TORINO – “È stata la mia prima grande produzione. Il motivo per cui ho scelto questo film non è perché sono giovane, magro e bello, ma per il cast”. È Caccia a Ottobre Rosso il film scelto da Alec Baldwin per accompagnare la sua presenza al 42° Torino Film Festival, che lo premierà con la Stella della Mole. Nella conferenza stampa dedicatagli, l’attore ricorda con affetto il film che ha lanciato la sua carriera nel 1990 e tutti i suoi straordinari compagni di viaggio.
“Nella mia carriera cinematografica ho capito che i partner sono fondamentali. – dichiara Baldwin – Ogni film che ho fatto mi ha dato l’occasione di lavorare con attori che amavo e che stimavo, questo in particolare. Il cast di Caccia a Ottobre Rosso è stato un miracolo, non solo per Sean Connery che è una delle più grandi sta mai vissute e che è stato molto gentile con me, visto quanto ero intimorito dalla sua presenza. Peter Firth è un grande attore britannico, gli avevano chiesto di recitare in russo una scena lunghissima e poi cambiare immediatamente lingua e passare all’inglese. Lui ci è riuscito al primo ciack. È stato un grandissimo onore lavorare con professionisti di questo calibro”.
Parlando di grandi interpreti, il ricordo va subito a The Good Shepard – L’ombra del potere, in cui Baldwin è stato diretto dal grande Robert De Niro, in una delle sue rare prove da regista. “Ero terrorizzato: mi stava dirigendo De Niro. Quando lavori con i grandi attori, non vengono mai a dirti qualcosa sul set, ma da regista era il suo compito. Ricordo che alla fine della prima scena è venuto da me, (imita De Niro che fa delle smorfie ndr.) e mi dice semplicemente: parla più lentamente. Poi si è allontanato. Io stavo tremando”.
“Credo che sia un periodo molto difficile per i cinema. – aggiunge l’attore parlando più strettamente di attualità – Nel mio paese metà delle persone sono contente l’altra metà no. Credo che il cinema possa offrire l’unico modo per far capire alle persone cosa accade negli USA e nel resto del mondo. Gli States sono una grande azienda, lavorano per il profitto, ma c’è un vuoto nella comunicazione. Le persone sono mal informate, hanno un appetito di informazione limitato ed è qui che deve intervenire il cinema, che colma questo vuoto. Non solo i documentari, ma anche i film di finzione devono riuscire a dare intrattenimento e informazione, che è qualcosa che caratterizza il cinema da sempre. È importante realizzare film che raccontano la realtà”.
“Quanto tempo ho?” chiede ironicamente Baldwin quando viene sollecitato sulla condizione femminile nel cinema e nella società. “Ho visto The Substance e credo che sarà nominato a tanti Oscar. Quando fai un film molto originale e intelligente sai che andrà benissimo. – afferma – Inoltre, è diretto da una donna. In questa industria abbiamo urgente bisogno di donne alla regia. L’industria cinematografica è molto cambiata nel corso degli anni, ma il regista è sempre stato qualcuno che doveva portare la barca in porto senza danneggiarla. I produttori volevano che il film fosse guidato in sicurezza e gli uomini si fidavano solo di altri uomini. Per questo in una lista enorme di regista, solo un paio erano donne. Ma perché affidiamo film a registi uomini se una donna è altrettanto qualificata? Qual è la differenza? Ad esempio, accade spesso che agli sceneggiatori venga affidata al regia di un film, è un modo per risparmiare tagliando un costo produttivo. Ma è un’occasione che non viene offerta a un numero equivalente di donne”.
In merito, Baldwin ha poi voluto consigliare un film non molto conosciuto, il documentario Black Box Diaries della regista giapponese Shiori Ito. “La regista ha fatto questo film per raccontare la storia del suo stesso stupro. – racconta – Ha inseguito le persone che sapevano la verità, perché il colpevole non è mai stato condannato. Le donne la insultavano fuori dal tribunale. Abbiamo bisogno di un coraggio come il suo”.
Ma dopo una carriera così lunga e sfaccettata, cosa lo spinge ancora a fare film? “Quando fai un film, l’obiettivo è avere un pubblico. È una gioia quando ti riconoscono per strada e ti dicono quanto hanno amato il film o la serie in cui hai recitato. Una volta ho fatto un film di cui non farò il nome, adoravo la sceneggiatura, il regista e ho detto ai produttori che avremmo vinto tutti i premi possibili. Quando poi il film uscì è letteralmente collassato, era morto in partenza. L’obiettivo è raggiungere il pubblico e con le commedie ci si riesce”.
Eppure i suoi ruoli preferiti sono altri: “Amo recitare nei thriller, perché quando lo fai c’è una misura nella recitazione. – aggiunge – Nella commedia puoi calcare di più la mano: è come se il personaggio non avesse consapevolezza di sé. Quando fai un thriller tutto è molto più misurato, il ritmo rallenta, cambia la fotografia, la musica. Adoro i thriller perché puoi manipolare di più gli spettatori”.
“Ho sposato mia moglie nel 2012 e tutto andava bene. La vita era bella, il lavoro anche. Abbiamo avuto dei figli e gli ultimi anni sono stati molto difficili per mia moglie. – aggiunge infine facendo chiaro riferimento all’incidente avvenuto durante le riprese del film Rust, in cui ha causato involontariamente la morte della direttrice della fotografia Halyna Hutchins, e del successivo processo per omicidio colposo da cui è stato scagionato – Non vuoi essere sposato e avere sette figli con qualcuno che ha grossi guai. La gente non voleva più lavorare con me e questo mi faceva stare male. Ma poi ogni volta che accadeva, mi dicevo anche che andava bene così. Ora tutto si sta risolvendo lentamente. Io, nel frattempo, sono cambiato, e non voglio lavorare più come facevo prima, come la maggior parte degli attori fanno. Ora sono a casa da quasi tre anni e mi piace moltissimo”.
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