E’ una Mostra soggiogata dalla politica, anche senza visite ministeriali. Dalla vigilia i giornali hanno decretato: sarà l’ultimo festival della sinistra. Poi sono arrivate le bordate del sottosegretario Sgarbi, le correzioni a distanza di Urbani, le polemiche tra produttori, i primi incontri per parlare di riforme. Un primato della politica sull’arte, di sicuro. Che può piacere o spiacere. Ma politica si può fare anche con l’arte, naturalmente. Con una selezione di film che danno un’immagine agghiacciante del mondo, tra globalizzazione e storia patria (il Portogallo, la Corea…). Oppure con la memoria.
La recupera Franco Bernini nel suo Vivere, che Marco Paolini, più che voce recitante presenza spiazzante, dichiara subito, in apertura, un film contro la cancellazione del passato. Anni 1943-44, i momenti più duri e neri della guerra italiana. Raccontati attraverso le storie, forse fantasiose e romantiche, di un attore-regista giovane e fascinoso. Vittorio De Sica – ha una moglie e un’amante attrice, Maria Mercader – per sfuggire alla Repubblica di Salò si inventa un film interminabile sotto l’egida del Vaticano, La porta del cielo. Goebbels lo vorrebbe a Venezia per fare il cinema del fascismo declinante ma ancora aggressivo, lui si asserraglia con la sua troupe – tra loro anche qualche candidato alla deportazione – nella Basilica di San Paolo a Roma. Territorio protetto. E intanto si moltiplicano i rastrellamenti, gli americani bombardano San Lorenzo, alle Fosse Ardeatine i nazisti fanno strage.
“E’ un incredibile densità di storie tra cinema e cronache dell’epoca”, riflette Bruno Restuccia, produttore di Vivere con Giuliana Del Punta insieme a Tele+. Antonioni stava chiuso in casa a lavorare con Visconti, Fellini scampava per un pelo alla deportazione con un trucchetto da guitto, Totò prendeva in giro Peppino facendogli credere che i tedeschi lo cercavano, Alberto Sordi recitava in teatro a un passo da via Rasella oppure nelle case dei ricchi antifascisti per i ‘coprifuochi’, serate che finivano a notte fonda anche allegramente. Pietro Di Vico nascondeva un militare braccato buttandolo in scena davanti a un pubblico di soldati italiani sfigurati dal fuoco e avvolti nel cellophane. “Si potrebbe tirarne fuori una bella storia di fiction, aggiunge Restuccia, trovando i soldi e la voglia”. Franco Bernini, regista di questo docu-fiction tra alta definizione e materiali di repertorio (Teresa Venerdì, I bambini ci guardano, La porta del cielo), la scriverebbe volentieri: per ora sta lavorando a una satira contemporanea su manager e cocaina con la parola “presidente” nel titolo. “La libertà, al cinema, è un brutto guaio, ma ci sono ricascato”, dice. “Dopo Le mani forti ero stato giustamente tenuto lontano da un set proprio perché mi ostinavo a scrivere film inconsueti. Me li hanno bocciati uno dietro l’altro. Ero già pronto a proporre solo cosine graziose, innocue… ma col digitale ho capito che si possono fare film in barba a tutte le censure”.
Intanto De Sica è tornato giovane, al Lido. Con Vivere e con il restauro della Ciociara, che ha coinvolto assieme alla Scuola nazionale di cinema anche Mediaset e il progetto Cinema Forever.
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