Malcolm John Taylor all’anagrafe, McDowell il cognome per l’arte.
Non è solo un attore ma una leggenda – l’attore britannico -, “corona” quest’ultima che gli è stata messa in capo al tempo di Arancia Meccanica (per cui fu Candidato al Golden Globe nel ‘72 Miglior Attore Film Drammatico): lui è il drugo Alex DeLarge nell’opera di Stanley Kubrick, un personaggio che non subisce il tempo e, anzi, con il tempo radica il mito.
Ma Malcolm McDowell non è “solo” Alex e la sua statura artistica ha uno spettro molto più sfaccettato. Certo, non meno di DeLarge, McDowell concorre al mito anche per il suo dottor Soran in Star Trek – Generazioni, ma non irricorrente è stato il suo rapporto con il cinema italiano.
Nato a Horsforth, Regno Unito, il 13 giugno di 80 anni fa (1943), la famiglia era proprietaria di un pub, per cui McDowell rinuncia all’università, seppur i genitori – non senza sforzo – gli avessero dato l’opportunità di studiare in un college nel Kent, ma lui in quel momento sceglie di non proseguire gli studi scolastici e di lavorare nell’attività del padre, ex ufficiale della Royal Air Force.
La recitazione, però, bussava evidentemente alla porta interiore e artistica di McDowell: comincia il suo avvicinamento al mestiere dell’attore prendendo lezione da un’attrice in pensione, Mrs. Ackerley. È lei ha spronarlo nell’approfondire la formazione e lo convince a proseguire alla London Academy of Music and Art; nel ‘64 entra alla Royal Shakespeare Company, per poco più di un anno.
Nel momento di iscriversi alla Screen Actors Guild, fa suo il cognome da nubile della mamma, McDowell, esistendo già un attore britannico chiamato Malcolm Taylor.
McDowell fa il suo debutto cinematografico nel ‘67 nel film Poor Cow di Ken Loach e l’anno successivo recita in Se…(1968), Palma d’oro al Festival di Cannes. È il primo film della trilogia dedicata da Lindsay Anderson al personaggio immaginario di Mick Travis, McDowell appunto. La trama: nel Regno Unito, al Cheltenham College, una scuola privata, vige la legge dell’omertà rispetto alle ingiustizie e agli abusi subiti dagli studenti. Travis, aiutato da due compagni, decide di ribellarsi a questi soprusi, organizzando una rivolta verso docenti e studenti. Gli altri due titoli della trilogia sono O Lucky Man! e Britannia Hospital.
Ma, come accennato, la lunga e versatile carriera dell’attore spesso ha fatto rima con cinema italiano, anche qui confermando il suo spirito camaleotico nella recitazione, infatti ha prestato il suo mestiere a autori i più disparati, alle storie meno scontate. La prima volta è stato Caligola (1979) per Tinto Brass: un film storico-pornografico (con anche Peter O’Toole e Helen Mirren), con scene di nudo e sessualità, riprese da Giancarlo Lui e dall’editore di “Penthouse”, Bob Guccione, che ne fu il produttore. Il film – non lontano da leggende (o verità?) erotiche e cinematografiche varie – trae origine da una sceneggiatura che Gore Vidal scrisse per una miniserie televisiva incentrata sulla vita dell’imperatore romano, per la cui regia era previsto Roberto Rossellini, ma alla fine non si concretizzò. Franco Rossellini, nipote di Roberto, in tempi successivi riavvicinò Vidal affinché rimettesse mano al copione per ricavarne un film. Le riprese ebbero inizio a Cinecittà nel settembre 1976.
Poi è trascorso un decennio prima che McDowell tornasse al cinema italiano, ma nel caso specifico ha permesso una doppietta: McDowell nell’89 è stato Edmondo in Mortacci di Sergio Citti, attore e compagno di Alma (Carol Alt). Una notte, entrato nel cimitero, viene sorpreso da Domenico (Vittorio Gassmann): ripete anche con lui la scena dell’amante disperato che vuole suicidarsi; Domenico, esattamente come Alma, si toglie la vita con la pistola, credendola scarica, raggiungendo le anime dei defunti che ha derubato, i quali non gli serbano rancore. Infine Edmondo, per la forte emozione, muore (senza doversi suicidare), ritrovando l’amata che però non è molto felice di rivederlo; ancora parlando di cinema nostrano, ritroviamo l’inglese anche nel Maggio Musicale di Ugo Gregoretti per cui è Pier Francesco Ferraioli (con la voce di Giancarlo Giannini), regista che sta mettendo in scena per il “Maggio” una Bohème, con i suoi cantanti che gli danno filo da torcere. Un regista lirico, una vicenda con incidenti buffi e aneddoti istruttivi. Il racconto è il ritratto del protagonista, attraverso cui Gregoretti si “mette in scena”.
Negli Anni 2000, McDowell ha lavorato in Cuori Estranei (2002) di Edoardo Ponti e ha vinto un Nastro d’argento europeo per il film Evilenko di David Grieco, nel 2005: McDowell è Andrej Romanovič Evilenko, insegnante di una scuola elementare di Kiev; apparentemente deviato, tenta di stuprare una bambina e viene scoperto ma, nonostante la drammaticità del reato, viene solo licenziato. Evilenko si rivela essere un serial killer, che uccide e cannibalizza bambini sfruttando strane capacità ipnotiche. Una serie di indagini e eventi cruenti portano Evilenko a essere messo in stato di fermo perché, impotente, non può fornire un campione di sperma come da prassi, ma grazie alla sua posizione (è entrato a far parte delKGB) viene rilasciato, questa è solo la prima “sequenza” di una vicenda complessa, truce e intrigante.
Quasi tutti i film della carriera di McDowell sono stati degni di nota, anche gli indipendenti o le opere prime, e tra quelli più titolati sarebbe una sfida dover scegliere dei caposaldi: cercando un’opera che in sé porta l’originalità e la classicità, la tradizione e la sperimentazione, ma anche il premio, McDowell è stato una comparsa d’eccezione in The Artist (2011) di Michel Hazanavicius, film premio Oscar.
Solo un anno dopo, il 16 marzo 2012, gli è stata conferita una Stella al n.6714 dell’Hollywood Boulevard sulla Hollywood Walk of Fame, nella categoria Motion Pictures.
A proposito dell’Italia, McDowell, appena nell’autunno scorso, è stato ospite d’onore al Torino Film Festival (leggi il nostro articolo) e, a titolo personale, trascorre parte dell’anno nel suo casolare in Toscana, nel Chianti.
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