l’impatto mediatico dell’operazione. Seppure riluttante, finisce per accettare e comincia a studiare il testo nello chalet alpino di Melchior, che è stato il suo mentore e grande amico e che si è appena tolto la vita. Maria si fa dare le battute dalla sua assistente personale Valentine (Kristen Stewart), con cui intrattiene un rapporto ambiguo, forse di attrazione. Rivivendo l’esperienza di tanti anni prima dal punto di vista opposto, è sempre più turbata. E contemporaneamente si sente minacciata dalla fama mediatica della nuova partner in scena, Jo-Anna Ellis (Chloe Grace Moretz), attrice rampante e avvezza agli scandali che le ha ‘rubato’ il ruolo di Sigrid (sia pure per motivi anagrafici) e che è evidentemente destinata a rubarle la scena. Naturalmente viene subito alla mente Eva contro Eva

Fantasmi si affollano dunque sulle montagne dell’Engadina care al filosofo Friedrich Nietzsche. Proprio in quei luoghi avviene un singolare fenomeno atmosferico, un serpente di nubi che si insinua tra i monti attraverso il colle di Maloja portando il cattivo tempo. Una meraviglia naturale già filmata nel 1924 da Arnold Fanck. Per il regista francese, che ha mostrato nel film alcune di quelle antiche immagini, “quello è un momento della storia del cinema  in cui c’è questo sguardo sulla natura che mi fa pensare alla pittura cinese con queste nubi che scivolano lentamente. È qualcosa di meraviglioso. E bisogna considerare che all’epoca non c’erano riprese aeree e che si girava in condizioni eroiche aspettando in una baita di montagna che si verificasse il fenomeno. Sono cose che fanno paura e allo stesso tempo affascinano e in nessun modo sono immagini da cartolina”.

Ma la scelta di girare tra le montagne svizzere (e in parte in Alto Adige con il sostegno della BLS) serve a creare un isolamento tra i due personaggi principali, Maria e la sua assistente. “Da quando le due donne si trasferiscono nello chalet, quel paesaggio – che ha ispirato poeti, pittori e filosofi – diventa un personaggio del film. È un mondo immutabile in cui si inseriscono due esseri umani che si interrogano sulla realtà del tempo. Ed è un luogo abitato da presenze e da fantasmi, che risuona di questioni filosofiche. Anche il serpente è come un organismo vivente”. Per Juliette Binoche, che a Cannes ha vinto il premio per l’interpretazione nel 2010 con Copia conforme di Kiarostami, “la sceneggiatura di Olivier faceva appello a una nudità interiore, mi chiedeva di affidarmi totalmente a lui nel lavoro. Tra l’altro abbiamo iniziato a girare senza fare prove. Anche perché se pensi troppo prima, poi tutto diventa noioso”. Il legame tra il regista e l’attrice è antico e molto forte. “Ci siamo incontrati all’inizio delle nostre carriere – racconta Assayas – perché io avevo scritto la sceneggiatura di Rendez-vous di Téchiné di cui lei fu protagonista. Anche quella era una storia che aveva a che fare con l’invisibile e con il percorso di una giovane attrice verso il suo ruolo”. Da allora non hanno più lavorato assieme fino a L’heure d’été del 2008. Per Chloe Moretz, la giovane star di Kick Ass che ha il compito di incarnare l’immaginario contemporaneo in cui la celebrità si consuma velocemente su internet e su youtube, “Juliette Binoche è cosi magnetica in film come Il paziente inglese e Chocolat, che da lei c’è solo da imparare”. E racconta: “Volevo lavorare con Assayas dopo aver visto Carlos, un paio d’anni fa, di cui mi ero innamorata. E sono stata fortunata a incontrare proprio questo film, profondamente francese. C’è qualcosa di particolarmente intimo nel cinema francese rispetto a quello americano: è nuovo, vivace e inafferrabile”.

23 Maggio 2014

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