VENEZIA – Un film che cerca di catturare la vitalità e l’intenso turbinio che si cela dietro la visione artistica di Van Gogh, Sulla soglia dell’eternitàpremiatoa Venezia 75 con la Coppa Volpi all’interpretazione di Willem Dafoe (candidato anche ai Golden Globe) e in sala con Lucky Red dal 3 gennaio. Lo firma il pittore e regista Julian Schnabel (Prima che sia notte, Lo scafandro e la farfalla), che aveva debuttato alla regia con un biopic su Basquiat. Movimenti di camera, colori saturi e alterati, sfocature e messe a fuoco, tutto nel film sembra voler restituire, tramite un approccio sensoriale, la peculiare visione dell’artista e il suo processo creativo. Quella magia viscerale, faticosa, caleidoscopica, frutto anche di una bruciante dedizione all’arte, che è quasi incapacità a dedicare la sua vita ad altro che non sia la pittura.
Non è una biografia su Van Gogh, ma un film che attinge a lettere, biografie e dicerie sull’artista per tracciare un racconto di finzione che lavora piuttosto sull’immaginare cosa sarebbe potuto accadere: “Alcune cose in questo film sono vere, altre inventate, e, come facciamo nella vita, occorre mescolare le due. Del resto la storia stessa è una bugia e ci sono sempre più versioni degli avvenimenti”, sottolinea il regista che racconta di aver sentito la necessità di realizzare il film dopo aver visitato una mostra su Van Gogh nel Museo d’Orsay. “Quando in un’esposizione ti trovi di fronte ad una retrospettiva, ti avvicini e ogni lavoro ti dice qualcosa. Ma dopo aver visto tutti i dipinti, l’esperienza diventa qualcosa di più. Diventa un accumulo di tutti quei sentimenti diversi messi insieme, e proprio questo senso di accumulazione è quello che ho voluto utilizzare come punto di partenza”. Una sorta di personale risposta del regista ai dipinti, “impossibile da spiegare”, come sottolinea: “Quello che ho cercato di realizzare è far provare allo spettatore un equivalente di quello che si prova quando si osservano le sue opere. Non ci sono vie certe, se razionalizziamo il film è già una bugia”.
Ne emerge il ritratto di un uomo lontano dalla società ma in mezzo alla natura, alla ricerca della bellezza e del un senso di eterno che si nasconde negli elementi naturali, estremamente lucido come quando alla domanda su perché dipinga risponde: “Quando dipingo smetto di pensare, divento parte di quello che è fuori di me e dentro di me”. Un uomo, dunque, capace di una visione speciale che, però, non sempre era in grado di conciliare con i dettami della società. Fondamentalmente consapevole, secondo il regista: “È evidente nelle sue lettere e nei suoi dipinti. Sapeva esattamente dov’era. La natura e l’arte sono un modo di trascendere, non solo per Van Gogh ma per noi tutti.”
A calarsi nel nucleo fisico ed emotivo dell’artista uno straordinario Willem Dafoe: “Ho sempre pensato a lui per il ruolo – conferma Schnabel – Ha la giusta vita, profondità e capacità di lavorare sul fisico. Lo conosco da anni e l’ho visto al lavoro aiutare molto gli attori con cui recita. Sapevo, dunque, che sarebbe stato il miglior alleato che potessi avere sul set”. Completamente trasformato e calato nel personaggio a livello sia fisico che emotivo, Dafoe ha rivelato di aver preso lezioni di pittura dal regista, che conosce da trent’anni, per meglio prepararsi al ruolo: “E’ stato importante imparare a dipingere. L’atto effettivo di applicare la vernice sulla tela ha man mano spostato il mio punto di vista e mi ha permesso di capire di più quello che stavo facendo, modificando anche il mio rapporto con la natura”.
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