Più di 120 film interpretati, una carriera lunga 40 anni sia nel cinema italiano che internazionale: Sylva Koscina – di cui il 22 agosto ricorre il 90mo anniversario dalla nascita – ha attraversato e segnato un pezzo importante della storia dello spettacolo e del costume, non solo del nostro Paese.
Un intenso percorso artistico interrotto dalla scomparsa dell’attrice il giorno dopo Natale del 1994, a 61 anni.
È un bombardamento a tappeto, durante la Seconda guerra mondiale, a decidere della vita di Sylva.
Deve semplicemente andare a trovare la sorella a Zara da Spalato dove vive con i genitori (i Košćina erano proprietari del primo grande cantiere marittimo della città). E invece, arrivata lì, si ritrova sotto una pioggia di bombe che distrugge la città.
Il breve viaggio di 150 km in quella che era la Jugoslavia diviene una tappa di un cammino che la porta a cambiare patria, abitudini, vita.
Infatti la sorella e il marito, un ingegnere italiano, decidono di rientrare nel nostro Paese e portano con sè la piccola Sylva.
Come scrive Stelio Martini su il «Tempo» nel novembre 1956: “Della sua origine, Sylva conservò certe caratteristiche del fisico e del carattere: è alta, slanciata, bionda con gli occhi allungati, ed è d’umore estremamente contraddittorio: se è triste, lo è fino alla disperazione, se è allegra lo è in modo sfrenato. Italiani invece sono divenuti i suoi modi, la lingua, la foga con la quale parla. Ciò che non è italiano né slavo, ma probabilmente è soltanto suo, è la forza di volontà: Sylva Koshina appartiene infatti al tipo di donna “tutta volontà” e chiarezza di scopi. Quando decise che la sua strada era quella del cinema, stabilì anche il tempo, il modo, e che sarebbe diventata attrice, senza passare attraverso i concorsi di bellezza, senza imboccare le solite facili scorciatoie”.
L’ambizione e la volontà: due chiavi per aprire le porte del successo. Due frecce nella faretra della Koscina che, scoccate con traiettoria fortunata, la portano a imprimere il suo nome nella storia del cinema.
A 22 anni, iscritta al corso di laurea in fisica all’Università degli Studi di Napoli, alloggia in un convitto di suore e fa una vita molto ritirata. A causa della sua avvenenza le viene chiesto, per caso, di sostituire una Miss che deve consegnare i fiori al vincitore della tappa napoletana del Giro d’Italia del 1954.
Si convince a fatica per via della sua timidezza ma tra il pubblico c’è Eduardo De Filippo che la nota e che pensa di farle fare un piccolo ruolo nel film Questi fantasmi che sta per girare. L’idea non va in porto ma è un assaggio delle sue possibilità.
Sylva si trasferisce a Roma e cerca un lavoro, trovandolo come segretaria in una ditta di elettrodomestici. Poi si presenta ad una Casa di mode dove diventa indossatrice ma l’odore del cinema, una volta annusato, non va più via: una piccolissima parte al fianco di Totò in Siamo uomini o caporali (1955) di Camillo Mastrocinque la spinge ad affidarsi ad alcune agenzie d’attori, senza grandi risultati.
Alcune sue fotografie compaiono su un giornale di cinema e il giornale capita nelle mani di Pietro Germi, che sta preparando Il ferroviere.
Il grande regista genovese la manda a chiamare ma, vederla dal vivo, gli suscita delle perplessità. Ha bisogno di una ragazza “acqua e sapone”, semplice, capace di essere credibile nell’indossare vestiti di poco conto della figlia del protagonista, il ferroviere Andrea Marcocci (che avrebbe interpretato lo stesso Germi). Sylva non corrisponde a questa immagine: è spigliata, moderna, elegante.
Le incertezze di Germi naufragano contro il provino della giovane croata. Sylva deve recitare una scena drammatica in cui rinfaccia al padre le sue colpe, per poi abbandonare casa. La Koscina non si lascia sfuggire quell’ occasione cruciale, a lungo attesa. Sente che il treno della fortuna (per rimanere in tema col film) non ha tabelle di marcia che rispetta: quando passa, passa.
Così dà al personaggio quella giusta alchimia di ansia, di esasperazione, di risentimenti che estrae dal suo vissuto. Ed è eccezionale, piange lacrime vere.
Ottiene la parte e conquista tutti. Il film va al festival di Cannes in concorso e si sa come vanno queste cose, quando si comincia con una buona opera il cammino è spianato.
Così, dopo II ferroviere. Gallone la invita per fare la zingara in Michele Strogoff, un film di co-produzione italo-jugoslava. La sua parte, prima di lei, era stata offerta a Kerima ma l’attrice non aveva trovato un accordo e Sylva ne raccoglie l’eredità. Qualcosa di simile accade nel film successivo, Guendalina, di un altro maestro del nostro cinema: Alberto Lattuada. La Koscina prende il posto della Rossi Drago, alla quale non andava a genio di dover fare la madre di una ragazzina di 15 anni.
Lattuada adora lavorare con lei e resta colpito dalla sua interpretazione in una scena non facile, un confronto fra madre e figlia. Sylva mette in evidenza ancora una volta le sue doti drammatiche. E, film dopo film, dimostra di saper spaziare nei vari generi: dalle commedie brillanti al dramma di guerra, dal cinema d’autore ai film gialli.
Soprattutto la Koscina buca lo schermo grazie a una miscela esplosiva di talento e sex appeal, con un corpo che s’insinua nei sogni proibiti degli spettatori.
Diventa una diva in anni in cui essere una star del cinema significa pellicce di visone e ville con piscina ma è capace di rinnovare la propria immagine con il passare del tempo e capace anche di giocare con il proprio personaggio, prendendosi un po’ in giro. Sylva Koscina è amata dal pubblico anche per queste ragioni e le sua popolarità è rimasta intatta negli anni, creando intorno a sé simpatia a apprezzamento.
Una carriera brillante accanto a mostri sacri come Alberto Sordi, Nino Manfredi e Ugo Tognazzi. Proprio Sordi arriva in uno dei suoi film più fortunati: Ladro lui, ladra lei (1958) di Luigi Zampa e la scalata alle vette continua con Giovani mariti (1958) di Mauro Bolognini e Mogli pericolose (1959) di Luigi Comencini. Insomma la creme de la creme del nostro cinema.
Sempre nel 1958, è la seconda interprete del film epico di spade e sabbia: Le fatiche di Ercole, interpretato da Steve Reeves. E’ l’ingresso trionfale nel panorama internazionale.
Negli anni successivi, la Koscina lavora costantemente in una serie di commedie, film d’avventura e storie d’amore. E pure due parodie di spy story con il regista britannico Ralph Thomas: Troppo caldo per giugno del 1964 e Più micidiale del maschio del 1967, in cui interpreta un’assassina.
Ha anche una piccola parte nel film di Federico Fellini del 1965 Giulietta degli spiriti e nel 1968 viene scritturata al fianco di Paul Newman in Guerra amore e fuga.
Come altre attrici italiane in quel periodo, a partire dal 1967 viene ingaggiata per girare alcune pellicole a Hollywood e in quell’occasione fa scandalo con l’audace campagna stampa che ne accompagna la promozione. Posa a seno nudo per un’edizione italiana di Playboy. Oggi farebbero sorridere quegli scatti ma per quegli anni il clamore sollevato è notevole.
Amica di Tito, che nel decennio 1970-79 la ospita spesso nell’isola di Brioni assieme a vari attori, nel 1969 interpreta la parte di una giovane eroina partigiana jugoslava nel film La battaglia della Neretva di Veljko Bulajić accanto a Yul Brynner, Sergej Bondarchuk, Orson Welles.
Nel 1970 gira Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa, dove appare a seno nudo.
Anche la televisione non rimane immune al suo fascino e conduce con Mike Bongiorno e Paolo Villaggio dell’edizione 1972 del Festival di Sanremo.
Alla fine degli anni Settanta i ruoli cinematografici si riducono, anche se resta agli annali un’apparizione particolarmente erotica nel film di Mario Bava del 1972, Lisa e il diavolo“.
Negli anni Ottanta appare spesso nei programmi di varietà italiani.
Anche se Enrico Lucherini in un’intervista di qualche anno fa rivela tra il serio e il faceto che l’attrice più negata che ha dovuto seguire nella sua straordinaria carriera fu proprio Sylva Koscina, i fatti dimostrano il contrario. La sua carriera rivaleggia con quella delle più grandi dive italiane di sempre e il ricordo a distanza di quasi un secolo dalla sua nascita resta ancora attraente e potente.
La mini serie debuttava il 19 dicembre 1964, in prima serata su Rai Uno: Lina Wertmüller firma la regia delle 8 puntate in bianco e nero, dall’originale letterario di Vamba. Il progetto per il piccolo schermo vanta costumi di Piero Tosi, e musiche di Luis Bacalov e Nino Rota
Il capolavoro con Gene Wilder è uscito il 15 dicembre 1974: mezzo secolo di follia e divertimento targato Mel Brooks
Il 14 dicembre 1984 usciva nelle sale un film destinato, molto tempo dopo, a diventare cult
Il 10 dicembre 1954 esplode il mito popolare di Alberto Sordi, l’Albertone nazionale. È la sera della prima di Un americano a Roma