Alice Rohrwacher: “Hollywood sta scoprendo il cinema europeo”

Ospite d'onore al Bellaria Film Festival, la regista racconta la sua opinione sui premi, la serie dedicata alle fiabe italiane e l'importanza di ascoltare i più giovani


Grande protagonista della 42ma edizione del Bellaria Film Festival, abbiamo incontrato Alice Rohrwacher dopo la sua masterclass dal titolo “Vedere l’invisibile”, che ha visto un’ampia partecipazione di giovani e giovanissimi appassionati al cinema della regista. Alla Rohrwacher è dedicata anche la mostra fotografica “Tra le rovine la luce” di Simona Pampallona, con le foto di scena dal film La chimera.

Mi ha colpito molto vedere qui a Bellaria tanti giovani in fila per incontrarti e scambiare qualcosa di più dei soliti convenevoli, si capiva dai loro occhi che erano in cerca di qualcosa di più, un confronto o un riferimento

Io ammiro e rispetto i giovani. Credo cerchino questo. Parlo con loro come avrei voluto che avessero parlato a me quando ero più giovane. Io sono molto curiosa di quello che succederà, perché è chiaro che siamo alla fine di un’epoca, di una civiltà. Questi giovani sono chiaramente in pericolo, perché sono prede di un sistema economico che li vuole assolutamente colonizzare. Sono terre su cui tutti hanno messo gli occhi. Ma sono molto più liberi da tanti condizionamenti che noi avevamo, e quindi sono proprio curiosa di vedere che faranno. Sono qui che aspetto.

A proposito di generazioni, qual è il rapporto tra i nuovi autori oggi?

Secondo me la cosa più bella che può succedere è quando fai un film e dici non l’ho fatto io, nel senso che è oltre me. Credo si sia cercato di soffiare sul fuoco dell’autorialità anche per separare i registi, per fargli pensare che è una guerra uno contro uno, e questa è una cosa proprio specifica di questo paese, soffiare sull’ego in modo che questo si incendi e tu possa pensare solo a come difenderlo. Sono stanca di tutto questo, possiamo andare oltre e spegnere questo incendio. È chiaro che ho bisogno di fare dei film col mio nome perché magari riesco a mettere insieme un’economia grazie al fatto che sono un’autrice, però poi mi interessa quello che c’è dopo il film. Io trovo che c’è molta più vicinanza tra gli autori. Pietro Marcello ha scritto il soggetto de La Chimera con me, Jonas Carpignano è la prima persona a cui mando tutto quello che scrivo per sapere che cosa ne pensa. C’è una generazione che mi sembra vada oltre la guerra degli autori. Se loro fanno dei bei film io sono felicissima.

Si è parlato molto in questi giorni dell’omaggio di Justine Triet durante i David. In particolare si è speculato parecchio sulla tua commozione del momento: c’era per caso un po’ di rabbia per non aver ricevuto premi nel corso della cerimonia?

Mi sono commossa perché credo che ogni volta che un uomo fa un passo indietro da sé, per dare spazio a un altro, è commovente. In quel caso per me è stato veramente incredibile, anche perché Justine la conosco appena e neanche sapevo avesse visto il film. Capisco che il premio può essere molto importante per lavorare, magari per i giovani sono fondamentali perché ti danno una possibilità, ma un certo punto ti distacchi da questa cosa. Io abito in provincia, non in città, e questo per me vuol dire tutto.

Di recente è tornato in voga un vecchio video in cui parlavi di “pochezza immaginativa” in merito alla distribuzione in Italia. All’uscita de La chimera aveva fatto molto discutere l’esiguo numero di copie presenti nelle sale. Potresti spiegarci meglio cosa intendevi?

Io penso che sia sbagliata l’idea di rimproverare il pubblico per i cinema vuoti, così come il contadino per le campagne abbandonate. Ma quelli che comandano non si rimproverano mai? È importante riconsiderare l’intelligenza del pubblico e sentirci tutti tali, anche noi registi e non solo. L’ha detto anche Paola Cortellesi ai David. La pochezza immaginativa della distribuzione si basa su una idea di pubblico vecchia. La Chimera è stato considerato over 65 nella strategia e non era neanche stato messo tra i film ai David Giovani, perché è ‘un film da vecchi’.

Grandi registi internazionali sembrano essersi innamorati di te. Da Del Toro a Cuaron, la lista è lunga e importante. Sappiamo come funziona Hollywood, a cui piace inglobare quello che reputa interessante e utile. Ci sono stati avvicinamenti nei tuoi confronti?

È chiaro che uno riceve tante proposte, ma quello che cerco va un po’ oltre tutto questo. Se un giorno avrò bisogno di Hollywood per realizzare qualcosa andrò. Dipende tutto dal progetto.

E invece percepisci quest’attenzione nei tuoi confronti?

A me sembra molto bello che esista uno sguardo verso il cinema europeo. Perché per tanto tempo è stato invisibile. Penso sia un buon segno e sfata molti luoghi comuni. I grandi registi americani guardano il cinema indipendente europeo.

Nel tuo cinema le fiabe irrompono nel reale. Quanto è importante per te questo elemento?

La fiaba è il passo indietro sul reale, il racconto di un personaggio che non è solo un individuo, ma è l’eroe della fiaba, che è un’altra cosa. Permette di non farti acchiappare soltanto dalle vicissitudini che capitano al singolo, ma di trovarci il destino di una collettività. Fin da bambini ci hanno raccontato la fiaba come separata dalla realtà. Se andiamo a vedere, una caratteristica della fiaba italiana il suo rapporto con la realtà. C’è il desiderio di vedere l’altrove, sì, ma dentro alle cose.

Le fiabe saranno protagoniste anche del tuo prossimo progetto dal titolo Ci sarà una volta, puoi parlarcene?

Diciamo che da un punto di vista commerciale è una serie, ma la serialità, per come è stata spesso intesa, è un racconto che non si conclude. E si lega al sentimento dell’angoscia, che fa sì che tu guardi l’episodio successivo. L’antologia è una cosa diversa, perché ogni racconto si conclude in sé. Le fiabe sono in antologia perché il significato, per svolgersi, ha bisogno di tanti esempi. Ho scelto delle fiabe italiane che sono state raccolte da Italo Calvino, che ha preso dalle antologie dal ‘600 in poi e le ha rinfrescate linguisticamente. Lui ha fatto un lavoro bibliografico e mi sono chiesta se potessimo fare la stessa cosa da un punto di vista visivo. Perché dentro quei racconti, come dei semi nascosti sottoterra, c’è il potere nascosto della fiaba.

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09 Maggio 2024

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