“Non sapevo nulla su Napoli ma ho avuto un’offerta da Rai Cinema, una tela bianca: grande opportunità e grande paura. In quanto regista di origine britannica ma residente in America sono la definizione di outsider” – dichiara Trudie Styler, autrice di Posso Entrare? An Ode to Naples, nella sezione Special Screening della Festa del Cinema di Roma 2023. “Ho una casa in Italia da due decenni, ma come vi dirà ogni napoletano, la Toscana non è Napoli. Sophia Loren l’ha detto meglio: ‘non sono italiana, sono napoletana’. Napoli è una cultura a sé. Quello che i miei occhi hanno da offrire a Napoli è estrema meraviglia, estrema curiosità. Occhi freschi che possono guardare la città con dettaglio e compassione. Napoli è sopravvissuta per 3000 anni. Non è affatto una nuova realtà da raccontare, ma ne è una assolutamente straordinaria”.
Napoli è… un ventaglio di contrasti, la cosa è nota e perenne: è bellezza e bruttura, è luce e mistero, è entusiasmo e inquietudine. Napoli è Napoli, ma uno sguardo esterno, affascinato e innamorato, eppure altrettanto lucido e sufficientemente distaccato per non essere compromesso nel giudizio – così è quello di Trudie Styler, appunto – riesce a guardarla, narrarla, restituirla in una maniera ancora ennesima, anche grazie all’ausilio prezioso di immagini d’archivio.
“L’Archivio Luce è stato molto generoso perché ci ha consentito di usare molti filmati della Seconda Guerra Mondiale o l’arrivo di Mussolini a Napoli, o ancora l’eruzione del ‘44”. E, per questa collaborazione, Enrico Bufalini, direttore Cinema, Documentaristica, Archivio Luce Cinecittà, commenta che: “con questo spaccato Trudie ha saputo rappresentare la Napoli attuale, partendo dalle radici. Rispetto alla nostra partecipazione come Archivio, lei si è posta in maniera non invadente, scegliendo materiali come un particolare filmato di Blasetti, e sempre cercando punti di contatto dal passato, che rendessero la Napoli di oggi, così resiliente”.
Styler sceglie una domanda nel titolo: “Posso entrare?”, come a domandare il permesso, come a voler dichiarare di essere curiosa ma altrettanto rispettosa, come succede quando ci si approssima all’ingresso in una casa privata, che Napoli non è perché è un ventre che accoglie tutti, all’apparenza, ma anche nasconde, respinge, tra incanto e dissenso.
“Non avevo una mappa da seguire, una sceneggiatura, che ti dà una questione da affrontare e ti guida. In questo caso no perché mi era stata data una tela bianca, appunto: ho cercato di raccontare le più diverse storie; purtroppo che ne sono altre molto belle: se la Rai ci permettesse di fare una serie potrei mostrarle tutte e rendere più ricco il racconto. Ci sono le storie della gente del posto, che hanno rappresentato per me un faro: le persone che si sono impegnate e hanno deciso di rimanere nella loro città affinché possa migliorare”, continua la regista.
Styler cerca delle voci, che siano la voce di Napoli, delle tante Napoli, così sentiamo quella di Roberto Saviano, che ricorda don Peppe Diana per raccontare uno spaccato della città e racconta che “lo ammazzarono il giorno del suo onomastico, perché le organizzazioni criminali uccidono quasi sempre in momenti simbolici: l’onomastico è importante perché così, ogni anno, la famiglia ricorda il dolore; quindi ti uccidono al compleanno, all’onomastico, nei giorni di festa”; di Francesco Di Leva, fondatore del Teatro NEST a San Giovanni a Teduccio, per cui: “…in questi quartieri ci hanno sempre insegnato che non esiste una possibilità”; e, ancora, quella di don Antonio Loffredo, prete illuminato e ribelle della Sanità, nella cui sacrestia s’è praticata anche la boxe, lì dove adesso c’è un presepe: “…cosa sai dei presepi napoletani? Per noi è la vita di Napoli che a un certo punto incontra il Dio che si fa bambino. Questo è quello che succede a Napoli, le sue contraddizioni, le povertà, le tragedie, la gioia, la festa…”. Con loro, anche Antonio, veterano delle Quattro Giornate di Napoli, i castagnari, l’artista Jorit e il cantante Clementino.
“Per la musica il massimo del credito è da attribuire al montatore, Walter Fasano. L’indicazione era che il 90% della musica fosse napoletana, e così ci siamo addentrati in una profonda ricerca, e molte sono le musiche di De Nardis dell’800, poi anche se non è partenopeo è stato inserito Piovani da La vita è bella, che mi ha fatto ricordare il ragazzino alla finestra col clarinetto. Quanto a Clementino, la collaborazione nasce quando mi sono chiesta: come si possono raccontare tremila anni di storia della città? L’idea è stata: perché non farlo con il rap? Il rap è narrazione. La partecipazione di Sting (marito della Styler) è stata per invito di don Loffredo, per il progetto ‘Metamorfosi’, per cui trasforma il legno delle barche con cui arrivano i migranti a Lampedusa in strumenti musicali, un progetto tra il carcere di Milano e Secondigliano”.
Francesco Di Leva è certo sia “arrivato il momento di far raccontare Napoli dagli altri, affinché non sembri retorica. Io non faccio niente altro che restare e resistere nel mio quartiere: è un atto egoistico e io lavoro tutti i giorni perché possa migliorare. Io voglio combattere per restare lì. Ringrazio Trudie per aver posato il suo sguardo su San Giovanni a Teduccio. Don Antonio, poi, è un aggregatore umano che sta lavorando per l’esercito del bene, di cui io sono un soldato”.
“Per l’equilibrio del film ho cercato tra le luci e le ombre, proprio parlando con le persone, come con Alessandra che ha assistito alla morte della mamma a 9 anni per una pallottola, per cui dedicarsi alla città è una missione. Non ho voluto evitare i punti oscuri, di una città comunque vibrante e appassionante. Ci sono persone che si danno da fare, si impegnano, che cercano di ricostruirla. È una città in cui si può sperare e rimanere a vivere. Essendo io inglese ho l’eredità dei Gran Tour, di chi nell’800 poté visitarla, da Shelley a Wagner che scrisse lì il Parsifal, e poi raccontare Napoli non si può fare senza il punto di vista dal Vesuvio”, conclude Styler che confessa che il suo posto napoletano del cuore sia “la Sanità, pensando anche al film Nostalgia, che stavano girando in quello stesso periodo, e lì la piccola osteria Oliva: ho un ricordo di accoglienza per tutti noi. Un altro luogo: la casa di Gennaro e Immacolatima, il castagnaro”.
Il film è una produzione Big Sur, Mad Entertainment con Rai Cinema in coproduzione con Luce Cinecittà – che lo distribuisce nelle sale dal 6 novembre -, prodotto da Luciano Stella, Maria Carolina Terzi, Lorenza Stella, Carlo Stella.
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