100 anni dall'”omicidio filosofico”: il caso di cronaca nera diventato mito che ispirò Hitchcock

Di casi brutali di omicidio la storia ne è piena, ma ce n'è uno in particolare che ha ossessionato la cultura popolare della storia moderna e che, ancora oggi colpisce per il movente. Alfred Hitchcock si ispirò a questo scioccante episodio per il suo 'Rope', ma non fu di certo l'unico autore a restarne affascinato


Siamo nel 1924, 100 anni fa, nel pieno della tumultuosa Era del Proibizionismo americano e, nonostante in questo momento gli Stati Uniti siano frastornati dalla rapida crescita di violenza legata dal crimine organizzato e la crisi economica della Dimenticata Depressione del 1920-21 (nove anni prima del crollo di Wall Street), un caso di cronaca nera distoglie l’attenzione dagli altri problemi del paese, focalizzandola su due giovani universitari colpevoli di un omicidio senza eguali. Ma cosa è successo di così orribile per sconvolgere l’America già devastata dallo shock causato delle conseguenze della Prima Guerra Mondiale?

A turbare l’opinione pubblica furono due studenti facoltosi di Chicago Nathan Leopold e Richard Loeb che, nel loro tentativo di compiere il cosiddetto “crimine perfetto” finirono per impressionare chiunque, persino Alfred Hitchcock che di certe cose se ne intendeva. Ma, come nota Adam Scovell sul sito della BBC, che ha dedicato un ampio articolo alla rievocazione della vicenda, non fu solamente il cinema a rimanere impressionato da questo caso brutale, anche la letteratura, il teatro e la televisione che non poterono capacitarsi di un simile delitto, provarono ad analizzarlo, ciascuno con i propri linguaggi narrativi.

Un piano imperfetto che dimostra la fallibilità del superuomo

Leopold, un diciannovenne appena laureato all’Università di Chicago ambiva all’ammissione alla prestigiosa Harvard Law School, e Loeb, di diciotto anni, studiava ancora alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Chicago. I due amici d’infanzia, entrambi provenienti da famiglie abbienti di Chicago, pianificarono per mesi l’assassinio del quattordicenne Bobby Franks, un lontano cugino di Loeb il quale, attirato in macchina con l’inganno, fu ucciso dai due studenti il 21 maggio 1924 e nascosto in una zona remota. Vendetta? No. Soldi? Nemmeno. Allora cosa spinse i giovanissimi ad uccidere un ragazzo con tale freddezza?

Il piano studiato da mesi dai due ragazzi crollò rapidamente,  i sotterfugi creati piazzando prove false per depistare la polizia si rivelarono scadenti e la simulazione di riscatto alla famiglia Franks pure. Così, il giorno dopo, i due furono incastrati grazie a un paio di occhiali riconducibili a Leopold trovati sul luogo del delitto. Messo sotto pressione, Leopold confessò il crimine e indicò immediatamente Loeb come suo complice. Fin qui, potrebbe sembrare tutto “ordinario”, si fa per dire, ma comunque un caso di omicidio come tanti altri, eppure, qualcosa scosse la nazione e attirò l’attenzione di molti artisti: il movente.

Leopold e Loeb lo ammisero subito: è stato un crimine nato dalla volontà di mettere in atto un esercizio intellettuale guidato dalla convinzione dell’efficacia del concetto di Übermensch – l’oltreuomo (o il superuomo) di Friedrich Nietzsche. L’opera Così parlò Zarathustra è il manifesto di tale filosofia, e secondo cui, il superuomo nietzschiano è rappresentato da un nuovo modello di umano che convoglia in sé il primitivo spirito dionisiaco, “al di là del bene e del male”, il cui ideale è basato sulla volontà che trascende la morale umana convenzionale. Così, i due ricchi studenti progettarono l’omicidio per dimostrare la superiorità e il raggiungimento della dimensione di superuomo di cui parlava Nietzsche. La curiosità intellettuale dei due si era quindi tragicamente trasformata nella ricerca di eccitazione e la frenesia di provare piacere nel non essere catturati per il loro orribile delitto.

Dall’opera teatrale di Patrick Hamilton al film di Hitchcock

Fu l’autore britannico Patrick Hamilton, con non poche difficoltà, a dare per primo una sua interpretazione del crimine nell’opera teatrale Rope che aveva lo scopo di riflettere sugli stimoli intrinsechi dell’individuo. La pièce del 1929, tutt’altro che un semplice thriller, approfondiva le motivazioni intellettuali di Nathan Leopold e Richard Loeb soprattutto in virtù del fermento storico che avrebbe portato alla catastrofe della seconda guerra mondiale, dove la distorsione dei nazisti dell’ideologia nietzschiana si andava alimentando ogni giorno di più. La rappresentazione teatrale, ambientata nell’elegante quartiere di Mayfair al posto di Chicago, fu subito un successo per merito delle piccole licenze narrative come la trasformazione del piccolo Bobby Franks in un compagno di classe degli assassini, il corpo onnipresente in scena nascosto in un baule e lo sviluppo in un unico atto continuativo senza intervallo. Elementi ai quali si rifece anche Alfred Hitchcock.

Il caso di omicidio nel 1939 arrivò anche sul piccolo schermo con un adattamento BBC di Rope e, nel 1947, in un'altra messa in scena in cui Dirk Bogarde si calava nei panni di uno dei due assassini.

E poi arrivò Hitchcock, e lui sì che ci sapeva fare con il genere. Crimini macabri, narrazioni thriller e assassini erano per l’autore il miglior magma da plasmare su pellicola, quindi perché non trasformare Rope in lungometraggio per il grande schermo? Così fece ciò che sapeva fare meglio: trasformare un reale fatto di cronaca in un prodotto audiovisivo che fosse capace di rappresentare le sfaccettature psicoanalitiche e le dinamiche intime dei due assassini. Il risultato si rivelò un fallimento per l’epoca e Rope – Nodo alla Gola (1948) fu accusato di aver inglobato un finale considerato “giustificante” per i due assassini. Secondo la critica del tempo, malgrado il cast comprendesse grandi attori come James Stewart, John Dall e Farley Granger, il film non faceva altro che sollevare domande scomode e la produzione fu costretta ad avvertire preventivamente gli spettatori che non era “raccomandato per i sensibili” portando così allo scarso successo di botteghino, ulteriormente aggravato dal divieto di proiezione del film in alcuni stati e città. Nella pellicola, il sorriso del macabro umorismo del regista, lo troviamo nella scelta, proprio come nell’opera teatrale, di lasciare il cadavere in quadro rinchiuso in un antico baule mentre tutti i partecipanti al cocktail party, ignari, sorridono e sorseggiano drinks parlando del più e del meno.

Rope la sua legittimità l’ha conquistata con il passare del tempo e, ancora oggi, resta uno dei film più sperimentali di Hitchcock, non solo perché è stato il suo primo lungometraggio in Technicolor, ma anche perché ha collaudato e riconfigurato le convenzioni del linguaggio cinematografico classico mantenendo l’illusione spettatoriale di averlo girato in un unico piano sequenza, proprio come nell’opera teatrale da cui si è ispirato. Il risultato? Un ininterrotto long take di circa ottanta minuti, o perlomeno, questa è la percezione, perché il film è in realtà composto da dieci piani sequenza, dissimulati da magistrali raccordi di montaggio.

La censura in Italia: il doppiaggio italiano che stravolse il senso del film

In Italia invece la storia di Rope – Nodo alla gola (denominato anche Cocktail per un cadavere), fu ben diversa e si scelse di applicare delle importanti modifiche sul doppiaggio di Giuseppe Rinaldi, Gianfranco Bellini e Gualtiero De Angelis stravolgendo profondamente il senso dell’intero film, al fine di rendere il tutto più accettabile dal punto di vista del piano morale. Nella versione originale i due protagonisti avevano piena coscienza di commettere l’omicidio, mentre nella variante italiana la morte del ragazzo diventò semplicemente un tragico incidente causato da una lite. Insomma, è molto più accettabile che delle persone si uccidano accidentalmente in seguito ad un litigio, anziché pensare che agiscano solamente per placare un impulso aristocratico di darwinismo sociale.

Il primo caso di un condannato che denuncia la produzione

Nel 1956 arrivò poi il romanzo thriller Compulsion dell’autore Meyer Levin, che si avvicinava ancora di più alla verità dell’omicidio nonostante Leopold non avesse consentito a collaborare fornendo ulteriori dettagli del suo crimine per la stesura del libro. A differenza di Rope, il romanzo era ambientato a Chicago e seguiva le manovre intellettuali dei due personaggi, la loro relazione romantica, il crimine e, infine, il processo.

Dato l’incredibile successo del romanzo, nel 1971 il regista Richard Fleischer decise di tentare un adattamento per il cinema con un cast che includeva Orson Welles nel ruolo dell’avvocato Jonathan Wilk (la versione fittizia di Darrow). 10 Rollington Place (uscito in Italia con il titolo L’assassino di Rollington Place n.10) è considerato ancora oggi come uno dei film sui crimini meglio riusciti della storia del cinema, nonostante, Leopold, tornato in libertà nel 1958 e trasferitosi a Porto Rico (Loeb era invece morto nel 1936 in seguito alle ferite riportate in un’aggressione subita da un detenuto della Joliet Prison nell’Illinois, dove era rinchiuso) abbia provato ostacolarne il successo sia con il tentativo di fermare la produzione, sia intentando, nel 1970, una causa contro Levin, la casa editoriale e i distributori del film per violazione della privacy. Anche se il capo d’accusa prefigurava la confusione “impropria” dei fatti reali con quelli di finzione, Leopold perse la causa in quanto, a detta del giudice dell’Illinois, la tutela della privacy non meritasse alcuna comprensione nel caso in questione.

Un omicidio che continua a essere fonte di ispirazione

Ad ogni modo l’influenza del caso ha continuato a diffondersi nella cultura popolare e sono stati molti altri i libri pubblicati ad essersi ispirati al delitto “filosofico”, come il romanzo di James Yaffe Nothing but the Night (1957), e Little Brother Fate (1957) di Mary Carter. Al cinema, nel 1992, è arrivato poi Swoon di Tom Kalin, e nell’episodio del 1990 Columbo Goes to College del famoso investigatore Columbo c’è una evidente ispirazione al caso di Leopold e Loeb. Poi, fin dal 2019, la psicopatia ispirata a Nietzsche dei due assassini è stata l’ispirazione anche per la trama centrale della terza stagione della famosa serie televisiva americana The Sinner.

La giornalista Nina Barrett nel suo libro The Leopold and Loeb Files del 2018, grazie anche all’accesso delle prove documentali, offrì un’approfondita analisi del perché questo caso di cronaca nera continui ancora oggi a creare fermento e macabro interesse. “Penso che continui a affascinare gli artisti perché sfida le nostre idee su ‘moto’ e su cosa significhi essere ‘civilizzati'” (…) “nonostante abbia ricevuto più attenzione di forse qualsiasi altro caso di omicidio nella memoria moderna, nessuno ha mai prodotto una spiegazione soddisfacente del perché Leopold e Loeb abbiano pensato che assassinare un ragazzo del vicinato sarebbe stato entusiasmante”.

Giulia Corsi
03 Marzo 2024

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