Willem Dafoe


E’ stato Cristo per Martin Scorsese, sergente Elias in Platoon di Oliver Stone e il diabolico meccanico di corpi nell’universo virtuale creato da David Cronemberg in eXistenZ. Per Willem Dafoe cambiare è una vocazione. Attore puro, volto dai tratti un po’ alieni difficili da dimenticare, Dafoe è a Locarno per ricevere l’Excellence Award, omaggio ad una carriera cominciata nel 1980 con un ruolo minore, poi tagliato, in Heaven’s Gate di Michael Cimino, fatta di oltre 60 titoli e due nomination all’Oscar, sempre come attore non protagonista, per Platoon e Shadow of the Vampire, il film che ha scelto di proiettare stasera al Rex in cui è Max Schreck, un attore chiamato a recitare Nosferatu. Nel 2007 vedremo Dafoe in ben 4 film: The Dust of Time di Theo Angelopoulos, in cui recita al fianco di Harvey Keitel, Bruno Ganz e Valeria Golino, Bean 2 di Stevel Bendelack con Rowan Atkinson nel ruolo del protagonista, The Walker di Paul Schrader, rivisitazione di American Gigolò, e Anamorph, thriller diretto da Henry Miller ambientato a New York, la città dove Dafoe vive con la moglie Giada Colagrande, regista italiana che l’ha diretto in Before It Had A Name, presentato l’anno scorso a Venezia.

All’inizio della carriera ha rischiato di rimanere inchiodato nel ruolo del cattivo. Come è riuscito a evitarlo?
E’ noto che quando fai bene qualcosa gli studios ti chiedono di rifarlo all’infinito. Fin da subito però ho deciso di trovare un equilibrio tra major e cinema indipendente e ho cercato le giuste opportunità di esercitare muscoli diversi dai soliti. Più che una scelta consapevole il mio eclettismo è legato al desiderio di essere trasformato e di ripartire da zero ogni volta. Non ho mai diretto un film perché la mia natura è quella di fare l’attore. E’ la posizione da cui mi sento più utile e costruttivo. Amo la parte rituale della recitazione, amo usare il mio corpo e la mia voce. Amo dare me stesso alla storia di qualcun altro per diventare io stesso quella storia. Poi cambiare è salutare dal punto di vista artistico.

Che cosa ricorda del suo ruolo in “L’ultima tentazione di Cristo”?
Interpretavo qualcuno a cui Dio aveva detto: tu sei il mio uomo, un personaggio talmente riflessivo e, in certo senso, passivo che non sentito nessun obbligo di recitare, era la storia che agiva su di me.

Bjork e Nicole Kidman hanno detto: mai più con Lars Von Trier. Lei?
Io dico ancora, ancora, ancora. L’esperienza con lui con set di Manderlay è stata breve ma Lars ha un testa interessante. Certo, può fare paura ma in realtà da quel che ho sentito Nicole Kidman è stata felice di lavorare con lui.

Qualche anticipazione sui ruoli per Mr. Bean e Angelopoulos?
In Bean 2 sono un regista. Nel climax del film presento una pellicola a Cannes e Bean è coinvolto nell’evento. Quando anni fa ho visto recitare Rowan Atkinson in tv ho pensato che era straordinario e mi sarebbe piaciuto lavorare con lui. Con Angelopoulos comincerò a girare tra qualche mese. Non so bene come sarà ma Harvey Keitel mi ha detto che recitare con lui è stata una delle più belle esperienze della sua carriera. Mi fido.

In “The Walker” si parlerà di omosessualità, un tema caldo nell’America omofoba dell’amministrazione Bush.
Il film mostrerà alcuni aspetti illuminanti del rapporto tra Washington e l’omosessualità. Non dirò una cosa originale ma non amo questa amministrazione.

Perché ha scelto “Shadow of the Vampire” per la proiezione a Locarno?
Perché è un po’ horror e un po’ commedia con tante battute divertenti sul mondo del cinema, sull’arroganza dei registi e le pretese degli attori. Il film originale mi ha offerto un grande modello. Recitavo con un make-up molto pesante che mi rendeva virtualmente irriconoscibile. E’ liberatorio perché lasci il tuo sé alle spalle.

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03 Agosto 2006

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