Barbareschi: “gli artisti dovrebbero essere scienziati liberi, non servi del potere”

Ha scritto, interpretato, diretto e prodotto 'The Penitent' e il Bardolino Film Festival gli conferisce il Premio BFF alla Carriera. 'Svenduti', una commedia politica, è il suo prossimo film, pronto per essere distribuito


BARDOLINO – Luca Barbareschi, dalla Mostra di Venezia 2023 dove The Penitent – A Rational Man ha debuttato, continua il viaggio del film che ha scritto, interpretato, diretto e prodotto, ispirato al caso Tarasoff e tratto dall’opera teatrale del Premio Oscar e Premio Pulitzer David Mamet, co-sceneggiatore.

Luca, The Penitent è un film sulla Natura umana. Con Mamet, come vi siete posti la questione, il come trattarla, e lei – che in particolare ne interpreta uno spaccato fondamentale – come introiettarla e metterla in scena? 
È una domanda bella e complessa, perché in questa opera cinematografica ho molti ruoli, dall’attore al supervisore artistico, compresa la sceneggiatura: io lavoro a compartimenti stagni, cioè quando penso a un progetto vince sempre il produttore, penso alla valenza dal punto di vista dello spettacolo, delle esigenze dello spettatore; non puoi pretendere di prendere un testo che sembra preso dalla Tōrāh ebraica e raccontare il viaggio nel cuore di tenebra di un uomo vittima di una tragedia. Ispirandomi a un fatto di cronaca, volevo il film fosse un grande statement alla tragedia della cancel culture e l’occasione del caso Tarasoff fu ghiotta: con Mamet abbiamo deciso di fare questo film, che non avrei dovuto fare io come attore, perché il mio impegno era già molto, poi una sera a Parigi, con David e Polanski, e anche Woody Allen, poiché gli agenti dell’attore che avrebbe dovuto interpretare facevano le bizze, Roman e Mamet mi hanno detto: ‘You do it!’. Gli ho spiegato che ‘mi odiano tutti in Italia, non sono mai invitato a un David o a un Nastro d’argento, non ho mai vinto niente perché sono considerato dal gota culturale come un paria’ e loro mi hanno risposto: ‘forse i paria sono loro’. Nella vita, a volte, aiuta avere amici che ti sostengono e credo di aver fatto il più bel film della mia vita, come interpretazione, perché ho messo anche tanta sofferenza mia: un attore è un atleta delle idee; quando devo portare un personaggio sullo schermo è importante ci sia un metalinguaggio, cioè la battuta, il sottotesto dell’autore, ma poi anche quello che esprimi tu emotivamente, e nel testo non c’è parola che io non condivida. Il personaggio potrebbe essere Barbareschi, poi per mimesi faccio lo psichiatra Carlos Hirsch, un ebreo; ho messo dentro anche il cognome di mia madre, il mio nome esteso, io mi chiamo Luca Jorge, perché sono nato a Montevideo, insomma ho mischiato le carte. La mimesi nell’artista è fondamentale perché, se per caso la morte s’avvicina, mentre stai facendo Riccardo III o Il Gattopardo, lei non ti riconosce, se ne va, e tu guadagni qualche istante di vita. Nella mia vita, con la mimesi, con il dolore come motore interiore coperto da storie, sogni , musiche, posso ritardare la morte e la noia, che è la perdita di passione per l’amore e per l’esistenza. Mi sta dando molta soddisfazione il film, che stanno comprando in tutto il mondo: in Italia ha fatto pochissimo d’incasso, 130mila euro, però l’hanno visto 23/24mila persone e, da chi mi ferma per strada, mi rendo conto del pubblico, professionisti che mi dicono di essere andati apposta a vederlo in originale, versione a cui invito, ma non per mostrare come parli inglese, ma perché è come la sinfonia La trota di Schubert, sono quattro strumenti in cui ognuno parla con la propria voce, un valore aggiunto.

Che conoscenza aveva della psicanalisi nel momento della scrittura e del set? Qual è il suo personale punto di vista sulla materia? 
Lei parla con un uomo che ha fatto psicanalisi con l’allievo di Freud, Matte Blanco, cileno, per otto anni. Poi ho avuto altri, essendo un uomo complesso per il risultato della mia complessità, rispetto ai miei sei figli, nipoti e mogli, che ho portato al devasto, allora continuo ad andare da qualcuno a cui domando: ‘come posso essere migliore?’. Con Blanco leggevamo insieme, piangendo, Rubén Darío e i Sonetti di Shakespeare, finché, molto vecchio, mi lasciò un bigliettino con scritto: ‘Caro Luca, fai parte dell’antinomia costitutiva dell’essere vivente, in cui convivono tutte le età – 7, 12, 20, 30 60 -, che posso dirti? Sei un talento, sei diverso, hai dei doni che altri non hanno, ma ricordati, come dice Wittmann, ‘sei moltitudini’, per cui fattene una ragione, levati i sensi di colpa, ti ho voluto bene. Non ho più sensi di colpa, almeno. Sono stato anche nell’Anonima Alcolisti, non perché lo fossi, ma perché è più facile affrontarsi con il ‘mirror exercise’, cioè quando guardi il dolore dell’altro. Detto questo, parlando di me, non penso che la psicanalisi serva a un caxxo. Io sono esattamente uguale a quando avevo tre anni. Se dico questo penserà che io sia completamente matto ma sono un ermeneuta cabalista che vive ormai da anni in un mondo parallelo, in cui la sola giustificazione è l’energia quantica, per cui succedono cose meravigliose: il teatro è stata la mia palestra per il cervello, penso che noi artisti siamo dei maghi per la capacità di ricevere e restituire energia, che è l’unica cosa che conta nella vita. Da uno specialista comportamentalista ho fatto anche esercizi molto belli, una sorta di regressione, la cui vera utilità è stata capire che i miei drammi non siano nati dalle violenze sessuali subite a sette anni, ma molto prima: siccome tengo diari quotidiani da quando ho 14 anni, e poi ho raccolto le lettere di mio padre e mia madre, ne ho trovata una in cui lei diceva ‘vorrei abortire’, quando io – nella sua pancia – avevo un mese; la genetica spiega che già a un giorno del feto 20mila neuroni registrano le emozioni della gestante, per cui penso che l’unico lavoro utile sia affrontare la regressione.

Un tema del film è il politicamente corretto, qualcosa che – nella vita, ma anche nel cinema – ricorre anche come problema: penso a interpreti italiani di commedia che si sentono artisticamente mortificati. Il suo personaggio fa una battaglia personale contro il politicamente corretto: qual è il suo punto di vista? 
Penso a Walter Chiari, un genio. Io gli ho fatto fare Romance: la politica ha fatto premiare Carlo Delle Piane (con la Coppa Volpi a Venezia ’86) per il film di Avati (Regalo di Natale), perché era democristiano. Quando Scola ha fatto brutti film? Quando faceva il ministro ombra del Partito Comunista; quando ha fatto film godibili? Quando – penso a Capitan Fracassa – stava in un mondo di simpatici creativi, egoisti, egocentrici, perché gli artisti son così e viva Dio. Una volta ero con Mastroianni e c’era anche Fellini, arrivò un produttore e chiese: ‘avete scritto?’, e Fellini disegnò un enorme caxxo sul tovagliolo, poi rispose: ‘la prima pagina’, e parliamo di due geni, che sapevano ridere. Macario, Sonego, Vincenzoni, facevano ridere: io adesso incontro sceneggiatori cupi e politicizzati. Sono state distrutte intere generazioni di sceneggiatori e spero Castellitto al CSC migliorerà la situazione: gli allievi non vanno brieffati politicamente. Sono stato a insegnare all’Accademia Silvio D’Amico e al primo anno vedevo allievi con ‘Il Manifesto’ sotto l’ascella, pezzata, che non si lavavano, pensando di essere così rivoluzionari: ‘buttate via’ i giornali, le vostre coperte di Linus, e provate a tirar fuori gli attributi. Il problema è politicizzare la cultura, ma dal Dopoguerra c’è stata questa egemonia: Visconti, che era miliardario, ha preso la tessera del PCI per pararsi il culo. Io sono un uomo libero, non ho mai rubato: nei cinque anni in cui sono stato Onorevole ho avuto la richiesta di prendere soldi in cambio di un emendamento, che mi avrebbe fruttato centinaia di milioni, ma io ho detto no e sono uscito polito e quindi non ricattabile, e onesto, infatti non ho mai negato nemmeno la mia bisessualità: resto libero, che è il prezzo più alto che si paga. Il problema vero è di dignità, delle differenze, e di quella umana: gli artisti dovrebbero essere degli scienziati liberi, non dei servi del potere. Io non mi inchino. Mi spiace che la politica italiana della Sinistra abbia ucciso la creatività.

Un altro concetto del film è la mostruosità, umana, metaforica. Lei è anche produttore: qual è ‘il mostro’, inteso come meccanismo malato, prassi infette, paure inutili o effettive del sistema cinematografico italiano? Quindi, che opportunità percepisce nel presente, che lacune avverte, che cecità le sembra ricorrano nel sistema? 
Cecità totale, l’ho detto due volte al ministro Sangiuliano, una pubblicamente a Siracusa e una davanti al Presidente del Consiglio, Meloni. La domanda politica è molto semplice: credete alla narrazione del Paese? Si o No. Se sì, il problema non è fare assistenzialismo ma creare un meccanismo industriale, come ha fatto Israele, il Paese numero uno al mondo per vendita di idee creative, al di là di quella banda di idioti che sostiene Hamas, cioè tutti i miei colleghi artisti, perché – siccome ‘fa figo’ – sono tutti pro-Palestina ma: chi non è contro i bombardamenti verso gli innocenti? Parlando di spettacolo, però, allora uno deve sapere che se va a vedere il Paris Saint-German il proprietario è uno che finanzia Hamas, quindi un terrorista. Tornando al ‘sì’ della narrazione, penso agli investimenti stranieri dei nostri fratelli, perché siamo in Europa, giusto?: ecco, la Germania mette 2,3 bilion, bilion…, su prodotti autoctoni in lingua tedesca; la Francia uguale; noi siamo a quota 200milioni. Gli altri, però, non sono prodotti con soldi assistenziali, ma sono soldi per creare le più belle macchine audiovisive del mondo: gli investimenti vanno fatti in alta gamma. Non si devono dare 30milioni di euro a un autore italiano, e credo si sia capito di chi parli, perché ‘è del giro buono’: sa quanto ha dato a me lo Stato per J’accuse? 2milioni, ed è costato ventiquattro, ma io mi sono confrontato col mondo. Vogliamo fare l’industria? L’Italia è il Paese col più alto potenziale perché abbiamo una densità di Storia e cultura da 2000 anni: è una scelta politica che non deve essere partitica. Lo scriva che ai convegni non mi invitano perché se io andassi darei i numeri… e invece si parlano tra loro di ‘sviluppo economico’… Bonn, che sta in un’area, la Renania settentrionale-Westfalia, che è la metà del Lazio, ha sei teatri lirici per esempio, con una saturazione al 98% di partecipazione della comunità. A Roma, invece, adesso si fanno solo strade e scavi, uno sventramento della città per cose inutili: manca una dinamica industriale di cultura pro attiva e abbiamo venduto tutto, anche le Messaggerie Musicali di Ricordi, un patrimonio musicale nostro, abbiamo davvero venduto tutto. E infatti, il mio nuovo film, si chiama Svenduti.

Di cosa si tratta?
Una commedia politica, divertentissima. C’è un’isola, che sta per essere comprata dai francesi, e così si combatte contro la Francia. Il mio film non ha un colore politico: infatti io sono reputato un non-classificabile, anche se, lo dico, ho votato la Meloni, a cui potrei dare dei consigli: cerchiamo delle persone all’altezza dei compiti.

È prevista un’uscita del film?
Spero 01 Distribution lo distribuisca, anche se mi han detto: ‘non ci interessa prima di averlo visto’. Sono senza soldi in questo periodo, ho dovuto rallentare la lavorazione, non credo potrà essere pronto per Venezia, anche perché è una commedia, molto romantica, e lì invece devi raccontare… come Diario Minimo di Umberto Eco: tipo, ‘contessa anseatica, paralitica, s’innamora di operaio della Fiat’, oppure ‘due fratelli gemelli suicidi, psicotici …’, insomma era molto spiritoso quel testo, un po’ come me, quando ho mandato Quarto Potere in Rai, tradotto, per aver come risposta che la struttura fosse debole, uscì uno scandalo sul ‘Corriere’, ma siccome io sapevo non leggessero, ho fatto il trappolone.

21 Giugno 2024

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