La Margherita di Anna Galiena è una donna entusiasta e volitiva, una grande attrice di caratura internazionale con la prospettiva imminente di un progetto americano, ma qualcosa di ineluttabile la ferma, la malattia. Una casa accogliente e piena di vita la sua, fino a che la SLA non s’impadronisce del corpo della donna, sposata ma ormai separata da Antonio (Franco Nero), che però – su richiesta del figlio – torna in quell’appartamento, che dapprima lo respinge, per prendersi cura di lei.
Galiena dà vita a un personaggio molto delicato e complesso, restituendo una verità intensa.
Signora Galiena, il film è molto onesto nel mostrare il realismo della malattia, quasi al limite dell’umiliazione: come ha affrontato l’idea di un ruolo senza armature di difesa?
La cosa interessante di questo ruolo era che si trattasse di una persona con tanta armatura di difesa, all’inizio, tanto senso di importanza di se stessa, anche a rischio di soverchiare un po’ gli altri, e poi la vita le toglie queste difese, per cui lei prima si ribella in maniera inutile, ma poi accetta e cresce, quindi è stato un bel viaggio, a cui io mi sono lasciata andare.
Lei si ritrova in questa donna, nella sua corazza iniziale almeno?
No. Io ho un carattere ‘fumantino’, sono una persona appassionata, ma non sono così; ho molti alti e bassi, sono fondamentalmente molto, molto, molto insicura, sto spesso nascosta da una parte, poi esco fuori, poi mi rinascondo: no, non sono così spavalda e sicura di me. Quando devo difendere un’idea sembra io sia molto spavalda, perché la difendo con passione, ma altrimenti sto sempre a domandarmi ‘Cosa penseranno di me? Mi accetteranno? Cosa devo fare?’.
Questo le accade ancora oggi, che è un’attrice di successo?
Sì, ancora oggi. Se uno è fatto in un certo modo è così; poi cerchi di accettarti, perché se non ti accetti non c’è niente che tu possa cambiare. Una volta che ti accetti riesci, forse, a modificare dei comportamenti perché tu possa vivere meglio e far vivere meglio chi sta vicino a te.
Il film affronta un tema delicato come la malattia, per cui nel raccontare/recitare bisogna trovare un giusto equilibrio, affinché al pubblico arrivino emozione e sensibilità. Da interprete e da persona, si arriva un po’ spaventati davanti a un soggetto come questo?
No, perché è il tuo personaggio, e quindi fai il viaggio fino in fondo. Non è che se non pensiamo alla malattia non possa arrivare, non sappiamo quello che ci succederà. Certo, mi andrebbe adesso di fare una commedia, perché sono una ridanciana – e sono anche buffa, mi dicono – e dunque mi andrebbe, ma i personaggi sono i personaggi: li ami e li difendi così come sono.
Qual è il suo personale punto di vista sul libero arbitrio verso la scelta della propria fine?
Nel film, lei sta davvero alla fine… Io non lo so cosa farei in quella situazione, se capitasse capirò nel momento stesso cosa fare. Cosa ne penso? Che sia un diritto di chi è malato; altrettanto, penso che la presenza di una persona cara, anche malatissima, se ha un valore, se si è creata degli affetti, abbia comunque tanta importanza, quindi bisogna vedere anche il punto di vista degli altri. La vita è sacra, ma è sacra anche la morte, che non conosciamo: come dice Amleto, quello è il paese da cui nessuno è mai tornato. Quindi nessuno si deve far grande a dirci cosa sia la morte. Riusciamo appena a capire cosa sia la vita.
Com’è andata la costruzione della coppia con Franco Nero?
Eravamo sposati anche in un film che non è uscito, bellissimo, I guardiani delle nuvole, ma la produzione non pagò le maestranze, che hanno fatto sequestrare il film. È stato un ritrovarci ed è andata benissimo. Franco non è uno che si mette a ‘preparare’ con l’altro attore: alcuni lo fanno, altri no, io sono comunque disponibile; in questo caso lo affrontavamo di giorno in giorno.
Qual è il suo rapporto con i ricordi? Il personaggio di Nero, in particolare, ha una connessione con il passato.
Antonio è un depresso e uno di quelli che vivono nel passato. Mentre il mio personaggio vive nel presente ed è proiettato nel futuro, dopodiché il fatto di recuperare il rapporto avviene per entrambi e non perché lui insista, avviene il ritrovarsi. Lui è innamorato di quello che il loro amore era una volta, ma lo ritrovano nella realtà e nell’accettazione di quello che stanno vivendo, lo ritrovano da adulti, è questa la vera conquista, ovvero non aver perso la grossa forza che li legava.
Come sceglie i progetti a questo punto della carriera?
È l’insieme delle cose, ci dev’essere la sceneggiatura nel suo insieme, ci deve essere il ruolo, devo sentirmi bene con il regista e aver voglia di fare quel viaggio con lei/lui, e alla volte, se mi rendo conto – come m’è successo anche l’anno scorso – che nel modo in cui viene gestito il lavoro ci sia qualcosa che non va, e che mi farà stare male, o non mi farà fare un buon lavoro, se si è ancora in tempo a tirarsi indietro, io sono pronta a farlo.
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