TORINO – Una verosimiglianza che crea turbamento, e non perché grottesca, anzi sofisticata: vive nei dettagli dell’inclinazione delle labbra che accennano il sorriso o nella micro espressione della palpebra non perfettamente distesa; davvero, sembra di guardare Brando, Marlon Brando, sul grande schermo, nel presente, e non in un film del passato, ma qui e ora.
Waltzing with Brando non è un biopic ma uno spaccato della sua esistenza – non didascalico, non prevedibile, non retorico. Il film scritto e diretto da Bill Fishman, che chiude il TFF42, e viene mostrato in anteprima mondiale, non è un santino, e la sua bellezza scaturisce e vive proprio in questa scelta, quella di un Brando reale, ma laterale al divo: “girare a Tetiaroa, Moorea e Papeete è stata una fonte straordinaria d’ispirazione perché ti riempiono l’anima, è il luogo più strepitoso in cui abbia mai messo piede, e ho capito perché avesse toccato così nel profondo Marlon Brando: è stato un onore indossarlo come un cappotto comodo e ballare con lui”, commenta Billy Zane, che interpreta il mostro sacro.
È indubbio lo specchiamento estetico, tra Brando e Zane, e l’artificio – “solo una parrucca e una gobba sul naso”, parola di Fishman – non si coglie; se c’è un disturbo, in questo Brando, è la percezione del compiacersi dell’attore protagonista, un appagamento soggettivo di chi interpreta che però fende la quarta parete e concorre a rarefare un po’ il fascino del personaggio. Detto questo, Zane ha indubbiamente indossato Brando, non fa il birignao, non fa il mimo: c’è Brando, un uomo comune, che fa “un mestiere artigiano … come il benzinaio o il becchino”, afferma lui stesso parlando a Bernard Judge (Jon Heder), il personaggio vero protagonista del film, funzionale a rendere primario l’antagonista, Brando. Lui, cioè l’altro, non il divo, è un architetto, mandato dapprima a Tahiti per conto di una società che vuole lì costruire un resort: è il 1969 e infatti il pezzo di vita di Marlon Brando che viene raccontato è un quinquennio, quello che va fino al ’74, anni cinematografici che sono sinonimo di leggenda se si pensa a Brando, diventato Il padrino o il Paul di Ultimo tango a Parigi, e non per fame di celebrità ma con la febbre di un sogno, che non è quello di Hollywood – anzi, “lontano dagli stronzi di Hollywood” – ma quello di un luogo “alieno”, quanto reale, qual è la Polinesia Francese che aveva scelto come personale paradiso di normalità, riflesso del suo palpitare per i diritti umani, per la tutela dell’ambiente, contro “l’appetito vorace della colonizzazione”.
“La prospettiva del ruolo presentava una grande sfida, l’unico modo è stato cercare di immaginare come lui potesse essere, cercare di procedere con calma e senza ossessione, lasciarsi fluire; senza screditare il personaggio e il progetto, lui era uno a cui non gliene fregava niente, ed è stato questo il modo più naturale per invitarlo nel nostro progetto, celebrando le passioni dell’uomo. La prospettiva del film è rivendicare la sua eredità rispetto alle situazioni drammatiche riportate dai tabloid, e farlo lì nel luogo che ha forgiato l’uomo, con empatia e compassione; ho cercato di entrare in campo con la sua dolcezza”, continua Zane, che – riferendosi poi alle sequenze presenti negli occhi del mondo, quelle che ricalcano i film di Coppola e Bertolucci – spiega sia “stato interessante interpretare ruoli sacri, in cui l’ironia è che siano nati dalla necessità di guadagnare soldi e non fama, ma così è la vita: ti capita di realizzare il meglio del tuo lavoro per casualità e questo diventa dorato nel tempo, ma è qualcosa in cui all’inizio inciampi… Dare tanto amore ma splittare la quarta parete è stato divertente: sono state le prime sequenze girate, durante il Covid, e tutto era un po’ bizzarro, tutta la troupe aveva tute e mascherine, e nella scena de Il padrino parevo un alieno tra gli alieni, qualcosa di surreale, ma è stato lo slancio necessario per partire per l’avventura…”. Fishman continua precisando che abbia “ritenuto fosse importante mostrare l’intreccio – tra la vita tahitiana e quella cinematografica -, ma siamo stati molto cauti nel ricreare esattamente. Per Ultimo tango a Parigi, volevamo rendere onore a Vittorio Storaro e Bernardo Bertolucci: ho cercato con grande serietà di riprodurre al punto che avevo contemporaneamente accanto un monitor per girare la scena e uno con il film originale, finché non riuscivo più a distinguere la realtà dal set, è stato divertente”.
Per Marlon Brando, per il Marlon Brando che racconta Fishman, adattato dall’omonimo libro di memorie di Judge – nella realtà, venuto a mancare 18 mesi prima delle riprese del film -, la voluttà della recitazione era il denaro, ma non per voracità di ricchezza, ma perché finanza strumentale al poter continuare a vivere lì, dove poteva gioire del premio più prezioso, non un Oscar, ma la libertà… e, infatti, “l’idea è nata dalla coincidenza della lettura del libro: Brando aveva davvero ingaggiato l’architetto per realizzare un paradiso ecologico nel suo luogo preferito sul pianeta. Il libro era pieno di loro fotografie, ed è rimasto a lungo sulla mia scrivania finché un giorno l’ho guardato e mi sono detto: ‘c’è un film in questo libro, una storia che tutti devono conoscere’. Il periodo era quello di un Brando che aveva trovato una seconda ventata, in cui pensava di potersi esprimersi rispetto alle sue credenze. Ho pensato fosse un periodo molto affascinante della sua vita”, racconta il regista.
E, infatti, rispetto al periodo, connesso al tema ambientalista, per Billy Zane quella visione di Brando, calata in questo tempo “è un’angolazione molto attuale, proposta senza predicare: sicuramente era molto presente per noi, ed è certo fosse un precursore, che ha dettato la linea su tante tematiche sociali; lui ha davvero alzato il testimone in un tempo in cui era pericoloso esporsi e ha investito dei soldi propri per difendere i suoi principi, questa è la parte straordinaria dell’uomo. È stato il paladino dei diseredati e comprendeva le disuguaglianze tra le persone. La sua passione arriva ancora oggi grazie al lavoro che continuano a Tetiaroa, con gli studi e gli archivi messi a disposizione della Society, aperti a chi volesse replicare quelle pratiche e metterle in opera altrove” – la Tetiaroa Society, attraverso l’educazione, la conservazione e la scienza, promuove iniziative che consentano all’umanità e alla natura di coesistere pacificamente e prosperare insieme. Per Fishman, “il libro fa la cronaca, è molto tecnico, e mi ha ispirato Il Dottor Stranamore di Kubrick, perché anche lì il mondo sta per esplodere; probabilmente Marlon Brando avrebbe adottato questo approccio, quindi ho affrontato l’adattamento con serietà e poi cogliendo il paradosso della situazione”.
Il Brando che incontriamo nel film è un uomo solido nella sua scelta di vita isolata ma non solitaria, lontana dai riflettori – se non per il tempo dettato dal set in fondo -, e vicina, vicinissima all’istinto, al libero arbitrio, alla veracità degli esseri umani: Tahiti è un mondo libero, nudo, in cui l’ecosistema è quasi vergine, in cui tutti i bambini sono figli di ciascuno, in cui l’ identità individuale non è una questione su cui interrogarsi, e in tal senso chi davvero compie una trasformazione, e dimostra un’intelligente malleabilità, senza pregiudizio, seppur con qualche imbarazzo, ma senza che questo sentire personale sia mai barriera, è proprio l’architetto, che prende la forma dell’esistenza di Brando, ormai amico, e abbraccia il suo desiderio, quello di “baciare le labbra di Dio”, parole che l’attore usa con Judge per esternare la sua concezione di quel suo atollo privato, eden tahitiano dove l’uomo Marlon desira far nascere la sua idea di mondo, “un sogno per tutta l’umanità”.
Gli incassi del film di Fishman saranno a favore della Tetiaroa Society.
Il TFF42, sin dalla sua locandina, con una retrospettiva tematica e con la mostra Brando’s Touch, ha candidato Marlon Brando – nel centenario della sua nascita – a spirito guida dell’edizione 2024.
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