Una serata tra vecchi amici alla Casa del cinema di Roma, voluta dal figlio Stefano, per ricordare un artigiano della luce, uno dei pionieri della fotografia del cinema italiano che ha trasformato un mestiere in una grande espressione artistica. Un omaggio a Tonino Delli Colli, a 15 anni dalla scomparsa, affidato al documentario Once Upon a Time… Tonino Delli Colli Cinematographer di Claver Salizzato e Paolo Mancini, che avrà per ora un distribuzione in festival ed eventi.
Il film è ispirato al libro del figlio Stefano, pubblicato nel 2017, “Tonino Delli Colli, mio padre, Tra cinema e ricordi” che ripercorre la vicenda di uno dei più grandi direttori della fotografia, dagli inizi a Cinecittà alla fine degli anni ’40 all’ultimo film, degli oltre 135 firmati, La vita è bella (1999) di Roberto Benigni. Una carriera scandita da 6 Nastri d’argento, 4 David di Donatello e il prestigioso Premio ASC-American Society of Cinematographers alla carriera, ritirato a Los Angeles nel 2005 a pochi mesi dalla sua scomparsa.
Tonino Delli Colli ha collaborato con registi come Mario Monicelli, Dino Risi, Federico Fellini, Roman Polanski, Louis Malle, Lina Wertmüller, Marco Bellocchio, Marco Ferreri, Margarethe Von Trotta. Ma soprattutto è stato fin dall’inizio il collaboratore fidato di Pier Paolo Pasolini. E’ il 1961 quando la Federiz, la società fondata da Fellini e Rizzoli, produce Accattone, l’esordio di Pasolini che comincia a realizzare alcune sequenze con Carlo Di Palma direttore della fotografia. Il girato però non soddisfa Fellini che abbandona il progetto. Per fortuna un aiuto viene dal regista Mauro Bolognini che convince il produttore Alfredo Bini a finanziare il film. Di Palma nel frattempo è impegnato su un altro set, ricorda Stefano Delli Colli, e allora “viene chiamato mio padre, che accetta subito la proposta autoriducendosi perfino il compenso, al quale lo avevano abituato gli americani”. Un incontro non casuale per Tonino che cercava una prova importante con il cinema d’autore.
“Una coltre di primule. Pecore contro luce (metta, metta, Tonino, il cinquanta, non abbia paura che la luce sfondi – facciamo questo carrello contro natura!). L’erba fredda tiepida, gialla tenera, vecchia nuova, sull’Acqua Santa. Pecore e pastore, un pezzo di Masaccio (provi col settantacinque, e carrello fino al primo piano)”. In questi versi (“Poesie mondane”) scritti da Pasolini nel 1962 c’è la cronaca ironica dell’incontro tra lo scrittore, al suo debutto nella regia, e Tonino Delli Colli, che da quel momento firmerà quasi tutte le opere pasoliniane, tranne Edipo re e Il fiore delle Mille e una notte. Pasolini, per sua stessa ammissione, non conosce la tecnica cinematografica, la impara nel giro di poco tempo, “una settimana”, e subito chiede a Delli Colli di girare le scene in modo del tutto differente, fuori dal canone classico. Il produttore Bini ricorda nel documentario la telefonata di un Tonino molto preoccupato per la fotografia ‘sfondata’ di Accattone, “che mostrava una periferia di borgate livida, fatta di contrasti di luce e tridimensionale. La poesia visionaria di Pasolini chiedeva a Tonino di fare scelte che aveva resistenza a fare, intuendo comunque quel che Pasolini voleva”.
“Con Pasolini l’intesa era meravigliosa anche se si davano del lei e non erano in confidenza – ricorda Ninetto Davoli prima della proiezione del documentario – Tonino era una persona umile di grande professionalità”. “Aveva l’istinto straordinario della luce – ricorda nel documentario il regista Jean-Jacques Annaud che lo conobbe sul set de Il nome della rosa (1986), una caratteristica di un’autodidatta che è il Leitmotiv di altre autorevoli testimonianze. Così come più volte torna la sua proverbiale capacità di trovare in poco tempo l’illuminazione giusta coniugata a una rigorosa tabella di marcia quotidiana che mal sopportava sforamenti oltre le diciassette/diciotto del pomeriggio. Di qui il rapporto di amore e odio con Sergio Leone, “esagerato e perfezionista, impegnato troppe ore sul set”, come ricorda Tonino che gli ‘rinfaccia’ i tanti i metri di pellicola girati, con scene ripetute decine di volte.
“Il documentario mantiene lo spirito del libro, quello di narrare un cinema e un’atmosfera sui set che oggi non ci sono più – spiega il figlio Stefano – Sono mostrati materiali inediti come super 8, nastri VHS, abilmente restaurati e ripresi e immagini provenienti da archivi stranieri e privati. E vediamo i backstage di Accattone, Mamma Roma, C’era una volta il West”. Tante le testimonianze raccolte: Luca Bigazzi, Pasquale Cuzzupoli, Elda Ferri, Roberto Benigni, Vincenzo Mollica, Furio Scarpelli, Giuseppe Rotunno, Nicoletta Braschi, Pasquale Mari, Piero De Bernardi.
Claver Salizzato nel sottolineare quanto siano rari i documentari sui direttori della fotografia, anche perché si fa fatica a riconoscere l’autorialità di questo mestiere, ricorda alcune date significative del percorso artistico di Tonino Delli Colli: 1950 quando con pochi colleghi diede vita all’associazione dei cineoperatori poi diventata AIC-Associazione Italiana Autori della Fotografia Cinematografica; 1984 la nomination ai Bafta, gli Oscar britannici, per C’era una volta il West; 1999 l’Oscar a La vita è bella e il 2005 con la trasferta americana”.
Laura Delli Colli ricorda infine il sodalizio di Tonino con il cugino in secondo grado Franco, suo padre e operatore affermato: “Cosa resta della ‘ditta’? Un’idea leggendaria delle professione cinematografica, allora artigianale anche se inconsapevolmente artistica”.
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