Verdone: “Così Borotalco mi liberò dalle macchiette”

Il popolare attore e regista è alla Mostra di Pesaro per presentare Borotalco


PESARO – Saluta una Piazza del Popolo gremita fino all’inverosimile con questo selfie, Carlo Verdone, per la prima volta a Pesaro. Un sogno che si avvera per il direttore del festival Pedro Armocida, che ha costruito attorno all’attore e regista romano una serata Borotalco, con il film che nel 1982 liberò Verdone dalle macchiette con cui aveva esordito dimostrando che poteva portare in scena un personaggio vero, dall’inizio alla fine.

L’incontro è una performance inarrestabile di quasi un’ora che lascia senza fiato dal ridere. Carlo Verdone – che ha centellinato al massimo le interviste ma si offre generosamente all’applauso della piazza – inizia con la promessa di tornare nel 2024, quando la città marchigiana sarà capitale europea della cultura. “Vengo da Roma dove non frega niente di niente a nessuno, qui invece avete molta cura di tutto”, dice. 

Immancabile il ricordo di Francesco Nuti, appena scomparso. “Un omaggio doveroso perché nessuna tv ha trasmesso un suo film. Noi ci incontrammo nel ’78 a Non stop, programma che è stato una fucina per i cosiddetti nuovi comici. Con Nuti e Troisi riuscimmo a far chiudere i cinema a luci rosse e portare una ventata di aria nuova”. E ricorda Francesco come “un amico, una persona geniale, forse nato sotto una cattiva stella”.

Verdone per contratto non può dire nulla della seconda stagione di Vita da Carlo, la serie passata da Amazon Prime a Paramount+. In parte autobiografica, dovrebbe arrivare sulla piattaforma a settembre. Qualche anticipazione è circolata grazie a un articolo del magazine del ‘Corriere della sera’. Tra le novità la presenza del cantautore Sangiovanni (nel ruolo di Carlo da giovane), e poi Maria De Filippi e Zlatan Ibrahimovic. Ma stasera è qui per parlare di Borotalco e sono tanti gli aneddoti legati a questo film scritto con Enrico Oldoini. “Dopo Un sacco bello e Bianco rosso e Verdone, e nonostante il David di Donatello e il Biglietto d’oro, la mia carriera si era fermata. I produttori, tra cui anche Sergio Leone, si misero in testa che non potessi affrontare un personaggio normale e che con le macchiette avessi esaurito. Mia moglie andava a lavorare e io restavo steso sul divano pensando che la mia carriera fosse finita. Volevo riprendere gli studi di storia delle religioni ma scoprii che il mio professore si era suicidato. Ero in grande crisi quando squillò il telefono. Il mio agente Guidarino Guidi mi disse che Mario Cecchi Gori mi voleva incontrare. Mi mise accanto Oldoini e, in undici mesi, abbiamo scritto una commedia che voleva rappresentare l’atmosfera degli anni ’80”.

Tra i personaggi è mitico Manuel Fantoni interpretato da Angelo Infanti che Verdone preferì a Vittorio Gassman. Poi c’era l’omaggio a Lucio Dalla – con i suoi brani nella colonna sonora – e naturalmente Eleonora Giorgi (li vediamo in una clip televisiva in cui cantano L’ultima luna con Carlo un po’ ingessato alla batteria). “Fu un tribolo”, dice schiettamente di quell’episodio. 

Gli anni ’80 lui li sintetizza così: “Eravamo più buoni, c’era aggregazione, condivisione e voglia di lasciarsi alle spalle gli anni di piombo, Borotalco doveva essere un film che desse speranza, un manifesto di ottimismo”.

Eleonora Giorgi fa parte a pieno titolo della galleria di coprotagoniste femminili. “Per me le donne sono i personaggi da curare meglio e anche nella vita ho più amiche che amici, stimo di più le donne, ti ascoltano, sono più forti. L’uomo è spesso infantile, rimane a casa, vuole la cotoletta dalla mamma. Come Troisi anche io ho creato personaggi maschili imbranati, non ho certo la faccia da conquistatore”. E aggiunge: “Tutte le donne con cui ho lavorato hanno avuto un premio: Claudia Gerini, Asia Argento, Irina Sanpiter, Ornella Muti, Margherita Buy. Di me diranno che ero un regista che amava le sue attrici”.

Un capitolo importante è quello del suo rapporto con Alberto Sordi. “Mi ha voluto bene e non era facile diventare suo amico. Fuori faceva divertire tutti, ma a casa era austero, geloso della sua privacy, non concedeva l’amicizia facilmente. Eppure quando facemmo insieme In viaggio con papà, non mi tagliò neanche una scena. Perché ti devo tagliare? Se fai ridere, mi disse. E lo diceva nonostante avesse il culto di se stesso”. Carlo ricorda che nel 1984, quando sua mamma stava molto male per una malattia neurovegetativa, Sordi andò a casa per salutarla. Un gesto di vicinanza. E quando nacque sua figlia Giulia cenò a casa Verdone insieme a Pippo Baudo e Sergio Leone. “Sordi era con una polacca alta due metri, mi portò un’orchidea che è ancora ancora viva”. Da Albertone ha imparato tantissimo: “Era un attore folle, futurista, una maschera da commedia dell’arte. Ricordo di aver visto I vitelloni, Lo sceicco bianco e Una vita difficile al cineclub, furono quei film ad avvicinarmi alla commedia”.

Non manca un pensiero per il padre, Mario Verdone, il primo docente universitario di storia del cinema in Italia. “Quando ebbi successo con Non stop mi avvertì: ‘Il cinema devi farlo ai livelli alti della classifica, altrimenti…’. Poi Borotalco gli piacque, per la scrittura, il dinamismo, la commedia degli equivoci. E si raccomandò che in ogni film mettessi anche della poesia”.

Un aneddoto sul titolo. “Borotalco evoca il senso di leggerezza, da fotoromanzo. Ma ci scrisse la Manetti & Roberts da Firenze e volevano farci causa perché il marchio era registrato. Cecchi Gori, da buon fiorentino, portò avanti una trattativa e li convinse che se il film fosse andato bene sarebbe stata una pubblicità spaziale”.

Infine un aneddoto piccante. “Cercavamo la casa del personaggio di Eleonora Giorgi e andammo a fare un sopralluogo in un appartamento a Trastevere. Dentro una stanza c’era una ragazza che dormiva nuda, di schiena. Tutti restammo a bocca aperta per la sua perfezione. Era Moana Pozzi appena arrivata a Roma. Qualche giorno dopo, a casa di Troisi, la ritrovo, vestita e tutta leopardata. Mi sono inventato un ruolo per lei, è la ragazza che fa il bagno nuda in una piscina nella casa di Manuel Fantoni”.

Cristiana Paternò
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