Un Oscar per Chagall, immaginario fluttuante e radicamento storico

28 marzo 1985: 40 anni dalla scomparsa del pittore bielorusso di fede ebraica. Una statuetta per ‘Chagall’ di Lauro Venturi nel ’64, mentre ‘Homage to Chagall’ celebra la visione romantica e ‘Chagall – Malevich’ esplora il conflitto con l’ideologia sovietica


Dai celebri amanti fluttuanti ai cieli popolati di animali fantastici e violinisti, la sua opera è un viaggio in cui la nostalgia dell’infanzia e l’inquietudine dell’esilio si trasformano in pura poesia visiva. Un’arte profondamente spirituale e personale, intrisa di memoria collettiva, di radici culturali, e un rapporto con la realtà spesso più lucido di quanto il cinema abbia lasciato intendere: Marc Chagall, pittore bielorusso scomparso il 28 marzo 1985, è stato un uomo e un artista in esilio, sempre in relazione con la sua tradizione ebraica e, altrettanto, in continuo confronto con le Avanguardie del Novecento. 

Segnato dalle tragedie del secolo scorso, visse tra la Russia, Berlino, Parigi e New York, sempre in fuga dall’antisemitismo e dai conflitti mondiali. La sua pittura, caratterizzata da colori vibranti e figure sospese, racconta con una leggerezza che nasconde una profonda malinconia. Chagall è un’icona senza tempo, di cui il cinema rischia di trascurare la dialettica tra la visione lirica e le tensioni storiche che ha vissuto: forse, il cinema, nel tentativo di rendere giustizia alla straordinaria lievità del suo universo pittorico, ha finito per appiattire il profilo su una visione eccessivamente romantica. Il risultato è che Chagall, più che come uomo, viene spesso rappresentato come un concetto: un eterno sognatore, un poeta del colore, ma raramente un individuo con contraddizioni, scelte e conflitti. La figura di Marc Chagall, con il suo immaginario fluttuante e il suo radicamento storico, ha rappresentato per il cinema una sfida affascinante e complessa. Se l’arte del pittore bielorusso si è sempre mossa tra il sogno e la realtà, la sua trasposizione cinematografica ha oscillato tra queste due polarità, con risultati che riflettono tanto la ricchezza del suo universo pittorico quanto i limiti intrinseci del mezzo cinematografico nel restituirne la complessità.

Ciascun film e documentario su Chagall offre una prospettiva diversa sulla sua figura: alcuni enfatizzano il sogno e la leggerezza dello stile, altri mettono in luce il contesto storico e il ruolo nella cultura del Novecento. Se Homage to Chagall celebra la visione romantica, Chagall – Malevich esplora il conflitto con l’ideologia sovietica, mentre Marc Chagall entre deux mondes e Foi, amour et guerre scavano le radici identitarie e il rapporto con la memoria. Nel complesso, questi film confermano che Chagall sia un artista che sfugge alle categorizzazioni, capace di reinventarsi senza mai perdere il legame con le proprie origini.

È un autore italiano, Lauro Venturi, a fare un ritratto impressionista dell’anima artistica, con un cortometraggio documentario che racconta il pittore titolando il film CHAGALL e  portando lo stesso nel tempio assoluto del cinema: il doc breve del ’63 è stato premiato con l’Oscar al Miglior Cortometraggio Documentario (1964). È un piccolo gioiello del Film d’Arte, un’ode visiva che, in 26 minuti, trasmette la leggerezza onirica dell’universo chagalliano. Venturi ha scelto di girare con un approccio impressionista, infatti il film si affida a un montaggio evocativo, in cui le opere del pittore si fondono con un lirismo visivo che riecheggia la fluidità del suo segno pittorico. Questo ritratto non si limita a narrare ma s’immerge nell’estetica del suo soggetto, traducendo in linguaggio cinematografico la poetica cromatica e simbolica dell’artista. Nel cortometraggio di Venturi, Chagall emerge come figura quasi mitologica, poeta della pittura più che artista storico. L’assenza di una narrazione convenzionale e l’uso esclusivo di immagini e musica suggeriscono un ritratto più evocativo che analitico. Venturi sceglie dissolvenze e transizioni morbide tra le opere per passare l’impressione che esse stesse respirino e si muovano nello spazio: Chagall qui non è solo un uomo, ma una visione, e il film lo restituisce come un essere fuori dal tempo, la cui arte sembra galleggiare tra il sacro e il profano.

È Harry Rasky a costruire un documentario che non è solo un omaggio a Chagall, ma un vero e proprio dialogo con il suo mondo interiore: HOMAGE TO CHAGALL: THE COLOURS OF LOVE (1977) è una celebrazione cinematografica alla sinfonia visiva del maestro. Entrando in contatto con più di 300 opere – mosaici, vetrate, murales e dipinti, il film esplora la polifonia cromatica e la profonda spiritualità che pervadono il suo lavoro; le immagini si susseguono in un montaggio musicale, quasi danzante, mentre la voce dell’artista offre uno sguardo intimo sulla sua poetica. Candidato all’Oscar, Homage to Chagall si distingue per la capacità di rendere palpabile la magia del pittore, trasformando il documentario in un inchino alla bellezza e alla memoria. Rasky, con tocco poetico, costruisce un film che si distingue per la presenza stessa di Chagall, che appare in rare immagini e interviste. Qui il pittore non è più un’entità astratta ma un uomo concreto, con la sua voce, i suoi racconti e la sua ironia. Il documentario esplora l’interiorità dell’artista attraverso le sue parole, senza mai perdere di vista la dimensione visiva della sua opera. L’uso del montaggio, che accosta dettagli pittorici alle riprese dal vivo, suggerisce che la realtà e l’arte siano per Chagall elementi indistinguibili, con al centro l’affettività, quale cuore della sua opera omnia, rischiando però di tralasciare aspetti più tormentati del percorso, come l’impatto dell’esilio e delle persecuzioni sul suo linguaggio espressivo.

L’arte e la rivoluzione tra sogno e disillusione è l’essenza di quello che il regista Aleksandr Mitta firma con il suo biopic CHAGALL – MALEVICH (2014), muovendosi tra la ricostruzione storica e il simbolismo visivo, mettendo in scena lo scontro tra due visioni dell’arte: da un lato il misticismo favolistico di Chagall, dall’altro la razionalità geometrica di Kazimir Malevich. Il film, ambientato nella natale Vitebsk degli anni rivoluzionari, restituisce il dramma di un artista che si trova schiacciato tra l’utopia e la repressione politica. La fotografia, ricca di contrasti, e l’uso di scenografie ispirate all’Avanguardia russa, conferiscono alla visione un’estetica pittorica, rendendola una raffinata riflessione sul rapporto tra libertà creativa e ideologia. Mitta affronta la sfida di portare Chagall in un contesto narrativo, intrecciando la sua vicenda personale con quella di Malevich. Il film, pur con un’inevitabile componente romanzata, riesce a catturare il dualismo di Chagall, il visionario che dipinge sogni sospesi nel tempo ma, altrettanto, l’uomo che si scontra con l’ideologia rivoluzionaria sovietica. La fotografia utilizza colori saturi e inquadrature teatrali, spesso ispirate direttamente ai dipinti dello stesso pittore bielorusso, creando così un effetto di straniamento che riflette il suo senso di alienazione. Tuttavia, la drammatizzazione della rivalità con Malevich semplifica la complessità dei loro rapporti, sacrificando una riflessione più sfumata sull’interazione tra arte e politica.

Mentre CHAGALL ENTRE DEUX MONDES (2019) di Laurence Jourdan è un viaggio nella dualità di un artista errante, in cui s’indaga il senso di appartenenza e spaesamento che permea l’opera di Chagall, sempre in bilico tra la sua origine ebraica, l’influenza della Russia e l’approdo in Occidente. Con un’elegante narrazione visiva, il film esplora il dualismo tra tradizione e modernità, sacro e profano, realtà e fantasia, restituendo con sensibilità l’essenza di un pittore che ha saputo reinventarsi in ogni epoca. Questo film più che raccontare suggerisce, lasciando allo spettatore il piacere di immergersi nei mondi fluttuanti del maestro. Questo documentario si distingue per l’attenzione alla dicotomia costante nella vita e nell’opera di Chagall: l’artista diviso tra la Russia natale e Parigi, tra la tradizione ebraica e l’avanguardia europea, tra il sogno e la realtà storica. Qui Chagall non è un semplice genio visionario, ma un uomo segnato dagli spostamenti forzati e dalle tragedie del Novecento. La regia lavora su contrasti cromatici e sovrapposizioni di immagini, come a voler restituire la stratificazione identitaria dell’artista. Il film evita la retorica agiografica e mostra anche le contraddizioni di Chagall, inclusa la sua capacità di adattarsi ai contesti culturali e politici senza perdere la propria autenticità. L’assenza di una voce narrante onnisciente favorisce una lettura più aperta della sua biografia, lasciando che siano le opere stesse a suggerire il senso del viaggio. Jourdan costruisce un doc raffinato e stratificato, capace di restituire la complessità di un artista che ha attraversato le grandi tragedie del Novecento senza mai perdere il suo sguardo incantato sul mondo. Il film si muove tra archivi d’epoca e riprese contemporanee, ricostruendo con precisione il contesto sociale e artistico in cui Chagall ha operato. La fotografia e il montaggio giocano con la sovrapposizione di immagini, in una sorta di dialogo visivo tra passato e presente. Un’opera che, con intelligenza e sensibilità, restituisce la figura di Chagall nella sua dimensione di poeta dell’esilio e della memoria.

Infine, l’arte come resistenza e devozione per Anna Maria Tappeiner, autrice del documentario MARC CHAGALL – FOI, AMOUR ET GUERRE (2022), che analizza l’influenza della spiritualità ebraica, dell’amore e delle esperienze di guerra. Tappeiner firma un doc che indaga il legame profondo tra le esperienze biografiche e le tematiche che hanno attraversato l’opera pittorica. La narrazione alterna testimonianze e analisi critiche, il film esplora come questi elementi abbiano forgiato il linguaggio espressivo dell’artista. Con una raffinatezza visiva che richiama le tonalità pastello e le forme sospese dei suoi dipinti, Foi, amour et guerre s’impone come un’opera che non solo racconta, ma interpreta, facendo emergere con forza la natura profondamente etica e visionaria di Chagall. Questo approccio permette di evidenziare come l’opera pittorica sia profondamente radicata nelle esperienze personali e nei grandi traumi collettivi: Chagall qui non è solo un pittore dall’immaginario lirico, ma un artista profondamente segnato dalle persecuzioni contro il popolo ebraico e dall’impatto emotivo delle due guerre mondiali. Tappeiner utilizza un’estetica sobria, alternando immagini d’archivio a dettagli pittorici che diventano quasi simboli visivi ricorrenti. La lettura della sua vita attraverso le tre forze motrici suddette lo rende una figura tridimensionale, pur sacrificando l’analisi di altre sfaccettature della sua carriera. Il documentario mantiene il suo equilibrio tra poesia visiva e rigore storico, offrendo una chiave di lettura profonda e toccante dell’opera creativa.

I film che raccontano il pittore sono spesso divisi tra due approcci: quello evocativo e impressionista, come in Chagall di Lauro Venturi, e quello biografico-narrativo, come in Chagall entre deux mondes. Nel primo caso, l’arte di Chagall è trattata come un’esperienza sensoriale, con un uso lirico delle immagini che tenta di tradurre in cinema il suo universo visivo; nel secondo, emerge la dimensione più storica e intellettuale dell’artista, spesso mettendo in luce la sua identità frammentata tra cultura ebraica, avanguardia europea ed esilio. Il biopic Chagall – Malevich, invece, si avventura in un territorio più narrativo e romanzato, cercando di contestualizzare Chagall nel tumultuoso scenario politico dell’Unione Sovietica post-rivoluzionaria. Un tratto comune nella rappresentazione cinematografica di Chagall è la tendenza a enfatizzarne la dimensione mistica e onirica, spesso a scapito della sua personalità più concreta e della sua capacità di adattarsi ai diversi contesti culturali e politici. La sua immagine di “pittore del sogno” è predominante, al punto che pochi film riescono a restituire la sua consapevolezza storica e il suo acuto senso della realtà. Documentari come Marc Chagall – Foi, amour et guerre tentano di colmare questa lacuna, ma anche in questo caso la narrazione tende a incorniciarlo in un’aura quasi mistica.

Marc Chagall (1887-1985) è stato uno dei più originali e visionari pittori del XX secolo, capace di fondere tradizione e modernità in un linguaggio unico e inconfondibile. Nato a Vitebsk, attuale Bielorussia, da famiglia ebraica, ha intrecciato nelle sue opere simbolismo religioso, folklore russo ed elementi dell’avanguardia europea. Dopo essersi formato a San Pietroburgo, si trasferì a Parigi, dove entrò in contatto con il Cubismo, il Fauvismo e l’Orfismo, senza mai rinunciare alla sua cifra espressiva profondamente lirica e fiabesca.

Un episodio curioso riguarda il suo rapporto con Pablo Picasso. I due artisti, pur ammirandosi reciprocamente, avevano una relazione fatta di rispetto ma anche di rivalità. Si racconta che Picasso una volta disse: “Quando Matisse morirà, Chagall sarà l’unico pittore rimasto a saper davvero usare il colore”. Tuttavia, in un’altra occasione, con il suo spirito caustico, aggiunse: “Chagall dipinge bellissimi angeli, ma troppi ebrei”. Chagall, per tutta risposta, commentò: “Picasso dipinge solo uomini e donne, come se non esistesse nient’altro al mondo”. Un confronto tra giganti dell’arte, tra genialità e sottile provocazione.

Non da meno, uno degli aneddoti più celebri su Marc Chagall riguarda la sua esperienza con la decorazione del soffitto dell’Opéra Garnier di Parigi nel 1964. Quando gli fu affidato l’incarico, molti critici e intellettuali francesi si opposero, ritenendo inappropriato che un artista di origine russa e di fede ebraica decorasse uno dei templi della cultura francese. Chagall, tuttavia, rispose con la sua consueta ironia e umiltà, affermando che avrebbe dipinto “con amore per la Francia”, il Paese che lo aveva accolto. Il risultato fu un’opera straordinaria, un affresco di 220 metri quadrati, vibrante di colori e riferimenti ai grandi compositori della Storia della Musica, da Mozart a Wagner. Se il “cielo” dell’Opéra Garnier è una delle sue commissioni più celebri, un affresco monumentale dedicato alla musica e ai grandi compositori della storia, realizzato con colori vibranti e figure oniriche, altre sue opere imprescindibili, in sintesi sono:

Io e il villaggio (1911)

La nascita (1912)

Il violinista (1913)

Sopra la città (1918)

Il compleanno (1915)

La crocifissione bianca (1938)

Vetrate della Cattedrale di Reims (1974)

L’arte di Chagall, sospesa tra sogno, memoria e spiritualità, si è evoluta nel tempo mantenendo una straordinaria coerenza stilistica e narrativa.

 

autore
23 Marzo 2025

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