Ecco l’accesso alla Zona Protetta, quella delle case-famiglia in cui vivono Vanessa, Blessing, Mahmoud, Khansaa, Nicoletta, Andrea, Maria Sole, Marta, Sharon, Diana, Pia, Youssef, età media 18-23 anni.
Solo lì, tra le mura di queste case, le loro complesse esistenze sono abbracciate, dunque protette: l’assenza, la violenza, la fuga, sono il pregresso individuale che ha innescato l’approdo a accoglienza e accudimento, mancati nella famiglia d’appartenenza, di cui si fanno necessario surrogato queste case, non solo strutture fisiche ma soprattutto architetture emotive.
Una casa-famiglia non è come il nido natale, o forse un po’, quando si riesce a vivere una rinascita almeno parziale, a darsi un “secondo tempo” perché s’interrompe un processo tossico, seppur non si tagli davvero mai un cordone ombelicale malato: certo, il vissuto triste, se non drammatico, lo strappo, il fare i conti con un passato che non si rarefà, che la memoria affettiva trattiene, e probabilmente tratterrà per sempre, rendono il disegno umano di ciascuno di loro complesso, per sé anzitutto, e per la società, che spesso li incasella: “problematici”, laddove non “irrecuperabili”. “La società si accorge di questi ragazzi nel momento in cui rompono le scatole, nel momento in cui fanno sentire in colpa qualcuno, nel momento in cui fanno sentire sbagliato qualcuno. Quando arrivano in comunità la parte più difficile è accompagnarli a reggere il dolore che gli hanno dato gli adulti”, ripete la voce fuori campo che introduce ciascun episodio, a ribadire che, queste parole, non siano vere solo per Vanessa o per Mahmoud, ma per ciascuno, e sempre.
10 episodi – per “10 storie di ragazze e ragazzi dentro e fuori la casa famiglia” – da 25 minuti, questo il formato della docu-serie, diretta da Giulia Cacchioni (1994), Chiara Campara (1987), Giulia Lapenna (1996), Giansalvo Pinocchio (1997) e Pietro Porporati (1996), prodotta da Andrea Porporati, Daniele Vicari e Francesca Zanza, co-prodotta da Rai Fiction e Kon-Tiki Film. Il concept è di Paola Pannicelli, scritto da lei e Andrea Cedrola, con la supervisione scientifica di Tito Baldini; e le musiche di Teho Teardo.
Zona Protetta è anche un megafono, raccoglie e dà eco alle voci di chi vive nelle case-famiglia, rende visibili persone spesso invisibili, almeno mediaticamente, e nella Zona Protetta s’incontra un mondo che, sul terreno della sofferenza, da accarezzare con delicatezza, si restituisce però entusiasta e potente, perché avere vent’anni è qui una risorsa, l’essenza di uno slancio vitale che “nonostante tutto” gli permette di non accartocciarsi su sé stessi ma di avere fame di vita.
Le case-famiglia dentro cui entra la serie sono locate da Ancona a Bolzano, passando per Orte, Santa Severa e Subiaco. Naturalmente non sono case-dormitorio o case-mensa ma sono soprattutto case in cui l’incontro umano determina l’esistenza, la costruisce, la motiva, perché questa è la missione degli adulti, esperti: educatori, psicologi, assistenti sociali, sono pronti e disposti a percorrere cammini spesso tinti di dolore, ma in cui il tempo per crogiolarsi o disperarsi non viene assecondato, cercando di stabilire la medicina della parola, attraverso il dialogo, scambio continuo: “Se dai ciò di cui il ragazzo ha veramente bisogno, con attenzione alla sofferenza dell’anima e alla sua cura, i miracoli sono possibili”, è il motto di Tito Baldini (Società Psicoanalitica Italiana), professionista sulla via di Marco Lombardo Radice, alle cui teorie e applicazioni si ispirano le esperienze di psicoterapia e recupero che nascono all’interno delle comunità.
“Zona Protetta rappresenta l’ideale prosecuzione della docu-serie del 2019 Boez. Andiamo via (prodotta da RAI Fiction e Stemal Entertainment), in cui sei ragazzi dal passato drammatico, usciti dal carcere o da una comunità, iniziano un percorso a piedi che li porterà da Roma a Santa Maria di Leuca in Puglia, assistiti da una guida escursionistica e da un’educatrice. Anche per Zona Protetta, ci si è avvalsi della supervisione dello psicoanalista Tito Baldini che ha prestato la sua consulenza per conto della Società Psicoanalitica Italiana, mettendo a disposizione un’esperienza decennale di lavoro con ‘ragazzi al limite’, giovani che la società ancor oggi tende purtroppo a considerare irrecuperabili e che hanno forse soprattutto bisogno di esprimere pienamente il senso della propria difficile esperienza. Per riuscire nell’intento di mettere a loro agio davanti alla telecamera i nostri protagonisti, abbiamo deciso di scommettere su una troupe di loro coetanei, giovanissimi professionisti formatisi nelle migliori scuole di cinema del Paese. A partire dai registi e dalle registe: tutti ragazzi che se da una parte hanno già avuto l’occasione di dimostrare il proprio talento, dall’altra per la prima volta si son messi alla prova con una dimensione ‘industriale’. Cacchioni, Campara, Lapenna, Pinocchio e Porporati nel corso di più di un anno hanno lavorato fianco a fianco con gli interpreti della serie e con i loro educatori e responsabili, costruendo un funzionale ‘spazio’ di dialogo. Questa impostazione ha consentito da una parte di poter narrare, sia pur con discrezione e delicatezza, storie talvolta di lacerante dolore; dall’altra di preservare intatta tutta la fiduciosa e scanzonata spontaneità dei vent’anni”, dichiarano Pannicelli e Cedrola, Andrea Porporati e Daniele Vicari.
(n/b)
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