Come si fa a parlar male di Walter Chiari, nonostante il pessimo carattere, la sua inaffidabilità, i suoi trascorsi giudiziari, le infedeltà, la depressione? “Sono un bastardo, figlio di pugliesi, nato a Verona e vissuto a Milano”, così si definiva in un’intervista al ‘Corriere della Sera’. “Mi manca, insomma, la romanità di Tizio o la sicilianità di Caio e perciò sono più difficile da sponsorizzare. Senza contare che, per farmi strada, io non ho mai fatto parte di clan e tantomeno ho giocato su cavalli politici”.
Nato Annichiarico l’8 marzo 1924, a Verona in via Quattro Spade, gettato su un palco per caso dagli amici (il comico si era sentito male) mentre ancora l’Italia è tagliata in due dalla guerra, scritturato subito da una regina dei palcoscenici come Marisa Maresca che gli cambia il nome d’arte, a conflitto appena terminato. Ma chi è allora il giovane Walter? Sembra aver già vissuto almeno quattro vite, eppure ha da poco raggiunto la maggiore età.
Da ragazzo è stato campione di pugilato (pesi piuma nel 1939), buon tennista e nuotatore, campione lombardo di bocce, radiotecnico, bancario, giornalista fallito, caricaturista, comico in erba. Durante la guerra ha scelto… la parte sbagliata finendo nella X Mas per la Repubblica Sociale, poi nella Wermacht in Normandia; ferito e catturato, lo hanno sbattuto in un campo di concentramento a Coltano (vicino Scandicci) dove aveva come compagni di sventura gente come Raimondo Vianello, Dario Fo, Enrico Ameri, Enrico Maria Salerno. Quello che comincia a calcare i palcoscenici nel dopoguerra è ormai un uomo fatto, intrattenitore nato, seduttore esperto, re degli scapoli.
Approda al cinema nel 1946 con Vanità di Luigi Pastina per cui vince un Nastro d’Argento (pur essendo doppiato da Gualtiero De Angelis); fa coppia sullo schermo con Totò e poi Ugo Tognazzi (I cadetti di Guascogna), finché tocca il grande cinema con Visconti che lo vuole cialtrone e seduttore in Bellissima (1951).
Aveva il talento del prim’attore, nei panni (sia pure in versione parodistica) di Marlon Brando dimostrava una versatilità per cui avrebbe potuto rivaleggiare con i più grandi; invece il cinema lo guardava con sospetto, lo relegò presto a macchiette di second’ordine sia pure in film di successo come Un giorno in pretura o Accadde al commissariato.
Tutta diversa la sua storia teatrale, grazie a Garinei&Giovannini, con trionfi a catena in coppia con Delia Scala (Buonanotte Bettina) o Sandra Mondaini (Un mandarino per Teo), ma anche con buone prove nel teatro di prosa. In quelle lunghe serate, spesso con tappa nella sua prediletta Milano, prende forma la vita artistica del mitico Walter, con l’adrenalina a mille, l’orgasmo dell’applauso, le grandi tavolate del dopo-teatro, le notti bianche con ininterrotte improvvisazioni per l’ilarità dei compagni di lavoro o per i semplici clienti del ristorante. Se la tappa è invece a Roma sono le luci dei night, l’annuncio della dolce vita di Via Veneto, ad attrarre lo scapolo più invidiato d’Italia, con una ridda di amori travolgenti, paparazzi in agguato e qualche striscia di polvere bianca a tiro. Sui rotocalchi appare in compagnia galante di Elsa Martinelli, Lucia Bosè (con la quale ebbe un lungo fidanzamento), la principessa Maria Gabriella di Savoia, perfino Mina, finché nel ’57 si imbatte in Ava Gardner sul set de La capannina: è una storia al calor bianco che lo porterà fino a Broadway finché una sera, a Roma, passa il segno e la diva lo pianta in asso per tornare dal marito. Se dal cinema ottiene allora qualche riconoscimento, diretto da Damiano Damiani (La rimpatriata, un film da rivalutare), Dino Risi (Il giovedì), Blasetti (Io, io, io…e gli altri) e perfino Welles (Falstaff) è la televisione a fare di lui un divo popolare. Comincia portando nelle case degli italiani i suoi sketch da rivista più collaudati, trova in Carlo Campanini la “spalla” ideale tra la fluviale scenetta del “Sarchiapone” e la rivisitazione dei Fratelli De Rege, diventa ospite fisso a “Studio Uno” con la regia geniale di Antonello Falqui. E’ quella una tv in bianco e nero che sta diventando grande e dà quindi spazio a sperimentazioni, situazioni, personaggi col piglio della modernità. Perfino oggi è impossibile sfuggire al fascino di quel teatrino di varietà in cui fermentano le idee, lo stile, il gusto. Walter Chiari porta nello spettacolo italiano una comicità un po’ British e un po’ burlona che seduce, fin dal timido saluto iniziale, grandi e piccoli, donne e padri di famiglia.
A cent’anni dalla nascita la fotografia è ancora nitida, incisa nei bianchi e nei neri perché la vita di Walter Chiari ha conosciuto zone d’ombra che alla fine ne hanno fiaccato il fisico da atleta e il morale da ragazzo in cerca perenne d’affetto e consenso. Due procedimenti penali per detenzione e spaccio di cocaina (il primo risolto con l’assoluzione per il reato di spaccio e il secondo per non aver commesso il fatto), 98 giorni dietro le sbarre, la messa al bando in un’Italia che lo condannò preventivamente due volte, il tempestoso matrimonio con Alida Chelli di cui resta un figlio amatissimo, Simone, le delusioni professionali, la solitudine dopo l’abbandono dell’ ultima compagna Patrizia Caselli, la vita da randagio in un residence e alla fine un infarto nella notte a Milano. Era il 20 dicembre 1991 e l’eterno ragazzo che era nato nel giorno della festa della donna fu ritrovato solo al mattino, seduto in poltrona, davanti alla tv accesa. La sera prima l’amico Gino Bramieri l’aveva atteso invano al suo spettacolo al Teatro di Porta Romana.
Sulla scena italiana nessuno può dirsi uguale a lui, c’è un erede del suo sulfureo e istintivo talento: non conosceva orari, limiti, sfidava l’impossibile e quasi sempre ha vinto: in palcoscenico, in uno studio televisivo, in fondo anche sul set benché ce ne siamo accorti troppo tardi, nonostante qualcosa come 112 film. Oggi è bello ricordarlo con il suo ultimo, amaro ruolo da protagonista in Romance di Massimo Mazzucco (1986) e l’ultima apparizione in Tracce di vita amorosa di Peter Del Monte. Due irregolari come lui gli resero omaggio, alla fine di una carriera da irregolare, sempre un passo avanti rispetto al suo tempo.
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